Sommario
Abstract
Il Museo di macchine “Enrico Bernardi” racconta la vita e l’opera di Enrico Zeno Bernardi (1841-1919), docente di macchine all’Università di Padova dal 1878 al 1915 e precursore dell’automobile italiana. Si tratta di un Museo che documenta l’attività pionieristica di Enrico Bernardi nel campo della meccanica e mostra i molti prototipi di motori da lui realizzati.
La storia del Museo
Il Museo trae le sue origini dal lascito che la famiglia Bernardi fece all’allora Istituto di Macchine dell’Università di Padova alla morte del professore. Il lascito comprende sia la parte di manufatti costruiti “colle proprie mani” da Bernardi, ovvero i motori, il motociclo e la vettura, sia il suo Archivio. Inaugurato il 20 maggio 1941, in occasione del centenario della nascita di Bernardi su iniziativa del prof. Mario Medici, il Museo aveva inizialmente sede in via Marzolo. Ha seguito negli anni le trasformazioni che hanno portato alla nascita del Dipartimento di Ingegneria Industriale, a cui è vincolato per lascito, fino ad arrivare nell’attuale sede di via Venezia 1. Nel 2013 inizia, grazie in primis all’azione del prof. Guido Ardizzon e del prof. Giulio Peruzzi, il lavoro per il nuovo allestimento del museo, inaugurato nel 2014. L’opera di digitalizzazione di tutta la documentazione, iniziata in parallelo al nuovo allestimento, è stata completata nel 2021, grazie a un progetto proposto e finanziato dal prof. Alberto Mirandola.
Oltre ad accogliere visitatori di ogni età, il Museo è un preziosissimo sussidio didattico. Sono infatti numerosi gli studenti che svolgono la loro tesi studiando le realizzazioni di Bernardi, usando come fonte primaria sia i manufatti conservati in Museo che l’Archivio.
Enrico Zeno Bernardi (1841-1919)
Enrico Zeno Bernardi nasce a Verona il 20 maggio 1841 da Lauro, medico, e da Bianca Carlotti. A Verona frequenta il liceo cittadino, ora Liceo Maffei. Nell’ottobre del 1859 si iscrive all’Università di Padova e nel giugno del 1863 si laurea in Matematica, a 22 anni appena compiuti. Nella sua tesi di laurea affronta ben trentatré temi diversi, che andavano dall’economia rurale alla geodesia, dall’idrometria alla matematica pura e applicata, dalla geometria descrittiva all’architettura civile, stradale e idraulica, dal disegno architettonico al disegno di macchine fino ai trattati legali. Uno degli aspetti che caratterizzano gli anni della formazione di Bernardi è sicuramente la dimostrazione di un talento precoce. Nel corso dell’adolescenza, Bernardi ama trascorrere per pura passione e curiosità le ore libere nelle officine dei fabbri ferrai cittadini, acquisendo un’abilità manuale tale da consentirgli fin da subito di dare libero sfogo alle sue spiccate capacità inventive. Nel dicembre 1856, appena quindicenne, presenta all’Esposizione dell’Agricoltura di Verona un modello di locomotiva e un modello di macchina a vapore che gli valsero la “Menzione onorevole” della giuria. Anche durante gli studi universitari Bernardi mantiene questa abitudine, lavorando come apprendista nella Fonderia Rocchetti, fondata dal meccanico della Specola Paolo Rocchetti e seconda fonderia più importante della regione. L’interesse per le lavorazioni meccaniche, dalle tecniche dell’aggiustaggio a quelle della forgiatura e della fonderia venne sempre coltivato da Bernardi, come testimonia la stupefacente perfezione dei suoi meccanismi e dei dispositivi che propose successivamente in campo motoristico. Dopo la laurea, Bernardi rimane a Padova come assistente presso le cattedre di geodesia, idrometria, meccanica razionale e fisica sperimentale fino al 1867, anno in cui vinse il concorso per la cattedra di fisica e meccanica del Reale Istituto Professionale Industriale di Vicenza, dove rimarrà fino al 1878, dopo essere anche diventato preside dell’Istituto a neanche 35 anni, nel 1876. Inizia in questo momento un’intensa attività scientifica su un’ampia varietà di temi: dalle costruzioni meccaniche alla meccanica dei solidi, dalla meccanica dei fluidi all’aerodinamica, dall’idraulica alla matematica, dalla geometria all’elettricità, dall’astronomia alla fotografia a colori, mostrando un’incredibile ecletticità sostenuta oltre che da doti naturali anche dalla formazione culturale. L’esperienza vicentina è fondamentale per Bernardi, perché è proprio qui che sviluppa l’interesse per i motori a combustione interna e coglie pienamente le necessità dell’epoca, ovvero di disporre di macchine di piccola potenza, facilmente trasportabili e adatte alla piccola industria e all’industria domestica e, perché no, al settore dei trasporti. Nel 1876 viene fondata a Padova la Scuola di applicazione per ingegneri, e nel 1878 Bernardi viene richiamato come professore straordinario (ordinario dal 1886) di macchine idrauliche, termiche e agricole e di meccanica applicata, oltre ad essere incaricato dell’insegnamento della meccanica applicata alle costruzioni e alle macchine. Nel 1879 diventa direttore del Gabinetto di macchine e l’anno successivo fonda il Gabinetto di meccanica applicata, che diventano poi Istituto di macchine, Istituto che Bernardi diresse fino al 1915, quando viene messo in quiescenza. Nello stesso anno, si trasferisce con il figlio Lauro a Torino, chiamato da Giovanni Agnelli alla FIAT. Agnelli aveva avuto occasione di conoscere il professore padovano e di ammirare le sue realizzazioni mentre stava svolgendo il servizio militare in Veneto. Bernardi muore nella città sabauda il 21 febbraio del 1919, all’età di 78 anni.
L’opera di Enrico Bernardi
Il motore atmosferico
Bernardi inizia ad occuparsi dei problemi connessi alla costruzione di un motore atmosferico a partire dal 1870. La prima realizzazione di Bernardi risale al 1872-74, quando costruisce un motore di tipo atmosferico, della potenza di appena 1/50 di kW, che consumava proporzionalmente circa il 20% in meno dei contemporanei motori tedeschi, di potenza 80 volte maggiore, costruiti da Langen-Otto. Nel Museo è conservato un esemplare ad asse verticale della potenza di 1/25 CV funzionante a gas illuminante, datato 1878.
Prototipo di motore a scoppio di Enrico Bernardi.
Esposto al Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano.
La motrice Pia
Nel periodo 1880-82 Enrico Bernardi sviluppa un nuovo prototipo di motore, per molti versi innovativo: dal principio di funzionamento, all’elevato regime di rotazione fino all’originalità di molti dei componenti. Tale motore viene denominato Motrice Pia, dal nome della figlia, e Bernardi ottiene per esso una privativa industriale della durata di tre anni per un “motore a scoppio, a gas, per le piccole industrie”. Si tratta del primo brevetto per un motore a combustione interna operante secondo un ciclo misto, atmosferico e ad azione diretta. Due anni dopo, nel 1884, Bernardi utilizza, primo in Europa, la benzina come combustibile. Con questo motore riuscì a raggiungere un rendimento del 14%, ben superiore quindi al 4% di altri motori suoi contemporanei. Per consentire l’evaporazione dell’olio combustibile, Bernardi inventa il carburatore. La sua prima applicazione pratica è stata l’azionamento della macchina per cucire di Pia. Bernardi presenta la Motrice Pia nella sezione di meccanica (la XVIIa) all’Esposizione nazionale di Torino del 1884, dove viene premiato con una medaglia d’argento.
Nel Museo sono conservati cinque esemplari di motrice Pia: tre a benzina, uno a gas illuminante e un prototipo a doppio effetto a benzina.
Motrice Pia di Enrico Bernardi, 1882
Il motore Lauro
Dopo la caduta della privativa di Nicolaus August Otto sul motore a 4 tempi, nel 1886, Bernardi può iniziare a lavorare su questo tipo di motori. È così che nasce il motore Lauro, che porta il nome del figlio, fatto che rimarca l’attaccamento alla famiglia di Bernardi. In questo motore Bernardi introduce interessanti innovazioni tecniche: un dispositivo di accensione ad incandescenza, composto da una reticella di platino, un cilindro-motore a camera di compressione diretta, con valvola di distribuzione in testa azionata mediante un bocciolo su albero secondario e leva a bilanciere, un regolatore di velocità ad asse orizzontale con molla antagonista a tensione variabile a volontà, un carburatore di benzina a livello costante, mantenuto tale grazie a un galleggiante operante sulla valvola di presa del carburante, corredata di un dispositivo di regolazione a mano, che precorse i moderni carburatori a getto polverizzato di benzina. Il carburatore era posto nella testata e formava gruppo con la valvola d’aspirazione, mentre la vaschetta del carburante era separata. Il raffreddamento del cilindro avveniva mediante circolazione forzata dell’acqua attivata da una frazione dei gas di scarico, mentre la circolazione del radiatore a tubi d’aria viene avviata mediante piccoli quantitativi di gas di scarico. Il motore era inoltre dotato di silenziatore. Bernardi inventa anche uno spruzzatore di benzina, a luce anulare, regolabile mediante la variazione della posizione di un ago conico d’acciaio.
Nel museo sono conservati sei motori Lauro della serie commerciali: tre della potenza di 4/5 HP, uno della potenza di 1.5 HP montato sulla vetturetta, uno della potenza di 1/3 HP a 187 giri/min montato sul carrello mono ruota e infine uno della potenza di 5 HP.
Lauro Bernardi con la bicicletta a motore (il motore Lauro)
Il motoscooter
Il motore Lauro era particolarmente adatto ad applicazioni mobili e infatti nel 1893 Bernardi lo monta su un carrello mono ruota che collega alla bicicletta del figlio Lauro. Sul manubrio della bicicletta mette i sistemi di regolazione e comando del mezzo, che funzionavano mediante trasmissioni pneumatiche o idrauliche. Bernardi costruisce così quello è possibile considerare il primo motoscooter. Il Museo conserva il carrello mono ruota originale, mentre la bicicletta in esposizione risale agli anni 1930.
La vetturetta Bernardi
La realizzazione più importante di Bernardi nel campo dell’autolocomozione è sicuramente la sua vetturetta. Costruita nel 1894 da Bernardi che, come amava dire, “riusciva a creare con le sue mani quello che immaginava nella sua testa”, è la prima automobile di concezione interamente italiana. Negli anni successivi Bernardi realizza circa un centinaio di vetture, delle quali ne restano solo 5. La vettura conservata in Museo, appartenuta al figlio Lauro, recante la targa 42-2 (42 era il numero della provincia di Padova, 2 il numero della vettura) è l’unica tuttora funzionante e composta unicamente da pezzi originali, nonostante abbia percorso ben 60.000 chilometri, un’enormità per l’epoca, e raggiunga una velocità massima di 35 km/h. Le soluzioni ideate da Bernardi per la meccanica del veicolo sono altrettanto originali, basti citare lo sterzo costituito da 7 aste formanti un doppio quadrilatero di collegamento per la rotazione dei due perni di sterzatura. Questa innovazione anticipa il differenziale e consentì di risolvere il problema legato alle diverse traiettorie percorse, durante le curve, dalla ruota esterna e da quella interna. Nella vettura la trasmissione del moto avviene tramite catena, con cambio meccanico a freni scorrevoli e a tre marce più retromarcia, che viene inserita appoggiando il ginocchio destro contro l’asta di manovra dello sterzo. L’innesto a corda viene manovrato attraverso una frizione conica, mentre il freno, sempre a corda, era posizionato sull’albero secondario. Un freno a ceppi, posizionato sul pianale della vettura, agiva sulla ruota posteriore.
Bernardi e la moglie sulla vettura
Le vetture Bernardi partecipano a 12 gare automobilistiche dell’epoca, vincendone ben 7. Tra le vittorie più eclatanti, si ricorda quella del 17 luglio 1898, al “Concorso Internazionale di veicoli automobili”. Durante la gara automobilistica Torino-Asti-Alessandria-Torino, il triciclo guidato dal tecnico di Bernardi Antonio Nosadini conquista le 2.000 lire messe in palio per il “premio internazionale di velocità”, coprendo i 190 km del percorso in 9 ore e 47 minuti, alla media di 19,42 km/h, nonostante una foratura e la rottura del cambio.
Per la costruzione di queste vetturette, Bernardi e due ingegneri suoi allievi fondano nel 1894 la società “Miari & Giusti”, ben cinque anni prima della FIAT. La ditta aveva sede in via San Massimo a Padova. Nel 1899 la società viene rilevata dal solo Bernardi, che fonda la “Società Italiana Bernardi”, fallita però due anni dopo, nel 1901. Il mancato successo di quella che è stata la prima industria automobilistica italiana è dovuto a vari fattori, ma sicuramente il più importante è il fatto che il Veneto non presentasse all’epoca il giusto contesto sociale, economico e politico per lo sviluppo di un certo tipo d’industria, a causa degli ostacoli alzati dai latifondisti locali che temevano di perdere la manodopera e di vedere minacciato il loro potere.
L’atto di immatricolazione di questa vettura si trova tuttora presso gli archivi dell’ACI di Padova.
La vettura di Enrico Bernardi
Fanny Marcon