I signori dei castelli nel Medioevo vicentino

Abstract

Nel periodo medioevale a Vicenza e nel Vicentino come in molte altre province del veneto e d’Italia, in una situazione a volte caotica alcune famiglie riescono a imporsi e a volgere a proprio vantaggio gli avvenimenti diventando sempre più ricche e potenti. Con l’appoggio di autorità superiori come quella del vescovo o del sovrano del momento che a volte le investono di poteri e assegnano loro dei territori diventano i signori di vasti distretti che si trasformano nei loro feudi sui quali esercitano una giurisdizione senza vincoli. In questi distretti, soprattutto sulle alture sorgono i castelli spesso di proprietà vescovile o di concessione imperiale che questi castellani interpretano come i loro manieri dai quali esercitano un controllo quasi assoluto sulle cose e sulle persone loro sottoposte. E’ l’incastellamento che risponde a due obiettivi: il controllo appunto del territorio e la difesa da attacchi esterni, e questa seconda funzione risulta assai rilevante soprattutto nelle difficilissime emergenze dovute alle invasioni ungariche.

Inquadramento generale: alcune delle famiglie nobili di Vicenza

I Maltraversi
I Pilio, da Sossano
I Da Porto
I Da Vivaro
I Da Romano
I Da Breganze
I Verlati
I Trissino

I signori dei castelli

Ottone III di Sassonia

Nel discorrere dei Signori dei castelli nel medioevo vicentino non si può non partire dal potere che esercitava il vescovo soprattutto nei primi secoli dopo il Mille. Sappiamo come con gli Ottoni i vescovi siano insigniti anche di autorità civile con il titolo di conti e diventino di fatto responsabili di ciò che avviene nelle giurisdizioni a loro sottoposte. Infatti attorno al X secolo risale la concessione imperiale al vescovo di costruire castelli e negli atti di investitura presenti nell’archivio della Mensa Vescovile figurano ben 25 castelli alle sue dipendenze che non sempre gestisce in modo diretto ma dandoli a sua volta in concessione a famiglie della nobiltà vicentina. Le fortificazioni di cui i signori investiti dall’autorità vescovile diventano i feudatari sono collocate soprattutto sulle colline e a mezza costa lungo il pedemonte, luoghi  spesso già insediati dagli antichi castellieri perché permettono una maggiore possibilità di difesa da eventuali attacchi provenienti dall’esterno, e se consideriamo l’aspetto orografico del territorio per lo più collinare e montuoso verso il nord-ovest ci rendiamo conto di quanto quelle collocazioni rispondessero allo scopo anche per un controllo dei percorsi che si snodano a fondovalle e sulle pendici dei rilievi.

Anche Roma quando era intervenuta con la sua colonizzazione del territorio o con il recupero delle   della viabilità già esistente non aveva potuto non tenere conto di questa situazione per poter proteggere i grandi centri che si trovavano nella pianura ma non così lontani dai passi che immettevano in territori non ancora sottoposti e con genti a volte piuttosto ostili in grado di organizzare scorribande verso le postazioni a sud della Alpi se non vere e proprie invasioni.

Palazzo Scaligero a Verona (L’Arena)

Se si considera  che proprio nel periodo di dette investiture imperiali dei vescovi, tra novecento e mille avvengono quelle che sono giudicate come tra le più distruttive invasioni barbariche che non siano mai avvenute, quelle degli Ungari, si comprende  come l’esigenza di riconsiderare luoghi più sicuri  le alture, dove già  avevano costruito le loro pur rudimentali opere di difesa genti del passato, spinga questi signori spesso con l’appoggio dei borghi circostanti che in caso di pericolo vi possono trovare rifugio a erigere dei manieri e di circondarli di imponenti mura di protezione. E’ l’incastellamento che principalmente risponde a due obiettivi: il controllo del signore sul territorio e sulle persone che in esso vivono o operano; la difesa in caso di attacco da parte di forze esterne. Fondamentale in questo periodo è il controllo della transumanza la cui meta estiva sono gli alti pascoli, quindi in territori non sempre sicuri, e la difesa dei terreni agricoli, ed è in queste situazioni che si impongono le famiglie più forti nelle diverse aree del Vicentino. Ad un certo momento però il potere di questi casati viene messo profondamente in crisi, e per alcuni sarà la fine oltre che per estinzione naturale dovuta alla morte degli ultimi esponenti, per l’entrata in scena di casati che possono esibire ben altra potenza come i Da Romano, in particolare con Ezzelino III detto il tiranno che potrà contare sull’appoggio di Federico II; i Della Scala; i Visconti; per non dire della “dazione” di Vicenza alla Serenissima del 1404. Farò un elenco certamente incompleto delle maggiori famiglie del medioevo vicentino, per poi soffermarmi in particolare su alcune o su esponenti più autorevoli di esse perché interpreti significativi di quel particolare momento storico:

I Maltraversi, i Da Vivaro, i Pilio da Sossano, i Malacappella, i Loschi, i Bonjudei, i Lozzo, i Verlato, i Valmarana, i Trissino e molti altri. Senza contare poi che alcune delle casate maggiori danno origine a casate secondarie che prendono un altro nome, come è il caso, per esempio, dei Maltraversi che danno origine ai Da Arzignano e ad altre.

I Maltraversi

Castello dei Maltraverso a Montebello Vicentino

Capostipite della casata è considerato Maltraverso che  si ritiene discendente dai Longobardi e che alcuni descrivono come diretto discendente dei Conti di Vicenza, una potente famiglia comitale vicentino-padovana che deriverebbe dal nobile veneziano Vitale Ugo Candiani del X secolo. Per inciso, anche se forse non è il caso nostro, c’è da aggiungere che i conti sarebbero personalità investite del potere del periodo carolingio che a volte, nonostante i cambiamenti intervenuti o forse per vezzo, rivendicano una ascendenza in signori longobardi, e questo avvalorerebbe l’assunto del capostipite. Il ruolo dei Maltraversi è molto rilevante soprattutto a Vicenza pur trovandosi spesso in contrasto con altre autorità come quella vescovile, con i poteri comunali e più tardi con potenze provenienti da fuori come i Da Romano e gli Scaligeri. Nel periodo di maggiore splendore sono proprietari o vantano ingerenze in diversi borghi come Montebello che è la sede abituale e la loro roccaforte per molto tempo, Arzignano con un suo derivato, Montegalda e diversi altri;   il castello di Montebello è il centro di numerose dispute e contese per il suo possesso tra diversi soggetti e poiché i Maltraversi prendono posizioni diverse nei confronti dell’imperatore, più vicini in un primo tempo alla potestà imperiale, rivali quando il trono è occupato da Federico II, sono costretti a volte a lasciare il maniero per poi fare ritorno in momenti più favorevoli; hanno la possibilità di interferire con i monasteri di Praglia e del Summano, la chiesa di San Salvatore di Montecchia, l’eremo di San Cassiano di Lumignano. Ad un certo momento anche la valle del Leogra-Timonchio cade sotto la loro giurisdizione con i centri di Schio, Magrè, Arsiero e altri.

I Pilio, da Sossano

Castello di Poiana

Si hanno notizie dei conti Da Sossano fin dal 1068 poiché la figlia di Gumberto, Adelasia, sposa il figlio di Pietro Contarini fratello del doge Domenico Contarini. I Comites o Capitanei de Celsano sono una famiglia antichissima e da questa famiglia derivano i Carraresi, i Montecchi, i Pilio, i Loschi, i Ferramosca (Lo stemma del Comune di Sossano su tutto il campo riporta per traverso la scritta COELSANUS). Il ramo dei Pilio è molto importante ed è quello che ci interessa; sono  consoli di giustizia a Vicenza, promotori della rivolta contro il potere imperiale e della costituzione della Lega Veronese. La prima volta a comparire il nome Pilio è con Vincenzo di Pilio o Pilio di Vincenzo, ambasciatore di Vicenza presso Federico Barbarossa a Costanza e nominato dal sovrano console della città. Epico è lo scontro di questa famiglia, soprattutto con Uguccione, con i Da Romano; questi, ritiratosi a Montecchio, sua postazione di difesa preferita, deve subire l’attacco nel 1239 nientemeno che dell’imperatore Federico II che lo costringe a seguirlo nei suoi spostamenti, ma con un sotterfugio Uguccione ritorna in possesso del castello dopo avere ucciso i saraceni che l’imperatore aveva posto a custodia. A quel punto  i Da Romano rientrano in scena con l’assalto ai castelli di Montorso, Sossano, Lonigo, Pojana e Noventa costringendo Uguccione con i suoi alleati Azzo d’Este e Rizzardo di San Bonifacio alla resa. In seguito alla sconfitta di Ezzelino III contro una coalizione che si era proposta l’eliminazione della dinastia dei Da Romano, i Pilio rientrano a Vicenza dominando la scena con l’appoggio degli Estensi e di Padova. Verso il 1300 la famiglia si estingue con gli ultimi esponenti condannati per eresia dopo la loro morte e con la conseguente dispersione del grande patrimonio di cui erano detentori.

I Porto

Fin dal X secolo i Porto sono tra le famiglie che predominano nel Comitato vicentino e come vassalli esercitano una influente azione sul vescovo.

I Da Vivaro

Scrive il Paglierino in “Croniche  di Vicenza”: “Vivaro, castello non lontano dalla città duemila passi, è stato posseduto e signoreggiato dalla nobile, e antica famiglia da Vivaro; i Vivaresi erano nella città di Vicenza molto potenti di fazione e abbondanti di ricchezze; avevano le loro case nel borgo di Pusterla, alla parte opposta della chiesa di San Marco”.

I Da Romano

Secondo la tradizione il capostipite dei Da Romano scende in Italia al seguito di Corrado II il Salico nel 1036. Una documentazione certa è del 1070 dove compre Eccelo con la moglie Gisla; nel 1076 egli si dichiara “da Onara e da Romano”, due postazioni strategiche nei pressi del fiume Brenta lungo il quale passa la strada che collega il versante sud delle Alpi con il versante nord. Si ritrova questo personaggio nel 1085 per una donazione al monastero di Santa Eufemia di Villanova. Pian piano la casata allarga i suoi domini fino ad includere diversi borghi e castelli come Oderzo, Marostica, Maser e altri. Ezzelino I, nipote di Eccelo, è uno dei sostenitori della Lega Lombarda e riesce ad ampliare considerevolmente i suoi possedimenti. Il figlio Ezzelino II eccelle nella vita pubblica divenendo in momenti diversi podestà di Treviso, di Verona, di Vicenza tra la fine del millecento e l’inizio del milleduecento. Verso la fine della vita si ritira nel monastero di Santa Croce di Campese fondato nel 1124 ad opera di Pons de Mélgueil non prima però di avere diviso le sue ingenti proprietà tra i suoi tre figli, Ezzelino III, Alberico II, Cunizza. Ezzelino III è il dominatore assoluto della scena pubblica veneta durante la sua vita, a volte in accordo con il fratello Alberico, a volte in contrasto con lui. I due com

Castello degli Ezzelini aBassano del Grappa

unque si divideranno i territori di influenza e talvolta si scambieranno tra loro le zone su cui esercitare il loro potere, quasi sempre comunque a trarre i maggiori vantaggi sarà il primogenito che si muove senza scrupoli e con prepotenza tanto da essere visto come un  tiranno e da guadagnarsi il soprannome di terribile. Spesso agisce come “longa manus” dell’imperatore Federico II con il quale però non sempre i rapporti sono idilliaci. Ferito nel corso di uno scontro con una larga coalizione che si era formata contro di lui, viene rinchiuso in una prigione dove forse si lascia morire per fame. Sorte ancora più crudele tocca ad Alberico il quale deve assistere alla morte tra atroci torture della moglie e dei figli per poi subire altrettante torture lui stesso fino a morirne.

I Da Breganze

Detentori di possedimenti cospicui nella valle dell’Astico, sull’altopiano di Asiago, nelle zone di Marostica e di Bassano, sono una vera potenza economica che però ha dei risvolti importanti anche sulla vita civile in quanto esercitano delle vere e proprie funzioni giurisdizionali.

Marostica, il Castello scaligero

I Verlati

Probabilmente al seguito dell’imperatore Enrico II scendono in Italia alcuni cavalieri sassoni tra cui Giovanni Verla che si insedia nella località che prenderà il nome di Villa Verlaria, poi Villaverla. A Vicenza dà origine alla nobile famiglia Verlato. Un suo esponente, Giacomo Verlato tenta senza successo di ribellarsi contro la dominazione padovana; più tardi un altro esponente, Reinaldo, si pone alla testa della contestazione contro gli Scaligeri subentrati ai Padovani nella dominazione della città e del territorio vicentino.

L’imperatore Enrico II

I Trissino

Capostipite della casata è considerato Olderico, in un primo momento detto de Alemana e in seguito di Trissino, sceso in Italia forse al seguito dell’imperatore Federico Barbarossa. Le prime notizie che si hanno dei Trissino, che prendono questo nome dal luogo dove pongono la loro dimora, vedono Olderico de Drexeno, insieme a Raimondino de Zereda e altri assistere al giuramento di fedeltà alla città di Vicenza da parte degli uomini di Bassano e di Margnano. Non è chiaro se dallo steso imperatore i Trissino siano investiti del feudo della Valle; è molto dettagliato invece il documento che assegna ai figli Miglioranza e Panensacco diritti e giurisdizioni sul territorio di Valdagno stabilendo tra l’altro che le alture dove sarebbero potute sorgere delle fortezze dovessero essere comuni tra i due fratelli, cosa che però non avviene tanto che probabilmente proprio a causa dell’eredità paterna tra i due sorge una grande rivalità e tale rimarrà tra i loro discendenti; i due rami che ne deriveranno prenderanno il nome di colmelli o colonelli, indirizzato verso i Ghibellini quello di Miglioranza e verso i Guelfi quello di Paninsacco, e sopra Valdagno su due alture diverse sorgeranno i loro castelli, quello di Paninsacco sul colle omonimo, sopra il colle attualmente detto “Castello” quello di Miglioranza. Anche a Vicenza i Trissino hanno i loro possedimenti e la parte ghibellina che parteggia per l’imperatore, dopo che nel 1236 Vicenza subisce una rovinosa distruzione da parte di Ezzelino il tiranno  viene messa al bando dal podestà Azzone d’Este capo del partito guelfo e il castello di  Miglioranza a Valdagno viene distrutto. Secondo il Paglierino però non soltanto i ghibellini subiscono questa sorte ma anche molti nobili vicentini dell’una e dell’altra fazione e il castello di Paninsacco dove il Trissino si era rifugiato, viene preso da Azzone che toglie a Panensacco e ai suoi eredi la potestà di quei luoghi. Succedono poi episodi piuttosto confusi, con i vicentini che assaltano i castelli di Valdagno per vendicare il fatto che durante il periodo dei Da Romano soprattutto Miglioranza si era appoggiato ad Ezzelino, e si ha un grande spargimento di sangue da una parte e dall’altra,  tanto che la vicenda è ricordata come la guerra di Valdagno.

Gian Giorgio Trissino

Pur nel corso di tali avvenimenti confusi il vescovo Manfredo dei Pii tra il 1232 ed il 1235 investe Panensacco della decima su tutte le terre coltivate nel colonnello di sua pertinenza di Valdagno e Cornedo, investitura rinnovata poi dal vescovo Pietro de’ Saraceni e conferita anche per la parte di sua pertinenza al Miglioranza. Per inciso, è da ricordare che prima dell’arrivo dei Trissino i territori di Cornedo e Priabona con i relativi castelli sono di pertinenza dei Zambricio. Un documento del 1083 conservato nel codice diplomatico di Vicenza così inizia: “In Christi nomine. Amen. Die Martis vigesima quinta mensis Septembris in castro Coroneti in domo habitazionis infrascripti domini Zambrici Castellani in dicto castro Coroneti Vicentini districtus presentibus ser Tomaso q. ser Jacobi de Coroneto”. Gli  Zambricio, o Zamperetti, creano anche un importante centro culturale con l’assidua presenza dei principali esponenti di arte e cultura dell’epoca, in particolare è da menzionare Arnaldo (XI – XII sec.), uomo di grande cultura scientifica e medica che traduce diverse opere dell’antica cucina greca sostenendo uno stretto rapporto tra alimentazione e salute. I primogeniti della famiglia possono vantare il titolo di principi. Non sappiamo come sia avvenuto il trapasso tra i Zambricio-Zamperetti e i Trissino, se trapasso c’è stato; meglio, non sappiamo come e perché sia cessato il predominio della famiglia Zamperetti su questi territori; è certo comunque che il primo castello dei Trissino è quello situato nel borgo omonimo e da qui essi estendono i loro possedimenti a Valdagno, Cornedo, Quargnenta e in gran parte della valle dell’Agno da cui ricavano le decime sui raccolti e la tassa sulla macina, il che prosegue anche con la dominazione veneziana, cosa assai rara per un potere di derivazione medioevale contro cui Venezia quasi sempre si schiera, potere  difeso comunque dallo stesso G. G. Trissino che nel momento in cui i coloni si appellano all’autorità lagunare per l’esosità dei Signori Trissino pronuncia una orazione piuttosto sostenuta contro le loro pretese.

Panorama di Trissino
Arnaldo Zamperetti in un dipinto di Jacopo Da Bassano

Jacopo da Bassano, su richiesta della famiglia Zamperetti, dipinse nel periodo 1558-60 questo ritratto postumo del principe Arnaldo Zamperetti da Cornedo (vissuto tra i sec XI e XII), avvalendosi di un disegno a carboncino di epoca medievale in pessime condizioni che riportava a tergo la dicitura “Ritractus illustrissimi et excellentissimi Principis Arnaldi Zamperetti d.C. “. Il dipinto si trova a Berlino, nel Museo Staatliche, Gemäldegalerie, e si tratta dell’unico ritratto conosciuto del Principe (commons.wikimedia.org).

Federico Cabianca

 

 

 

 

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