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Giovanni Dondi dall’Orologio
Giovanni Dondi dall’Orologio (Chioggia, 1330 circa – Abbiategrasso, 1388) è stato medico, astronomo, filosofo, orologiaio, pioniere dell’archeologia (descrive e misura alcuni monumenti di Roma) e poeta.
Spesso confuso con il padre, Jacopo Dondi, per il comune interesse e forse per la collaborazione per la costruzione dell’orologio astronomico presente nella torre di Piazza dei Signori a Padova, ben rappresentato dall’Astrario presente nel museo di Pavia, divenne professore presso l’Università di Padova, dal 1354. Nel 1362 si trasferì a Pavia e insegnò presso quella Università, dal 1379 divenne medico e astrologo di corte dei Visconti. Fu amico del Petrarca e corrispose in versi con lui.
Molto interessante la questione dell’Orologio meccanico, installato a Padova nel 1344 e distrutto nel 1390 di cui oggi esiste una copia nella Torre dell’Orologio di Padova, e della sua paternità, motivo di discussioni e dubbi: c’è chi sostiene che sia interamente opera di Jacopo Dondi, il padre, professore di medicina e astronomia all’Università, chi sostiene che sia stato progettato dal figlio, suo discepolo e collaboratore, Giovanni e lo dimostrerebbe proprio l’Astrario conservato a Pavia.
Temi
Il Dondi ci trasmette, attraverso una poesia didascalica, una visione etica della vita; è una poesia di sentenze morali, quasi proverbiali (Non aspetti doman chi pò far oggi) che deriva da una concezione cristiana per la quale Cristo è sostegno e aiuto nella sofferenza con il richiamo alla Passione di Cristo che prende su di sé i dolori del mondo pieno d’angososi pianti:
Se per sofrir et star sempre constante
a sostener una grave percossa,
mazor ca carco chi porti leffante,
de’ l’huom aver alcun merito possa
nel mondo pieno d’angososi pianti,
prender el de’ quostui per tuti quanti.
Spero che Colui vi darà sustegno,
che per noi morto fo su l’aspro legno.
Il richiamo scoperto a Dante mostra la conoscenza del Dondi del capolavoro dell’Alighieri:
Ne l’aspra selva, tra grande animali,
franco sedea, quando senti’ una fera
venir gridando morte a vuoce altera.
[Salvòmi la vertù, che nel cor nasce…]
La concezione della donna è molto lontana dalla visione feudale dei trovatori e scopre nell’amore il concetto della alterità, l’amare l’altro: Non ama chi vuol ben sol per si stesso… Ama chi per lo amato se fatica; una concezione molto personale, in linea con la sua visione della realtà e del mondo:
Non ama chi vuol ben pur per si stesso;
non vive chi nel vicio se nutrica;
non si raquista il tempo mal tramesso.
Ama chi per lo amato se fatica;
vive chi ad opre di vertute intende;
il tempo coglie chi scarso lo spende.
Non aspetti doman chi pò far oggi;
servi l’huom fede et miri a cui s’apoggi.
La donna che a molti non piace, perché altera et gentil per natura, piace al poeta, che l’ha in pregio e l’ama.
Altera donna et gentil per natura,
di margarite hornata et d’or vestita,
bella amorosa più d’altra creatura,
spregiata vidi et da pochi gradita;
et lodar vidi donne de vil sorte,
onde mi prese al cor doglia di morte.
Sì piaque quela donna agli ochi mei,
che amar la intendo et viver sol per lei.
Una lotta interiore, sotto forma del volere/disvolere, un tormento tra desiderio e volontà, affiora in un altro madrigale dove il Dondi chiede aiuto a Dio per cercare di mantenersi nella rettitudine, forzando il suo carattere che a volte segue: quel ch’io non voglio come quel che a me è più conforme.
Tanto sum stato, che quel ch’io non voglio
sì l’ò cerchiato, che già mai non trovi;
mi vien trovando, onde molto mi doglio,
quel che a me è più conforme:
dov’i’ dimando a Dio, segnor verace, in pria,
che si diffeto ci è, tormento sia.
Dice ’l proverbio: chi cerca ci trova;
non cerchiando mi par che mal si prova.
Si può senz’altro parlare di poesia minore, più in sintonia con le stelle che con le parole, che esprime con sincerità dubbi e tormenti, tensioni amorose, istintivamente, senza un più approfondito scavo, in linea con molti autori del suo tempo che hanno recepito almeno in parte la grande lezione del Petrarca, di cui, come ricordato, poteva dirsi amico e resta come testimonianza di un uomo che trasmette con i suoi versi una visione etica della vita attraverso il filtro di una religiosità tormentata.
Alessandro Cabianca

