Sommario
Abstract
Detta familiarmente “I Carmini”, la basilica di Santa Maria del Monte Carmelo (o del Carmine) affaccia su piazza Petrarca, appena all’esterno della cinta delle mura trecentesche: oltrepassata la Porta ed il Ponte Molino, ci si para davanti con la sua mole imponente mostrandoci la facciata, incompiuta, di mattoni.
Premessa
Potrebbe stupirci che una chiesa così monumentale sia stata edificata al difuori della cinta muraria, tuttavia consideriamo che il borgo di San Giacomo, dove venne eretta, era il sobborgo più importante commercialmente della Padova comunale, sito alla confluenza di due vie di comunicazione importanti: l’attuale via Beato Pellegrino verso ovest e Piazzola sul Brenta, e la via Codalunga – che attualmente si prolunga nel viale Arcella, verso nord e Bassano del Grappa. L’area intorno al ponte ed alla porta ospitava mulini, e l’attività molitoria apportava prosperità al quartiere, in cui sorgevano, specie lungo la via Beato Pellegrino, anche abitazioni di nobili famiglie padovane. I Carmini non nacquero come sede parrocchiale, ma sorgevano nel territorio parrocchiale della chiesa di San Giacomo, ora distrutta; questa sorgeva in piazza Mazzini di fronte al palazzo Maldura, e come vedremo la sua storia si intreccia con quella della Basilica.
Nel 1914 Pio X l’ha dichiarata santuario, nel 1960 Papa Giovanni XXIII l’ha elevata alla dignità di Basilica Minore. Nel 1953 Cesira Gasparotto, notissima storica dell’arte padovana, ha pubblicato su questa chiesa un volume molto interessante, da cui abbiamo tratto le principali notizie storiche. Il libro è disponibile per il prestito presso la Biblioteca di Santa Giustina.
Storia
Fonti seicentesche, peraltro controverse, attestano che dal 1212 sorgeva nello stesso luogo un oratorio annesso ad un convento di suore benedettine. Intorno al 1295 il convento cessò la sua vita e colà i padri Carmelitani (ordine fondato in Palestina nell’XI secolo, votato alla preghiera contemplativa ed all’apostolato), che da tempo cercavano un luogo in cui insediarsi in Padova, ottennero di stabilirsi. I padri, presumibilmente grazie anche alla donazione di una nobildonna padovana, ampliarono le costruzioni fino ad erigere un grande complesso conventuale, ora smembrato e parzialmente perduto.
La predicazione dei padri sembra aver trovato apprezzamento nei padovani, che furono generosi di donazioni, contribuendo così alla prosperità ed all’importanza del convento.
E’ documentata l’esistenza, già dal 1300, di una fiorente Scuola Teologica del Carmine presso lo Studio Patavino; tuttavia è interessante ricordare che a quei tempi l’unica facoltà abilitata a conferire le lauree in Teologia era la Sorbonne, e per conseguenza gli studenti per sostenere l’esame di laurea erano costretti a recarsi a Parigi. Solo nel 1363 papa Urbano V riconobbe finalmente allo Studio Patavino il diritto di concedere lauree in Teologia.
Sia il convento che la scuola teologica furono negli anni sostenuti economicamente a mezzo di indulgenze concesse da vari Papi; a metà del XVI secolo data un importante ampliamento del convento con costruzione del Chiostro grande, distrutto a seguito di un bombardamento il 24 marzo del 1944.
Nella c.d. scoletta, annessa al convento ed affrescata nel XVI secolo, aveva sede già dal 1335 la “Pia Confraternita della Beata Vergine del Monte Carmelo” (maschile), soppressa insieme al convento nel 1810, come si dirà.
La vita operosa a serena del convento venne improvvisamente turbata nel 1491. Un primo non grave terremoto avvenuto nel 1488 ed una nevicata straordinaria avevano probabilmente già compromesso la stabilità della copertura di legno, che crollò a seguito di un secondo terremoto nell’inverno di quell’anno danneggiando gravemente i muri maestri fin circa a metà parete, la sacrestia, poi ricostruita su progetto di Lorenzo da Bologna, e parte del chiostro, mentre un incendio distrusse anche il dormitorio dei frati.
Le opere di ripristino iniziarono immediatamente ma apparvero subito estremamente onerose a causa dell’entità del danno; risultò quindi necessario appellarsi al governo della città ed alla popolazione per raccogliere le somme necessarie. Per agevolare la raccolta di fondi per la ricostruzione, che evidentemente procedeva a rilento, nel 1504 Papa Giulio II concesse l’indulgenza plenaria in favore della fabbrica del Carmine: chi avesse quindi fatto offerte e donazioni per la ricostruzione della chiesa avrebbe avuto rimessi tutti i peccati, cosa estremamente interessante per la sensibilità dell’epoca!
In questo primo restauro vennero conservate forma e proporzioni della chiesa originaria, sostituendo però la copertura di legno con una giudicata, oltre che migliore esteticamente, di maggiore solidità. Il progetto originario prevedeva l’erezione di tre cupole sull’intera lunghezza della costruzione, di cui quella centrale avrebbe avuto dimensioni maggiori. Considerazioni economiche portarono invece ad una modifica del progetto mantenendo una sola cupola, come nella sistemazione attuale: quella sull’estremità nord, sopra l’abside. Le due cupole mancanti vennero sostituite da una volta reale (cum lunellis), che tuttavia crollò nuovamente, a causa di un ennesimo terremoto, nel 1696. Attualmente abbiamo una finta volta costruita in traliccio con arconi dipinti, più leggera.
Nel 1523 venne allargata la navata e costruite le dodici cappelle laterali, delle quali diremo meglio in seguito. Nel 1681 si decise di chiudere una porta che si apriva sul lato sinistro della navata, dal lato dell’attuale piazzale Mazzini, chiamata “porta delle dame” perché era utilizzata, appunto, dalle dame dell’aristocrazia cittadina che si recavano in chiesa in carrozza; in luogo della porta venne eretta una cappella dedicata a San Pietro d’Alcantara (ora di Santa Teresa del Bambin Gesù), sul cui altare era una pala dello Zanella, oggi perduta. Vennero anche aperte le due porte laterali sulla facciata.
Incendi, Bombardamenti, Soppressioni, Confraternite
Il 22 marzo 1800 un incendio provocato dalle luminarie allestite per festeggiare la nomina di Papa Pio VII distrusse totalmente la cupola; dopo vari tentativi il rifacimento della cupola venne portato a termine nel 1899.
Dopo soli diciotto anni anche questa nuova cupola andò a fuoco, il 28.12.1917, a causa di un bombardamento austriaco. La cupola attuale è stata terminata nel 1932; allo stesso periodo risalgono gli affreschi del presbiterio ad opera del pittore bolzanese Antonio Fasal.
In ottemperanza alle leggi napoleoniche, nel maggio 1810 il convento venne soppresso; gli edifici passarono in proprietà del demanio e vennero utilizzati come caserma, ora perduta.
La chiesa venne preservata rendendola parrocchiale al posto della antichissima, ma più piccola, chiesa di San Giacomo di cui già si è detto; dopo più di 500 anni, i padri Carmelitani lasciarono la chiesa, che venne affidata al clero secolare. Da San Giacomo vennero traslati ai Carmini il fonte battesimale e due pale d’altare, ora collocate sui due altari della navata più vicini al presbiterio: “I Santi Giacomo e Giovanni con la madre innanzi a Gesù” del Padovanino, e una “Pietà” del primo 600. Al tempo erano in corso lavori di rifacimento dell’altare maggiore, in forme neoclassico-palladiane; possiamo ora ammirarvi un paliotto di fine seicento proveniente da un’altra chiesa ancora, nel frattempo demolita.
Con la chiusura del convento venne soppressa anche la “Pia Confraternita della Beata Vergine del Monte Carmelo”; rimase invece attiva una “Compagnia spirituale dell’Abitino”, mista, fondata alla fine del ‘500 dal Varotari e ancora presente nella prima metà del ‘900. Nel 1672 Papa Clemente X fondò la “Confraternita di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi”, femminile, arricchendola di numerose indulgenze; quest’ultima confraternita era attiva ancora a metà dell‘800.
La Madonna dei Lumini
Nell’anno 1576 scoppiò in molte città del Veneto una epidemia di peste la cui virulenza ridusse di un quarto la popolazione, specialmente nella zona entro le mura, densamente abitata e priva di impianti di sanificazione, e nel ghetto, tanto che secondo una cronaca del tempo riportata da Gasparotto “neppure i gatti rimasero vivi”.
A nulla valsero, a fermare l’epidemia, offerte e preghiere, finché nella tarda primavera di quell’anno entrò in campo una immagine della Madonna già ritenuta miracolosa: la Madonna di Dietro Corte.
Si trattava di un affresco raffigurante la Madonna col bambino, attribuito a Stefano dell’Arzere, che si trovava sulla lunetta di un sottoportico forse dell’attuale via Patriarcato, immagine già oggetto di devozione popolare mediante offerta di ceri e lumini. I devoti avevano già valutato la possibilità di staccare l’affresco per collocarlo più degnamente, ma il progetto era stato abbandonato in quanto si era giudicato impossibile staccare l’immagine senza danneggiarla irreparabilmente. Ora però in due visioni avute da personaggi importanti della città (il provinciale dei Carmelitani e il Capitano Alvise Zorzi) la Madonna stessa promise di fermare la peste purché l’immagine venisse traslata nella chiesa dei Carmini. Con una cerimonia solenne si provvedette al distacco che riuscì, prodigiosamente, senza danneggiare l’immagine, la quale venne solennemente traslata ai Carmini il 12 ottobre; immediatamente dopo quella data cessarono i decessi ed il contagio si esaurì.
Per gratitudine il governo della città istituì quindi una solenne processione cittadina ai Carmini il 16 luglio, giorno della Purificazione, usanza proseguita fino al 1868 con la partecipazione ufficiale ed il sostegno economico del governo cittadino, e in forma di devozione privata in ambito parrocchiale successivamente, ed ancora ai nostri giorni. Gli episodi fondamentali di questa vicenda sono raffigurati in sei quadri collocati nel parapetto della Cantoria.
Ora l’immagine è conosciuta popolarmente come Madonna dei Lumini a cagione del gran numero di offerte luminose che riceve, ed è collocata, con grande pompa, sull’altare maggiore.
L’aspetto attuale
Nella facciata di mattoni, incompiuta, si aprono tre porte, la maggiore delle quali, lignea, risale al 1412 ed è quindi la più antica della città. I suoi battenti sono decorati con formelle quadrate di legno contenenti una foglia di acanto, ai lati dei battenti due candelabre decorate da un tralcio di acanto che nasce da un vaso, mentre al disopra si ammira una cornice con formelle rettangolari con simili decorazioni; due colonne ioniche, appartenenti ad un portale completato nel 1737, inquadrano il tutto. Dominano il portale tre statue, opera di Tommaso Bonazza (1736).
Le due porte laterali, come si è detto, vennero aperte nel 1681, contestualmente alla trasformazione in cappella della “Porta delle dame” sul lato ovest.
Curioso il campanile, a base quadrata, composto da due corpi sovrapposti di diverse dimensioni; inizialmente infatti era alto come la chiesa, e venne sopraelevato nel 1620-22. Alla base, il campanile ospita una cappella trecentesca.
L’interno è a navata unica con possenti archi che sorreggono la cupola; nei pressi delle porte laterali sorgono due acquasantiere decorate delle statue di marmo di S. Alberto carmelitano e dell’Immacolata, opera di Giovanni Bonazza, donate dalla famiglia Justachini.
Le Cappelle
Sui lati della navata un sistema di dodici piccole cappelle estradossate, su progetto di Lorenzo da Bologna, è considerato uno degli esempi pioneristici dell’architettura rinascimentale nell’entroterra veneto. Si tratta di cappelle funerarie donate dai maggiorenti della città, la cui decorazione risale al periodo della ricostruzione della chiesa dopo la rovina del 1491; le sepolture erano a terra antistanti all’altare, ma le lapidi sono ormai molto consunte e difficilmente leggibili. Nel corso dei secoli la dedicazione di alcune di queste cappelle venne a mutare. Una sola di queste tombe è propriamente monumentale, quella, addossata al pilastro destro di sostegno della cupola, del giurista e ambasciatore Tiberio Deciani, morto nel 1582, attribuita a Francesco Segala. Sugli altari diverse pale attribuite a Stefano dell’Arzere o Dario Varotari, talora perdute o ricollocate; la pala del sesto altare a destra rappresenta “La madre degli Zebedei davanti a Cristo” ed è opera del Padovanino. Nella quarta cappella di sinistra si ammira la statua della Madonna del Carmine “riccamnente vestita ed ornata”, la stessa che viene portata in processione il 16 luglio, ed alcuni ex voto per grazie ricevute.
Di particolare interesse è la prima cappella di destra, l’Altare dei Mugnai (o molinari), che fu rinnovato a spese della fraglia dei Molinari nel 1688. Sull’altare un delizioso paliotto in marmo intarsiato con raffigurazioni di prospettiva un po’ ingenua ma assai originali e vivaci: nel riquadro di sinistra si ammirano i molini di città col ponte di epoca romana (ora Ponte Molino), in quello di destra i molini di campagna; nel cielo volano colombi bianchi simbolo della provvidenza. Nel pannello centrale è raffigurato il Ponte Molino recante nell’arcata centrale una scritta dedicatoria e l’immagine della Madonna col bambino, San Rocco e San Sebastiano. Anticamente sull’altare si trovava la statua raffigurante la Madonna “riccamente vestita ed adorna”, forse di maniera di Andrea Brustolon, che ora è collocata, come già detto, nella quarta cappella a sinistra. Ornano le pareti pitture ed affreschi attribuiti a Dario Varotari.
Sopra le cappelle si ammira un fregio continuativo a teloni ad olio con episodi della storia o leggenda dei Carmelitani. La navata era decorata già dalla metà del XIV secolo con affreschi di Stefano dell’Arzere e Dario Varotari che furono però scialbati nel ‘700; ne permangono esempi solo nella prima cappella a sinistra, quella dei Lanari, ma recenti restauri hanno riportato alla luce tondi affrescati di stile rinascimentale che rappresentano alcuni Profeti e Sibille.
Sopra la porta principale una bella Annunciazione del Varotari.
Il pavimento è in marmi policromi.
Nella campata sottostante la cupola ammiriamo due cantorie lignee gemelle risalenti al XVIII secolo; quella di destra ospita un organo costruito nel 1877.
Il Presbiterio
Il presbiterio è sollevato di due gradini rispetto alla navata; sull’altare maggiore, in una ricca cornice dorata, l’immagine della Madonna dei Lumini; nel paliotto un bassorilievo settecentesco che raffigura l’Ultima Cena.
Sul lato est del presbiterio si aprono due semplici portali, attualmente chiusi da porte a vetri, che immettono alla sacrestia, probabilmente superstiti alla rovina della chiesa quattrocentesca.
La sacrestia, distrutta dal terremoto come si è detto, è stata restaurata intorno al 1504 su progetto di Giovanni da Bologna e presenta forme già rinascimentali, con una deliziosa piccola cappella.
Le cappelle absidali, anch’esse funerarie, sono ancora quelle trecentesche, superstiti al crollo del tetto, ridecorate nella seconda metà del 600. Quella sul lato ovest è dedicata a S. Maria Maddalena dè Pazzi e presenta affreschi allegorici nella volta; quella sul lato est, sotto il campanile, pur essendo intitolata al Beato Franco da Siena, ospita attualmente le spoglie di Santa Libera. Gli affreschi sulla volta, forse di Zanella, sono stati danneggiati dai fori aperti sulla volta stessa per consentire il passaggio alle corde delle campane – così almeno li ha trovati Gasparotto negli anni ‘50; non è stato possibile verificare se nel frattempo siano stati oggetto di restauro.
Ora la grande chiesa è spesso vuota, salvo per qualche suorina biancovestita che delicatamente si prende cura degli arredi ed allestisce gli altari per le celebrazioni; la navata odorosa di incenso risuona dei passi dei visitatori e dei ricordi di tanti secoli di storia.
Laura Rodighiero