Sommario
Breve profilo
Arnaldo Fusinato (Schio, 1817 – Verona, 1888) “Nasce a Schio, frequenta il liceo a Vicenza e poi si iscrive a Legge a Padova, compie alcune famose goliardate con l’Aleardi e il Prati, con loro frequenta il Caffè Pedrocchi e scrive alcune satire contro l’Austria. Il 1848 lo si vede combattente in difesa di Vicenza prima e, dopo un breve esilio tra Ferrara, Genova e Firenze seguito alla capitolazione di Vicenza, nel 1849 è in difesa della rinata Repubblica di San Marco a Venezia fino alla resa”. (Da A. Cabianca, La poesia in Veneto tra il toscano e il veneziano. 1200- 1800, CLEUP, 2025). Di questi due eventi restano le poesie: Il canto degli insorti e L’ultima ora di Venezia”. Famosissimi i versi di quest’ultima poesia che riportiamo qui per esteso: “Venezia! l’ultima/ ora è venuta;/ illustre martire/ tu sei perduta…/ Il morbo infuria/ il pan ti manca,/ sul ponte sventola/ bandiera bianca!”. Fusinato resta uno dei personaggi simbolo della lotta contro il dominio austriaco fin dalla Prima Guerra per l’Indipendenza, sposò la contessina Anna Colonna e, dopo la sua morte, in seconde nozze la poetessa Erminia Fuà. Come molti poeti suoi contemporanei, e i già citati Prati e Aleardi, Fusinato si laurea a Padova in Diritto pubblico nel 1841.
Fusinato studente a Padova
Facciamo innanzitutto un cenno al periodo padovano del Fusinato, che descrive con grande ironia la vita degli studenti universitari attraverso un lungo poemetto, di cui citiamo solo i primi versi della Parte prima, sezione Studente tratti da Poesie di Arnaldo Fusinato, (2 vol.) Venezia, Tipografia Cecchini, 1853, mostrando alcune delle stupende illustrazioni di Osvaldo Monti che impreziosiscono il volume (anzi i due volumi che raccolgono tutte le poesie del Fusinato). Con i versi seguenti siamo nel pieno della più genuina atmosfera goliardica che accompagna la vita di ogni generazione di studenti di questa, e di molte, Università.
Studente, come insegna la grammatica, è il participio di studiare, ma
E il participio di studiare, ma
Dacché un tal nome conferì la pratica
A chi frequenta l’Università,
Tutti sanno che il nome di Studente
Vuol dire: Un tale che non studia niente.
Difatti un giovinotto di vent’anni
Ch’è fuggito alle branche del papà,
Che per la testa non ha certi affanni
E sente il gasse della fresca età,
Mi pare ch’abbia tutta la ragione
Se la vita vuol far del buontempone.
Così giovin puledro innamorato
Se vuol fuggir dalla rinchiusa stalla,
Corre saltando per l’erboso prato,
E al lontano nitrir della cavalla
Vibra intorno la coda e allarga il naso –
È vecchio il paragon ma torna al caso.
Qui dirà qualche vecchio brontolone:
“Mio Dio che gioventù senza giudizio!
Lascian stare lo studio e la lezione
Per darsi al gioco, ai passatempi, al vizio…”
Eh! Lasciatelo dir, che ai tempi suoi
Facean ben peggio che non fate voi.
Quanti, cime d’ingegno e di dottrina,
Del secol nostro oracoli viventi,
Quando studiavan legge o medicina,
Il che vuol dir quand’erano Studenti,
Senza pensieri anch’essi e senza affanni,
Se li papparon giù quei lor quattr’anni.
Vo’ dir con ciò che quando s’è Scolari
Si ha poca voglia di pensar sul serio;
E se han fatto così, lettori cari,
Tanti uomini di polso e di criterio,
Mi pare, e non a torto, c’anche adesso,
Si debba compatir chi fa lo stesso.
Il gioco e l’ironia nelle stupende illustrazioni di Osvaldo Monti che accompagnano i due volumi del Fusinato (nelle immagini che seguono)
“Fusinato scrive anche poesie di tono popolareggiante, poesie giocose sulla linea del Giusti, dove, più libero da condizionamenti, esprime un modo di sentire personale e, al tempo stesso, spregiudicato, con una arguta, leggera e provocatoria satira sulle abitudini e sui costumi del tempo, rivelandosi, specie nelle poesie serie, nelle ballate e nelle poesie moraleggianti, anche più conservatore di quel che non faccia ritenere la sua adesione ai moti libertari del tempo”. (da La poesia in Veneto, cit.)
Le novelle in versi: Suor Estella e Due madri
“Nel Dramma tragico in tre atti Suor Estella (ballata), uno dei suoi componimenti più noti, ripropone la poesia cimiteriale tanto cara al tardo romanticismo con, in sovrappiù, scoperchiatura di tombe, fantasmi, suicidi e pazzia.
Combattuta eternamente
dall’angoscia che l’incalza,
senza senno, senza mente,
corre via di balza in balza,
come va la foglia morta
quando il turbine la porta.
Ma una notte un mulattiero,
che dall’Alpe discendea,
tra le nevi del sentiero
un cadavere scorgea;
il cadavere recente
della povera demente”.
«Le pietose storie delle ‘Due madri’ o di ‘Suor Estella’ sono delle vere e proprie novelle in versi che fecero lacrimare intere generazioni di buone madri di famiglia e di timorate donzelle. Quel che rese popolari le ballate del Fusinato fu quel suo raccontare semplice, senza pretese e la sua preferenza per gli argomenti più lacrimevoli e per le leggende più melanconiche». (da La poesia in Veneto, cit.)
Fusinato è però conosciuto, e ancora oggi letto tra i banchi di scuola, per la sua poesia l’ode Ultima ora di Venezia, dove mostra tutto il suo amore per Venezia, l’astio per la dominazione austriaca, che, oltretutto, lo teneva sotto controllo, e il dolore per la sua capitolazione con una versificazione efficace e realistica, esempio di poesia civile, che citiamo per esteso, di quel patriottismo che si era consolidato a Padova tra i giovani poeti che frequentavano, oltra al Bo, come studenti di diritto, il Caffè Pedrocchi e il mondo della goliardia universitaria.
L’Ultima ora di Venezia
È fosco l’aere,
È l’onda muta!…
Ed io sul tacito
Veron seduto,
In solitaria
Malinconia,
Ti guardo, e lagrimo,
Venezia mia!
Sui rotti nugoli
Dell’Occidente
Il raggio perdesi
Del sol morente,
E mesto sibila,
Per l’aura bruna,
L’ultimo gemito
Della laguna.
Passa una gondola
Della città:
— Ehi! della gondola
Qual novità?
— Il morbo infuria…
Il pan ci manca…
Sul ponte sventola
Bandiera bianca! —
No, no, non splendere
Su tanti guai,
Sole d’Italia,
Non splender mai!
E sulla veneta
Spenta fortuna
Sia eterno il gemito
Della laguna!
Venezia, l’ultima
Ora è venuta;
Illustre martire,
Tu sei perduta;
Il morbo infuria,
Il pan ti manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
Ma non le ignivome
Palle roventi,
Né i mille fulmini,
Su te stridenti,
Troncan ai liberi
Tuoi dì lo stame:
Viva Venezia:
Muor della fame!
Sulle tue pagine
Scolpisci, o Storia,
Le altrui nequizie
E la tua gloria,
E grida ai posteri
Tre volte infame
Chi vuol Venezia
Morta di fame.
Viva Venezia!
Feroce, altiera,
Difese intrepida
La sua bandiera;
Ma il morbo infuria,
Il pan le manca;
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
Ed ora infrangasi
Qui sulla pietra,
Finch’è ancor libera,
Questa mia cetra.
A te, Venezia,
L’ultimo canto,
L’ultimo bacio,
L’ultimo pianto!
Ramingo ed esule
Sul suol straniero,
Vivrai, Venezia,
Nel mio pensiero;
Vivrai nel tempio
Qui del mio cuore,
Come l’imagine
Del primo amore.
Ma il vento sibila,
Ma l’onda è scura,
Ma tutta in gemito
È la natura:
Le corde stridono,
La voce manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
La Redazione








