Abstract
Andato in scena a Venezia nel Carnevale 1753, “I Bagni d’Abano” fu un dramma giocoso sfortunato, che scomparve dai teatri fino ai giorni nostri. Venne in seguito ripudiato dall’autore, che lo definì sprezzantemente “opera rifiutata”.
Sommario
Abano alla metà del 1700 e il libretto di Goldoni
Nella seconda metà del 1700, ad Abano (PD) si riaccendono gli interessi politici e scientifici, e i nobili padovani e veneziani ne approfittano per costruire le loro lussuose ville in città e nei paraggi e per riportare in voga la moda dei bagni termali. Perciò, nel 1752, il Consiglio della Repubblica Veneta chiede all’Università di Padova di inviare per alcuni mesi, nella zona ai piedi degli Euganei, un illustre medico, il prof. Viotti, per formulare diligenti osservazioni sulle fonti d’acqua sulfurea di quei luoghi.

Di lì a poco, la commissione dei Riformatori per le Terme incaricherà ufficialmente Giovanni Battista Morgagni – forse il più famoso clinico del tempo, considerato il fondatore dell’anatomia patologica nella sua forma contemporanea – di estendere le conoscenze e l’uso medico delle acque termali aponensi.
È questo il periodo in cui una serie di studi riporta in auge le pratiche terapeutiche legate al termalismo euganeo. Ed è questo il periodo in cui Carlo Goldoni, forse influenzato dall’atmosfera delle nuove scoperte e delle nuove mode, concepirà il libretto d’opera “I bagni d’Abano”. Nella sua ampia e diversificata produzione teatrale, scritta spesso in dialetto veneziano, ma talora anche in francese e in italiano, questo dramma giocoso, poi musicato da Baldassare Galuppi e da Ferdinando Bertoni, è povera cosa, come trovata e come fattura, in confronto alle sue commedie.
“Dedicato a Sua Eccellenza il Sig. Luiggi [sic] Enrico di Pons, marchese di Pons e di Coudray, conte di Verdun eccetera eccetera”, verrà portato in scena per la prima volta a Venezia, al Teatro Nuovo di “San Samuele”, durante il “Carnovale” del 1753. Purtroppo, non essendo uno dei migliori lavori del Goldoni, l’esordio dell’opera si risolverà in un clamoroso insuccesso.
Tuttavia, il libretto potrebbe destare qualche interesse soprattutto tra gli storici e gli antropologi culturali, perché fornisce alcune informazioni curiose sulle usanze dell’epoca: per esempio, fa sapere che alle terme di Abano i reparti ai bagni sono separati, cioè un locale per gli uomini ed uno per le donne; che molti accorrono nella località termale non per curarsi, ma per ragioni amorose, o per ordire intrighi, o per farsi notare, o semplicemente per trovare un passatempo nell’oziosa conversazione.
Critiche dopo la sfortunata messa in scena
Dicevamo che “I bagni d’Abano” non è certo un capolavoro: si tratta, infatti, di una farsa musicale che l’autore ebbe a rabberciare alla buona in pochi giorni: un’opera in cui la “vis” comica, il raffinamento delle situazioni, la peculiarità del suo stile teatrale indugiano, stentano quasi, nel passaggio dalla commedia in prosa al libretto d’opera in versi.
La critica letteraria e musicale, del resto, non esiterà ad etichettarla come opera minore e ad archiviarla tra le altre simili del Goldoni, in generale non peggiori di questa. Lo stesso autore, nella propria autobiografia (le famose “Mémoires”), la ripudierà, chiamandola sprezzantemente “pièce désavouée”, ossia “opera rifiutata”. Si può pensare, in ogni caso, che sia caduta in parte a motivo della musica, anch’essa, per la verità, un po’ raffazzonata, se è vero che l’insieme ebbe a produrre negli spettatori l’impressione di un bel pasticcio.
Comunque, il testo del suddetto melodramma lo ritroviamo nelle ristampe delle “Opere complete” del Goldoni, pubblicate dapprima dal Municipio di Venezia, e successivamente – ma in tempi molto più recenti – dall’editore Mondadori, nella prestigiosa collana “I Meridiani”.
Nonostante le menzionate disavventure, però, “I bagni d’Abano” non morirà, ma, dopo la prima sfortunata messa in scena, cadrà solamente in letargo per una quarantina d’anni. Risvegliata da Antonio Sografi, che comporrà un nuovo libretto in versi, dal titolo “I bagni di Abano o sia la forza delle prime impressioni” (poi musicato da Antonio Capuzzi), e ripresa più tardi, nel 1834, da Ferdinando Meneghezzi, il quale, facendone un originale adattamento, modellato su una mutua sensibilità del pubblico e su un diverso modo di intendere il termalismo, ne ricaverà una brillante “piéce”, oggi l’opera è riuscita ad entrare con piena dignità nel repertorio classico dei drammi buffi del Settecento.
Ma, a dimostrazione di quanto il libretto goldoniano risulti poco accattivante (per non dire abbastanza sciatto e superficiale), e affinché non si pensi che il nostro giudizio negativo nei confronti del dramma giocoso in argomento sia motivato da una posizione preconcetta, proponiamo di seguito il testo di una cabaletta tratta dal finale della scena VIII del secondo atto, dove il personaggio di Rosina, custode del bagno delle donne, racconta all’ipocondriaco Luciano la propria disavventura: Una piccola bambinella / ero ancora di tenera età. / E la mamma, la poverella, / se ne stava lontana da me. / Viene un gatto nero nero / con i baffi… (mi vien freddo). / Mi guardava… (tremo tutta). / Oh che bestia brutta brutta! / Mi voleva graffignar. / Io gridai: Frusta via. / Fece gnao, e se ne andò. / Mi saltò / su e giù. /Parea matto, / ruppe un piatto. / Poi tornò, / mi graffiò; / e ha lasciato al mio povero core / un timore – che mai se n’andò.
Quasi un’autocritica
Pare che l’autore fosse consapevole di non aver prodotto un capolavoro, perché nella prefazione al successivo melodramma “De gustibus non est disputandum”, ideato in previsione del Carnevale dell’anno successivo (1754), scriverà: “Lettor carissimo, se tu sei uno di quegli [sic] ai quali abbia io protestato di non volere quest’anno, e forse mai più, comporre de’ simili Drammi Buffi, voglio anche comunicarti la ragione che ad astenermene mi obbligava, ed i motivi che mi hanno fatto dal mio proponimento discendere […]. Molto più imperfetto il Dramma buffo esser dee [rispetto al dramma serio], perché, cercandosi dagli Scrittori di tai barzellette servire più alla Musica che a sé medesimi, e fondando nello spettacolo la speranza della riuscita, non badano seriamente alla condotta, ai caratteri, all’intreccio, alla verità, come in una Commedia buona dovrebbe farsi. Questa è poi la ragione per cui cotai libretti, che si dicono “buffi”, rarissime volte incontrano”.
Leggendo questo funambolesco preambolo, tra l’altro, siamo indotti a concludere che il nostro Godoni, quando si cimentava con la prosa o con la critica letteraria, scriveva in un modo non particolarmente elegante, pur avendo soggiornato per un certo periodo in Toscana, appositamente allo scopo di “perfezionarsi” nello stile nobile della lingua italiana. Ma ciò sia detto come fra parentesi, non volendo essere noi irrispettosi nei riguardi del grande commediografo…

Illustrazione dei Bagni d’Abano (II.2), in Carlo Goldoni, Opere teatrali,
Venezia, Antonio Zatta, 1795, XLIV, p. 341.
Enzo Ramazzina

