Sommario
Abstract
La “pace di Lodi”, stipulata nel 1454 tra la Serenissima e il Ducato di Milano, in lotta da quarant’anni per questioni di successione e di egemonia territoriale, ebbe come protagonista fra Simone da Camerino, teologo, grande predicatore e priore del convento agostiniano accanto al santuario di Monteortone (Abano Terme).
Una lapide nel santuario di Monteortone
La famosa “pace di Lodi” tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano è ricordata da una grande lapide rettangolare, posta, appena entrati nel santuario di Monteortone (Abano), alla parete della prima campata della navata sinistra. Racchiusa in una cornice in pietra scolpita, leggermente in rilievo, è del 1629 e reca la firma di Deodato Tasso, allora priore dell’attiguo convento.
Nell’epitaffio si legge che i due capi, da una parte quello dei Veneti (doge Francesco Foscari), dall’altra quello dei Lombardi (duca Francesco Sforza), si sono riconciliati stringendosi la mano; che questa riappacificazione, più volte invano tentata con l’intermediazione di altri sovrani stranieri, si è finalmente realizzata per merito degli italiani. Con vantaggio e gioia di tutta la causa cristiana, infatti, un uomo di notevole prudenza, fra Simone da Camerino, fondatore della congregazione di S. Maria di Monteortone, è riuscito a mettere pace tra i due contendenti e a risolvere con successo l’annosa questione.
Il testo dell’epigrafe, scritto in latino, ricorda che nell’anno 1454 il senato della Serenissima, non dimentico del beneficio ricevuto, ha donato alla suddetta congregazione un’isoletta presso Murano, nella laguna di Venezia, facendovi costruire un tempio dedicato a S. Cristoforo (poi denominato di “S. Cristoforo della Pace”), elargendo piena immunità ai monaci ed esentandoli da oneri pubblici e fiscali[1]. Ricorda, infine, che la Repubblica Veneta, in onore di Dio, e per adempiere un voto, ha generosamente accresciuto e sviluppato nel tempo quel luogo, prendendolo sotto la propria protezione. Il testo termina con la sottoscrizione del padre priore, che dichiara di porre la lapide a perpetua memoria di un così grande avvenimento. Questa la scritta integrale, incisa e dipinta sulla pietra:
VIDES VT IN SIGNVM PACIS VTRIQVE DVCES, HINC VENETORVM, ILLINC INSVBRIVM SIBI DEXTERAS IVNGVNT. HANC SAEPIVS AB ALIIS FRVSTRA TENTATAM, TANDEM INCREDIBILI ITALIAE ADEOQ. TOTIVS REI CHRISTIANAE COMMODO, ET GAVDIO, INSIGNIS PRVDENTIA VIR FR. SIMON CAMERTES CONGREGATIONIS D. MARIAE MONTIS HORTONII FVNDATOR FELICITER COMPOSVIT. ANNO M CCCC LIV SENATVS BENEFICII NON IMMEMOR INSVLAM PROPE MVRIANVUM IBIQ. TEMPLVM TVNC EXTRVCTVM AC EO NOMINE DIVO CHRISTOPHORO A PACE DICATVM, CONGREGATIONI DONAVIT, OMNIQ. PRORSVS IMMVNITATE, IN HONOREM DEI, ET EX VOTO EAM LIBERALISSIME AVXIT, SVAMQ. IN TVTELAM RECEPIT. – ADEODATVS TASSVS VENET. COENOBII HVIVS PRIOR AD PERPETVAM TANTAE REI MEMORIAM F. C. – MDCXXIX
La “pace di Lodi” del 1454
Per completezza d’informazione, riassumiamo le circostanze storiche relative a quel celebre patto, avvenuto a metà del nostro Rinascimento. Nel 1452, le maggiori potenze d’Italia erano in guerra tra loro per contenere le mire d’ampliamento e di conquista della Repubblica Veneta: da una parte Milano, Firenze, Genova e Mantova; dall’altra Napoli, Venezia, Monferrato e Savoia.
Era accaduto che, nel 1447, dopo la morte dell’ultimo Visconti, Filippo Maria, duca di Milano, il popolo lombardo era insorto, proclamando l’ “Aurea Repubblica Ambrosiana”. I governanti decisero d’affidare la difesa del nuovo Stato al capitano Francesco Sforza, che, per aver sposato, tra l’altro, la figlia del Visconti, dopo tre anni si attribuì il titolo di duca di Milano. La Serenissima, che non aveva mai abbandonato le sue velleità d’espansione in Lombardia, non digerendo lo scacco, s’apprestò a stringere un’alleanza con Alfonso II, re di Napoli, e con l’imperatore Federico III d’Asburgo, per andare contro lo Sforza e i suoi alleati. Ma quando le giunse la notizia della presa di Costantinopoli da parte dei turchi, sentendosi indebolita e minacciata, preferì agire d’astuzia: sospese tutte le attività belliche e cominciò a trattare segretamente con Francesco Sforza, le cui risorse militari, peraltro, erano ormai allo stremo.
Grazie anche ai consigli e agli inviti di papa Nicolò V, i Veneziani mandarono padre Simone come loro segreto ambasciatore, ovvero come “savio di terraferma”, a trattare con il duca, ben sapendo, tra l’altro, che fra i due correvano rapporti molto cordiali (pare che il frate fosse confessore di Francesco Sforza e della di lui moglie Bianca Maria). Mentre le trattative erano in corso, Francesco Contarini, oratore dei Signori di Siena, teneva informato il doge sull’umore dei fiorentini, stanchi degli oneri fiscali che dovevano sostenere per le spese di guerra.
D’altra parte, lo stesso fastidio era avvertito dai Veneziani, altrettanto sfiniti dalle ingentissime spese belliche. Per questo, l’accordo di pace avviato da Simone, dopo un lungo braccio di ferro con le altre potenze, che inizialmente ritenevano d’essere state danneggiate, andò a buon fine a Lodi, presso una delle residenze degli Sforza, il 9 aprile 1454. L’intesa fu poi ribadita e perfezionata con la costituzione di una lega italica, benedetta dallo stesso pontefice.
Il trattato prevedeva che il duca di Milano restituisse alla Serenissima tutti i territori conquistati nel Bresciano e nel Bergamasco, ad eccezione di alcuni castelli. Da parte sua, Francesco Sforza chiese alla Repubblica di Venezia, come contropartita, che coloro che si erano alleati con lui non subissero rappresaglie. Questo, in sintesi, il fatto storico, che garantì agli stati della lega una pace duratura e stabile.
Note
[1] Una ducale del doge Francesco Foscari, del 17 maggio 1454, recita: “Pertanto, Noi disponiamo di consegnare 100 ducati per il monastero di San Cristoforo di Murano. Stabiliamo, altresì, che [i monasteri di] Monteortone e Cittadella siano esentati per sempre dai dazi e dalle imposte dei beni locati sopra descritti, e così venga stabilito ed ordinato ai Rettori di Padova”.
Enzo Ramazzina