Abstract
Figlio della piccola nobiltà veneziana, scrittore, critico, traduttore e commediografo può essere definito, con il fratello Carlo, l’anti Goldoni. Fonda il giornalismo regionale. Sposa la poetessa Luisa Bergalli importantissima figura di letterata e traduttrice che per prima diffonde la poesia delle donne dai tempi antichi al contemporaneo. Vive gli ultimi anni a Padova ed è sepolto nell’Oratorio della Scola del Santo.

I Gozzi, nobili di provincia; Gaspare giornalista, teatrante e poeta
Primogenito di undici figli di una famiglia di recente nobiltà e in forte declino, anche per il tenore di vita molto dispendioso, soprattutto da parte della madre, una Tiepolo, si trova costretto a mantenersi agli studi, presso i Padri Somaschi di Murano, con le traduzioni. Sposa poi la poetessa Luisa Bergalli che, in fatto di finanze, non si mostra migliore della contessa Tiepolo; difatti i Gozzi si mettono in imprese teatrali dissennate, sperperando quanto rimasto del patrimonio e vivendo in ristrettezze per tutta la vita. Ottimo traduttore, con la moglie, dal francese, anche per poter utilizzare testi di Molière e di altri commedigrafi al Teatro Sant’Angelo, la cui impresa si rivela economicamente una rovina, Gaspare Gozzi scrive per il teatro alcuni testi come Edipo, Isaccio, Antiochia e alcuni melodrammi. È socio influente della Accademia dei Granelleschi. Come critico e giornalista fonda e redige da solo la Gazzetta veneta iniziando di fatto il giornalismo regionale (1).
Luisa Bergalli, la moglie, fine petessa, ottima traduttrice, Angiola Tiepolo, la madre, definita “la dogaressa”, dissipatrice di un patrimonio in dissesto

Leggiamo a proposito del matrimonio con la Bergalli la Prefazione del Gargiolli alle Poesie di Gaspare, tra il serio e il divertito: «E poi che ebbe egli cantato ben bene questa sua Laura, se la fece sposa nel trentotto per una geniale distrazione poetica, come dice il fratello Carlo (2) benché ella fosse nata più che dieci anni prima di lui. Ma questa moglie non poco nocque al nostro Gaspare. Gli affari della sua casa non andavano bene da molti anni, fìno da quando Giacomo, il padre di lui, aveva sposata la Tiepolo: perocché ognuno che abbia fior di senno saprà imaginare, come dice N. Tommaséo, qual disordine dovesse portare nella testa e nella casa d’un nobiluccio di pròvincia, splendido per natura, sbadato per letteratura, una moglie avvezza alle pompe oziose, a’ comandi assoluti, alle inuguaglianze nelle abitudini, nell’umore, e sin negli affetti; una moglie che lo fa ricco di nove figliuoli; che non sa vivere in campagna né sola; che non intende ragione del risparmiare, perché nacque di quella pianta di che si fabbricano le dogaresse; che, pel privilegio de’ natali, pretende d’avere nel patrimonio comune un patrimonio suo, un governo domestico nel governo; donna insomma che condiscende a essere moglie, e n’esercita saporitamente i diritti, ma non indovina gli uffizi di consorte, e, se era caduto in cattive acque il patrimonio de’ Gozzi per la madre gentildonna, come non doveva andare di male in peggio allora che, ammogliatosi Gaspare a una poetessa, che non gli portava in dote che le aride campagne di Arcadia, ma che lo faceva padre di cinque fìgli, a lui fu affidata la cura delle faccende domestiche; a lui che incapace a far da massaio abbandonava ogni ingerenza alla moglie, famosa per le sue poetiche bestialità e per l’amministrazione pindarica. Le strettezze gli crescevano ogni giorno; ed ei dovette durare in esse gran parte della sua vita». (3) Con le aride campagne di Arcadia portate in dote dalla Bergalli il critico si riferisce alla di lei partecipazione all’Arcadia con il nome di Irminda Partenide. Va sottolineata l’importanza dell’ampio lavoro del Gargiolli citato in nota, da cui abbiamo tratto i testi, dove troviamo il corpus maggiore dei componimenti che comprende le Poesie e le Rime con la seguente suddivisione: Sermoni, Poemetti, Poesie liriche, Rime facete; in particolare le Poesie liriche si suddividono in Liriche amorose, laudatorie, epitalamiche, sacre.
Gaspare, poeta tormentato, ironico e lamentoso

Del resto una vena lamentosa e di autocommiserazione (stomacuzzo di carta, un mesto umore,/ un pallidume, una magrezza eterna: questo è uno dei suoi quasi autoritratti) compare in continuazione nelle sue stesse poesie, come una idea delle più costanti, sia che chieda aiuto ad amici perché, come il poeta Squacchera, pochi danari e buon cervello, suo alter ego, è tanto impoverito/ che non potea vestirsi, o far le spese, al punto da tentare il suicidio (ma il canale è quasi asciutto) sia che implori le stelle o le maledica come testimoniano anche alcuni titoli: Cagioni e ragioni che lo fanno essere trascurato; Compiange il suo stato; Incomodi della vecchiaia.
Io narrerò la rabbia ed i lamenti
di Squacchera, poeta poverello,
e com’ei bestemmiava gli elementi,
chè avea pochi danari, e buon cervello.
Udite tutti quanti e state attenti,
e abbiategli pietade, meschinello.
Or ch’egli è morto, posso di lui dire
quel che ognor tacqui pria del suo morire.
Durò quest’uom dabbene, sempremai
devoto delle nove alme sorelle:
in poesia compose cose assai
canzon, sonetti, satire, e novelle.
Ma, finché visse, un sacco fu di guai;
ebbe ognor a dolersi delle stelle,
e de’ pianeti indiscreti ed avversi,
come tutti i poeti hanno a dolersi.
Un giorno egli volea farsi romito;
andare un altro dì fuor del paese:
d’ammazzarsi talor prese partito,
ma nol condusse a fin, sebben lo prese. (Lamento di un poeta) (4)
Il senso della inutilità della poesia, incorporeo bene, non atta a procurar benessere, e della scarsa considerazione in cui versa, lo si ritrova anche in una lirica indirizzata a Daniele Manin:
Anime abitatrici d’Elicona,
in che giovano al mondo ed a cui giova
arpa che suoni ed armonia di versi? (Liriche laudatorie – XIX)
Nemmeno Alessandro Viglio, altro biografo del Gozzi, sa essere indulgente: «E così si chiude quest’episodio della vita di Gaspare, cominciato tra un sonetto e una canzone di messer Francesco, continuato in sospiri versificati tanto numerosi da diventare un canzoniere petrarchesco in lode di una poetessa discendente da un calzolaio piemontese e di dieci anni più matura del suo cantore». (5)
Per questo critico il difetto del Gozzi è lo scrivere alla maniera di Petrarca per amore d’una poetessa (difetto che si aggiunge a difetto), per di più di origini modeste, figlia cioè d’un calzolaio e di lui meno giovane, altro difetto!
I meriti della Bergalli
Del resto è il fratello Carlo, di questa numerosa famiglia innamorata della poesia, come abbiamo in parte già visto, ad avere parole di fuoco nei confronti della cognata che oltretutto continua a occuparsi e della amministrazione della casa, dal momento che Gaspare stesso se ne dichiara inadatto, e del molto tradurre (Terenzio, Racine, Molière e altri) per portare il suo contributo alle scarse risorse della famiglia. Le cause del dissesto sono in realtà da attribuirsi al padre, alla sua passione per i cavalli e per le dispendiose cacce e alla madre, più che alla moglie, che ha invece dei meriti sia nel tentare di amministrare quel patrimonio in dissesto, sia nella ricerca di cespiti attraverso altre attività, come quella, pure risultata disastrosa, del teatro, sia, come si è detto, della traduzione, in cui dà il meglio di sé. Altro e maggiore merito culturale della Bergalli è poi la conoscenza e diffusione della poesia, sia al femminile, sia straniera, di cui si dovrà parlare.
Nei Sermoni il Gozzi si fa indagatore dei vizi e delle debolezze umane
L’atteggiamento di Gaspare nei confronti dei vizi umani è uno dei temi ricorrenti della sua poesia, specie nei Sermoni, (6) insieme al tema della corruzione dei costumi; la sua posizione non è però del moralista o del fustigatore, ma di chi osserva, e, pur disapprovando, riconosce la corruzione come componente ineludibile dell’animo umano, da capire più che da giudicare, mentre il suo atteggiamento nei confronti delle avversità è di benevolenza e di sopportazione: «Sorride con la stanca dolcezza di chi, smesso di piangere, fa per consolarsi», (7) lo stesso atteggiamento, ironico e autoironico, che il Gozzi ha nei confronti del cattivo gusto in letteratura. Anche a questo proposito i titoli sono eloquenti: Contro la mollezza del vivere odierno; Contro alla corruzione de’ costumi presenti; Contro al cattivo gusto d’oggidì in Poesia.
Il lungo poemetto La prudenza, e certe lungaggini in altri componimenti, non giovano alla chiarezza del pensiero, parrebbe quasi il trasferire nei comportamenti, ma con puntiglio, la oraziana aurea mediocritas, un aggiornamento dell’epicureismo nei termini di disposizione d’animo e di gestione degli affetti, la misura contro gli eccessi (est modus in rebus, Orazio, Satire, 1, 1, 106-107) e l’operare con prudenza.
La prudenza: fra gli estremi segna/ la via del mezzo, ed a’ lor passi é scorta. (La prudenza)
Dobbiamo rilevare che i temi e lo stile delle poesie del Gozzi sono chiaramente e talvolta stancamente petrarcheschi, ma, dopo secoli di adorazione del Petrarca, a partire da Bembo, forse non si poteva pretendere da questo nobiluccio di provincia, conservatore per nascita, cultura e tradizione, la rivoluzione nel campo della poesia; il suo apporto resta una coerente ripresa di temi e moduli della più importante tradizione poetica italiana.
Le Liriche amorose
Cara, celeste e angelica figura,
per cui spendendo vo’ gli anni e l’ingegno,
non già ch’io giunga d’onorarvi al segno. (Liriche amorose – VI)
O occhi, o viso, o sue dolci parole
ch’io adoro e veggo, e ciascun’ora ascolto (Liriche amorose – XXVI)
Da te si vien, mio bel giglio odoroso,
uno spirto d’amor soave e piano. (Liriche amorose – X)
Tornano: la angelica figura, il bel giglio odoroso, lo spirto d’amor e i molti altri rimandi alla tradizione lirica precedente; l’adorazione della donna amata, i sospiri, i timori dovuti alla situazione amorosa, la pena acerba e il pianto per la donna fera se l’amore non è corrisposto o diventa un doloroso conflitto interiore.
Notte, che porti altrui quiete e pace,
solo a me noia e più guerra che il giorno,
poiché l’immagin di quel viso adorno
m’arrechi innanzi, che m’offende e piace;
disperato dolore al cor cui sface,
è come veltro alla sua fera intorno,
e fa del letto mio duro soggiorno,
più di sasso che ignudo in Alpe giace. (Liriche amorose – XVIII)
Oltre ciò la poesia può essere d’aiuto per una dichiarazione d’amore (Vita gentile ha sol chi s’ innamora), che si teme possa non venir accolta o per spronare, questa volta nominando l’oggetto dei suoi versi, la moglie, a non abbandonare gli studi amati, le traduzioni, magari anche col pensiero che sarebbero venute a mancare all’economia familiare indispensabili entrate:
Bergalli, se con lungo studio e cura,
volgendo l’opre degli antichi ingegni,
opraste si, che tra i più chiari e degni
foste fenice che il morir non cura;
ora per qual noiosa e rea ventura
ahi grave torto! o per qùai nuovi sdegni
lasciate il lauro e gli altri sacri legni,
il glorioso colle e l’onda pura?
Piangon le Muse, e il buon destriero alato
il fìume suo, quasi del danno accorto.
tenta di nuovo ricoprir col fango.
Ov’ è la donna che fin qui m’ha scorto?
Io vo chiedendo, e m’avvilisco e piango,
d’ardir e di speranza disarmato. (Liriche amorose – L)

Le poesie d’occasione
Di poesie epitalamiche o laudatorie è pieno questo secolo, come il precedente e il successivo, ma per il Gozzi c’è un motivo concreto ben manifesto legato alla ricerca e di favori (chiede appoggi per una cattedra all’Università di Padova, senza averne i titoli, a quanto pare), e di danari, scomodando, come tutti i poeti del tempo, l’intero Olimpo e l’Elicona con Apollo e le Muse ma ritrovando una maggiore varietà di stile e di tono rispetto ai sonetti; ad esempio, nei versi in lode di Angelo Contarini procuratore di San Marco, il tono si fa leggero e i versi mimano una danza:
[…]
Danze si facciano, si faccian canti;
il nome d’Angelo s’esalti e canti:
con voci e balli
perle e coralli
tosto s’intreccino, formin parole;
su questo margine le irraggi il sole.
[…]
Vedi, Vinegia,
quest’alma egregia
che dentro al nobile tuo grembo nacque
come ora celebri renda quest’acque. (Liriche Laudatorie – XIV)
Le Rime facete
Nelle Rime facete ritroviamo finalmente un Gozzi brioso, pronto alla battuta di spirito, in dialogo con se stesso e con i suoi lettori e amici, che non cambia necessariamente di umore ma che si sa rendere piacevole perfino nella polemica verso chi non lo apprezza; ne diamo qualche saggio con il sonetto che apre la rassegna e con alcuni versi che seguono:
Brigatella discreta di lettori,
a cui questo libretto viene in mano,
è ben dovere, come buon cristiano.che vi renda ragion de’ miei lavori.
Io l’ho fatto stampare e metter fuori,
come vedete, ed è scritto in toscano:
lo stile è per lo più facile e piano.
Proprio da contentar tutti gli umori.
Leggete pur, che Dio vi benedica;
qui c’è solo parole naturali,
e chiosa nè comento non le intrica. (Rime facete – I – A’ Lettori)
O fanfaluche e pazzie nuove e belle,
che m’aiutaste a far versi e canzoni,
vi prego a giunte mani e ginocchioni,
venite giuso a balle e a catinelle. (Rime facete – III – Invocazione)
E in queste scritture scopriamo anche la vena amara, malinconica e autoironica del poeta che si manifesta soprattutto nello sguardo disincantato rivolto al suo fare versi senza che gliene venga beneficio alcuno:
Ancor non posso ben bene sapere
che cosa strana è questa poesia.
che quando è ritta su la fantasia,
tosto convienti farle il suo dovere.
[…]
Poi quando hai l’opra tua compiuta affatto
ti cresce il cor, ti fa festa il cervello:
leggi e rileggi, e fai più d’un bell’atto.
E corri in caccia addosso a questo e a quello
a recitar, parendoti un bel fatto
ch’altri ti dica: oh buono, oh bravo, oh bello!
Poi guardi nel piattello;
e come non trovi entrovi bocconi,
tu di’ sonetti, ballate e canzoni.
Queste ed altre ragioni
in un pensiero m’hanno confermato,
che un buon poeta debba esser legato. (Rime facete – V – Poeta e pazzo sono sinonomi)
Gaspare non è certo tenero con i poeti suoi contemporanei: La poesia è oggi una puttana/ Che giugne nelle mani a questo e a quello (La poesia odierna), detesta l’ampollosità di quelli: Che imitan Giove nel rumor de’ tuoni e dà consigli: Cantate solo quando il cor si desta, svelando la sua poetica e le regole alla base dell’armonia, nell’alternarsi dei toni e nell’equilibrio delle forme:
Studiate in sentimenti naturali,
e fate che uno stil vario gli vesta,
e che or s’alzi al bisogno, ed ora cali. (Rime facete – VII – Contro i poeti ampollosi)
Stesso atteggiamento non proprio favorevole ha nei confronti di certi musicisti e di alcuni cantanti di strada, o meglio, trattandosi di Venezia, di campiello o di gondola:
Suonavan certi lor mottetti strani,
che parean gatti in alto, innamorati;
ed era come un dolce urlar di cani. (Di certa musica spiritata)
L’amara ironia di un poeta disincantato
In quest’ultima parte della raccolta troviamo un po’ di tutto: rime in morte di un gatto, in lode della convalescenza, in lode del danaro, in lode del tupé, in lode del fischio, in lode (pure) del cristero, alla ricerca forse di svago poetico e di quella leggerezza che manca nella realtà del suo quotidiano e nella abitudine a fustigare i suoi concittadini, specie nei Sermoni; altre rime sono per richieste di libri (ad Apostolo Zeno), mancandogli la possibilità di acquistarli, fino al doppio epitaffio a se stesso a chiudere l’intera raccolta, con quella garbata ironia che spesso traspare dai suoi versi quando non sono dettati dalla malinconia.
Sciolto dal nodo che si chiama vita
giace Guasparri in questa tomba oscura.
O vìator, se qui pietà t’invita,
non l’ascoltar, ma prendati paura.
Mentre ch’ei visse, sempre calamita
fu d’ogni avversità, d’ogni sventura;
seco ei le trasse dentro alla sua fossa:
guardati dall’influsso di quest’ossa.
O tu che guardi, qui sepolto giace
il Gozzi, di che lungo ebbe desio:
d’anni sessantassette ebbe alfìn pace;
ora sè stesso e ognun mette in obblio:
non parla più, non più scrive, ma tace.
Addio librai, e stampatori addio:
voi rimanete in tempestosa guerra;
egli è tranquillo in seno della terra. (Rime facete varie – Epitaffi fatti a se stesso)
NOTE
Questo testo, con minime modifiche, si trova in A. Cabianca, Quattro secoli di poesia. Antologia della poesia veneta dal 1400 al 1800, CLEUP, 2019 (per gentile concessione di CLEUP).
1) Oltre a Gazzetta veneta (bisettimanale, 1760-1761), fonda e redige Mondo morale e Osservatore veneto (settimanale, poi bisettimanale, 1761-1762).
2) Carlo Gozzi, Le memorie inutili, Bari, Laterza, 1934.
3) Carlo Gargiolli, Poesie di Gaspare Gozzi, Firenze, Ed. Barbera, 1863.
4) I testi delle liriche di Gaspare Gozzi sono tratti da Full text of “Poesie di Gaspare Gozzi” – Internet Archive – https://archive.org/stream/bub_gb…/bub_gb_QfM0z4gT6QEC_djvu.txt.
5) M. Alessandro Viglio, Gaspare Gozzi. Vita e opere, Messina, Giuseppe Principato, 1916.
6) Gaspare Gozzi, Sermoni, Milano, G. Silvestri, 1826.
7) Enrico Falqui, Gaspare Gozzi in Letteratura italiana. I minori, Mila
Alessandro Cabianca