Gian Giorgio Trissino, letterato a suo tempo molto illustre, la cui fama si è andata affievolendo e le cui opere sono cadute pressoché nell’oblio

Abstract

Gian Giorgio Trissino è un eminente intellettuale rinascimentale dotato di un’erudizione smisurata: mostra grande interesse e profonda conoscenza di molteplici discipline e in alcune si esercita direttamente con profitto. Erede di una importante famiglia aristocratica vicentina, la sua concezione della storia si incentra ancora su valori di stampo feudale e suo punto ideale di riferimento è l’impero impersonato da Carlo quinto. La sua impostazione riguardo la letteratura e la lingua italiana è molto diversa da quella di importanti intellettuali quali il Bembo e altri la cui visione finirà per prevalere.

Gian Giorgio Trissino: un quadro generale

Il Trissino lascia numerose opere sia di portata teorica in campo letterario, linguistico, grammaticale, poetico, sia come produzione letteraria vera e propria, in particolare  con l’ideazione di un poema sterminato, L’Italia liberata dai Goti in cui, per sua stessa ammissione, intende duplicare i testi omerici con argomenti che si rifanno ad eventi del suo tempo e con il proporre una tragedia di impostazione classica che vorrebbe rifarsi alle grandi tragedie greche e ai canoni definiti da Aristotele. La sua opera avrà scarsa fortuna in Italia, maggiore in Francia ed Inghilterra soprattutto nel periodo illuminista. Comunque non si possono sottovalutare alcuni suoi meriti come avere contribuito al dibattito sulla lingua italiana; avere contribuito a chiarire il rapporto tra scrittura e fonetica; avere “inventato” l’endecasillabo sciolto; avere scoperto o avere dato un contributo decisivo alla scoperta del genio del Palladio e, probabilmente, anche di quello straordinario calligrafo, Ludovico degli Arrighi, della “sua” Cornedo che a Roma esplicherà tutta la capacità inventiva in campo grafico ed editoriale.

Stemma di Giangiorgio Trissino (Wikipedia)

Se c’è un autore le cui opere pur notevoli per dimensione e quantità sono oggigiorno pressoché dimenticate se non per gli addetti ai lavori questi è Gian Giorgio Trissino. Discendente di una nobile e potente famiglia aristocratica di Vicenza il cui feudo di assegnazione era il territorio della valle dell’Agno, figlio e nipote di condottieri (il nonno era riuscito a difendere Vicenza dai Visconti, mentre il padre aveva prestato servizio per la repubblica di  Venezia), era rimasto vedovo ancora in età piuttosto giovane di una Trissino che le aveva dato il primogenito, Giulio trascurato forse dal punto di vista educativo dal padre e posposto alla fine nel ramo ereditario al figlio avuto dalla seconda moglie, anch’ella  una Trissino (e questo la dice lunga sulla sua concezione della società); Giulio avrà una vita piuttosto esagitata, pur trovando terreno fertile per le sue tesi estremiste e spesso ereticali tra esponenti di spicco della nobiltà cittadina, cosa che si tradurrà in manifestazioni di grande impatto anche religioso e che avrà un indubbio riverbero ben oltre  i confini del territorio vicentino. Nel frattempo il padre doveva seguire i suoi interessi soprattutto a Roma dove svolgeva una intensa attività letteraria e non solo. La sua posizione che con grande forza cercava di fare valere in campo letterario era molto diversa rispetto alla posizione del Bembo che si rifaceva soprattutto alla tradizione poetica petrarchesca inserita nell’ambito della scuola fiorentina, mentre il Trissino coltivava una visione d’insieme della tradizione italiana, dalla scuola siciliana al dolce stil novo, alla curtense, ecc., mettendo praticamente tutti sullo stesso piano senza fare una distinzione di valore e senza individuare tra i protagonisti la diversa importanza. Il Bembo invece che ben conosceva la tradizione letteraria in Italia collocava i diversi attori nella giusta posizione a seconda del valore di ciascuno di loro. La sua visione il Trissino esponeva nelle opere di carattere linguistico ma, come vedremo, ad essa si atteneva anche nella produzione letteraria, L’Italia liberata dai Goti, in primis, la sua ultima e soverchiante fatica, e in tutte le altre. Molteplici infatti sono i campi in cui il nostro autore si cimentò risultando protagonista di spicco della cultura rinascimentale, essendo un erudito grecista e un cultore di Dante di tutto rispetto di cui tradusse per primo in lingua italiana la De Vulgari Eloquentia contribuendo in modo decisivo alla sua riscoperta.

Dagli ATTI del convegno di studi su G. G. Trissino

organizzato dall’Accademia Olimpica di Vicenza nel 1979. Relazione di Amedeo Quondam

Gian Giorgio Trissino (Wikipedia)

Come risulta da un convegno organizzato a Vicenza nel 1979 dall’Accademia Olimpica e i cui atti sono stati raccolti in un volume l’anno successivo, il Trissino è molto attento e interessato alla linguistica, alla grammatica, alla filologia, alla traduzione, alla poesia e alla metrica, alla filosofia, alla musica e al teatro e a molto altro, con un bagaglio culturale immenso, tanto da poterlo considerare l’emblema dell’intellettuale universale di stampo umanistico. Degli atti usciti da quel convegno vorrei soffermami in particolare sulla relazione più corposa, quella di Amedeo Quondam perché cerca di sviscerare i molteplici aspetti della produzione trissiniana, a cominciare dalle opere di carattere teorico come la traduzione del De vulgari eloquentia di Dante, il Dialogo intitulato il Castellano, la Grammatichetta, l’Epistola delle lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana, opere in cui G. G.  Trissino espone le sue convinzioni sulla lingua italiana di cui già si è detto. Quello che osserva il Quondam comunque è che il Trissino non si pone mai in posizione dialogante con gli altri soggetti interessati agli argomenti che egli tratta, ma interviene sempre con una presunzione di autosufficienza, di esclusione di altre possibilità, afferma cioè la totalità dell’emittente annullando quasi il destinatario. Questo probabilmente è legato al suo status di nobile feudale che non ammette possibilità di compromessi, di contaminazioni. Nelle Rime, il problema che si pone è quello del canone sia dal punto di vista metrico, ma anche della scelta della tradizione cui riferirsi, trovandosi in questo totalmente isolato rispetto a quanto teorizzava il Bembo la cui visione della lingua e della poetica si stava imponendo. Altri elementi che il Quondam coglie e che troveremo anche nelle opere successive sono la tendenza accentuata all’iperbole con eccessi di attributi, ad esempio, alla figura femminile, il rifugiarsi nella esposizione retorica con la presenza di elementi eterogenei e l’eccessiva estensione sia del canone che della stessa esposizione con l’attitudine alla citazione, alla ripetizione, alla duplicazione, componenti che troveremo anche nelle opere successive, in particolare proprio nella sua opera maggiore.

L’opera principe: L’Italia liberata dai Goti

Frontespizio del Castellano di Giangiorgio Trissino, 1529

 L’Italia liberata dai Goti, la sua opera emblema, un poema sterminato in 27 libri è frutto di un impegno ventennale. Il punto di riferimento del Trissino è Omero a cui intende rifarsi per rigenerarne la poetica imbastendola degli avvenimenti suoi contemporanei; quindi la visione omerica costituisce idealmente la ragione stessa del nuovo poema, di più, ne rappresenta la base, ne permea tutto lo svolgimento tanto che L’Italia liberata dai Goti può essere letta come un remake dell’opera omerica, un effetto copia però che alla fine produce l’effetto di una grande falsificazione, un effetto copia che sa di artefatto, di non autentico, di fittizio pur nell’intento dell’autore di riproporre l’epica che ritiene non genuina nel Pulci, nel Boiardo e nell’Ariosto. L’Italia è una imitazione totale di Omero in termini di duplicazione fedele senza riduzioni, senza miniaturizzazioni, e tuttavia egli non può non corroborare l’ossatura del suo comporre con gesta di estrazione cavalleresca, con figure e avvenimenti di fantasia, con l’inserimento di episodi di ventura, di incantesimo, con riferimenti a interventi del soprannaturale, un soprannaturale però che, ancora una volta, in una riproduzione riveduta e corretta, dovendo tenere conto della diversa situazione di culto al momento in vigore anche se non sempre rispettosa dei dogmi ribaditi nel Credo Tridentino,  riproduce il soprannaturale presente nei poemi omerici e le gesta e i modi di intervenire e di comunicare delle entità divine elleniche pur riferiti a essenze soprannaturali desunte dalla nuova religione ma con nomi a volte improbabili. Anche l’allegoria e la morale talvolta rivestono un ruolo non indifferente come attestano questi versi:

Onde subito corse la Clemenza,
corse la Castità, corse l’Onore,
a Magnanimità, la Cortesia,
la liberalità, con altre molte,
e accompagnate dalla Gloria, tutte
vennero ad abbracciar la loro regina.

Altro elemento importante è l’uso del dialogo che nuovamente si rifà al modello omerico e anche qui la ripetizione si fa sentire e con essa l’uso delle similitudini come egli stesso riporta nella Poetica riferendole allo stesso Omero:

si compara la importunità degli uomini talora ad animali picciolini, come a mosche; il critare inordinata, a oche e pecore; lo acume del vedere, al falcone; la timidità, alle pecore et al cervo; la custodia, ai cani; la rapacità, al lupo; e così via.

Frontespizio di ogni tomo di Tutte le opere di Giovan Giorgio Trissino

È una sorta di automatismo, una aggiunta che nell’ampliare il percorso narrativo mette in luce la logica del sembrare, dell’apparire. È l’altra faccia dell’effetto copia che finisce per generare una sensazione di parodia di cui non ci si riesce a liberare. Il lavoro del Trissino alla fine appare in una dimensione grottesca. Lo stesso Cielo non è il Cielo benigno predicato dal Cristo, ma un Cielo a volte crudele che esige anche vendetta. L’opera del letterato vicentino alla fine risulterà soverchiata proprio da quell’Orlando Furioso che piaceva al volgo e che il Trissino con il suo impegno tenta di ridicolizzare, come più avanti sarà soverchiata dalla Gerusalemme Liberata del Tasso. La stessa metrica a cui l’autore ricorre, l’endecasillabo sciolto, intende rifarsi, per sua espressa volontà, all’esametro latino di cui costituisce, secondo lui, una chiara riproduzione adattata all’uso del volgare. In tutta la trama del poema si fa sentire l’ideologia feudale che è imprescindibile per il Trissino, come nel proclamare la preminenza della virtù militare propria del nobile con i corollari che ne conseguono, la sovranità delle armi e l’imperio del duello. E questa convinzione profonda lo porta a parteggiare per l’imperatore e di conseguenza contro il papa con una forte filippica in cui evidenzia le storture perpetrate da pontefici e da esponenti dell’alto clero che utilizzano il potere per i propri fini.

La Sofonisba: la prima tragedia moderna di impostazione classica

che si rifà ai canoni aristotelici. Relazione di Giulio Ferroni

Frontespizio de L’Italia liberata dai Goti (1547)

La Sofonisba è la prima tragedia moderna che si rifà ai canoni classici della tragedia greca definiti da Aristotele: unità di tempo e di spazio in primis; quindi si svolge sempre nello stesso luogo e in un solo giorno. La trama riprende una vicenda storica narrata da Tito Livio. Per la sua composizione il Trissino si avvale del volgare perché nella rappresentazione possa essere intesa anche da un pubblico a cui ormai la lingua latina non è più familiare. Egli stesso espone questo concetto nella dedica a Leone X:

Perciò che la cagione, la quale m’ha indotto a farla in questa lingua, si è che havendo la tragedia sei parti necessarie, cioè la favola, e costumi, le parole, il discorso, la rappresentazione et il verso, manifesta cosa è che, havendosi a rappresentare in Italia, non potrebbe essere intesa da tutto il popolo, s’ella fosse in altra lingua che Italiana composta…

Ma nell’azione che egli mette in scena non compare quel conflitto che è il topos della tragedia classica, è un conflitto retorico pur seguendo nello svolgimento lo schema aristotelico dall’alto al basso, che va cioè da un massimo di felicità all’infelicità. E questo passaggio avviene attraverso stadi intermedi in cui la protagonista, in questo caso Sofonisba, al massimo del suo splendore avverte la possibilità della caduta. Queste le sue parole:

Sì, ma tal gloria è debile e fallace.
Il dominar ti piace
Mentre l’aspetti, e par cosa gradita;
ma come l’hai, sempre dolor ne senti.
Or fame, or peste, or guerra ti molesta,
or le voci importune de le genti,
veneni, tradimenti,
e se tu fuggi l’un, l’altro t’infesta.

 Più che da tensione tragica lo sviluppo appare dominato da eccitazione passionale e gli eventi diventano patetici, tali da suscitare un sentimento di compassione, di misericordia, sentimento che viene esplicitamente suggerito dal passo che precede l’evento rappresentato, tanto che alla fine l’autore stesso ritiene che la sua opera sia più adatta ad una lettura che alla rappresentazione.

Data la situazione storica di stampo feudale del momento, annota il relatore, in questo caso Giulio Ferroni, la divaricazione stridente tra il  progetto molto severo, sublime secondo il De Sanctis, dell’intellettuale rinascimentale e quanto risolto nella realtà come prodotto che non corrisponde affatto all’intento, si avverte un senso di comico, che rasenta il ridicolo ove si consideri la veste grafica con cui l’opera viene data alle stampe con l’aggiunta delle lettere di cui il Trissino vorrebbe dotare l’alfabeto italiano oltre le tradizionali.

 

Giovanni Battista Tiepolo, La Morte di Sofonisba, 1755 Thyssen-Bornemisza Museum, Madrid (Wikipedia)

La musica per il Trissino. Relazione di Giulio Cattin

Un capitolo che merita di essere esplorato è quello della musica. G. G. Trissino è un intellettuale poliedrico, capace di interessarsi a molteplici aspetti dell’arte e quindi anche la musica, tra le altre “discipline”, trova il suo posto a cominciare dall’esperienza con quei gruppi di cui si circonda fin da giovane con il circolo di intellettuali aristocratici che ospita nella sua villa e nei giardini Cricoli alla periferia di Vicenza. Egli stesso nelle sue opere mostra di conoscere molto bene la struttura e le diverse forme musicali a cominciare dai tre generi greci: il diatonico, il cromatico, l’anarmonico. Del resto nella Poetica egli approfondisce i generi dell’espressione poetica, dalla canzone alla ballata, al sonetto, al sirventese, al madrigale e la stesura metrica dei versi che sono la base comunicativa a cui la musica può donare un pathos ed una grande empatia. Sempre secondo il Trissino alcune musiche tendono al bello ed al buono, altre al male, le prime imitano il meglio dell’uomo, le seconde il peggio.

Federico Cabianca

 

 

 

Villa Cricoli a Vicenza (Wikipedia)

 

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