I riflessi quantistici nell’arte contemporanea

Abstract

Il critico d’arte Enzo Santese in questa relazione al Convegno Scienza e Arte. Dall’arte del XX secolo all’arte quantistica con la partecipazione di G. P. Prandstraller, F. Tamburini, A. Bianchini, M. Turlon e dello stesso E. Santese a cura di M. L. Biancotto e A. Cabianca (Musei civici agli Eremitani – Padova, 2017), illustra alcuni passaggi dell’arte del ‘900 dall’astrattismo di inizio secolo alle più recenti ricerche che si rifanno alle teorie quantistiche.

Georg_Christoph_Lichtenberg
(1742 – 1799)

La genesi di un’idea

Georg Christoph Lichtenberg, uno scienziato della metà del ‘700, (1) ragionando sul fatto che spesso ci sfugge il meglio delle cose, avverte che in ogni situazione occorre cogliere la sostanza più interna e non visibile della realtà. Mi sembra un buon avvio di discussione su alcuni aspetti della problematica del rapporto tra arte contemporanea e scienza, con preciso riferimento alle acquisizioni e suggerimenti della teoria quantistica, della cosmologia e della termodinamica. Il tutto tralasciando ovviamente gli esempi di pedissequa parafrasi delle teorie con tentativi maldestri di traduzione pratica nelle arti visive.

Il discorso deve necessariamente partire dal saggio “Lo spirituale nell’arte” di Wassily Kandinsky (2) che, nel suo tempo, auspica l’avvento di un’epoca di profonda spiritualità, peraltro al giorno d’oggi non ancora arrivata. Il che dà corpo a una delle utopie della modernità, cioè che la vita dello spirito proceda comunque con lenta progressione verso l’alto, come l’”angolo” acuto di un triangolo e che l’arte debba essere intesa come espressione di una “necessità interiore”, risultata da uno slancio deciso nella ricerca dell’interiorità, non da invenzioni puramente formali, bensì da indagine su problemi di contenuto.

Nel gennaio 1909 Kandinsky fonda la Nuova Associazione degli Artisti Monacensi, con Jawlensky, Kubin, Marianne Werefkin e la sua compagna Gabriele Munter. In una lettera ai propri amici esorta: “Partiamo dall’idea che l’artista, al di là dell’espressione che riceve dal mondo esterno e dalla natura, accumuli continuamente un tesoro di esperienze nel suo mondo interiore. La ricerca di forme artistiche che esprimano la compenetrazione di tutte queste esperienze, la ricerca di forme che eliminino il secondario per esprimere il necessario, insomma la tendenza alla sintesi ci sembra la caratteristica che in questo momento unisce un sempre maggior numero di artisti”. È il nucleo essenziale di quel pensiero che esplicita poi in forma articolata e approfondita “Lo Spirituale nell’arte” dando corpo al concetto di arte che nasca da una necessità interiore.

Wassily Kandinsky, Acquarello astratto, 1910

Le prime opere astratte, Acquerello astratto, 1910, (3) Impressione V,1911, (4) nella loro struttura interna sembrano l’effetto di una deflagrazione ad alta quota, dove si evidenziano spinte di energie misteriose e molecole di materia, abbozzi di forme, scintille di dettagli luminosi in tele che danno l’idea di finestre aperte, flussi di radiazioni, in un universo che si disfa per ricomporsi in forma nuova: “Ogni opera d’arte nasce come nasce il cosmo: attraverso catastrofi che dal fragore caotico degli strumenti formano una sinfonia, che chiamiamo armonia delle sfere. La creazione di un’opera d’arte è la creazione di un mondo”. (5)

Wassily Kandinsky, Impressione V, 1911

Nel dicembre del 1911, nel giorno di Natale – quindi realtà e simbolo giocano il ruolo di una seducente sintesi concettuale, che ha anche una funzione beneaugurante – viene pubblicato Lo spirituale nell’arte. La dichiarata volontà di distacco dal passato non è dettata da una semplice idea di azzeramento, ma dal desiderio di una più leggera e libera traiettoria evolutiva verso il nuovo; l’innovazione impone anche un cambio deciso di registro comportamentale, un’arte moderna che miri appunto alla ricerca dell’interiorità.

Vasilij Kandinskij nel 1913

Questo è l’obiettivo primario della riflessione di Kandinsky, per il quale arte e vita spirituale sono strettamente intrecciate tanto da coincidere nella tensione verso la libertà della materia. Sono molteplici le suggestioni che sospingono il soggetto creante in tale cammino, con un’arte che tenta di staccarsi dall’imitazione della natura. Tra i più significativi, le risonanze psicologiche della parola di Maurice Maeterlinck, (6) premio Nobel nel 1911; le armonie di Richard Wagner (7) echeggianti un’atmosfera spirituale; le composizioni del russo Alexsandr Skrjabin; (8) la costruzione dei volumi attraverso il colore di Paul Cézanne (9) e la realtà scomposta in una moltitudine di sfaccettature di Pablo Picasso; (10) gli effetti dinamici delle campiture di Henri Matisse; (11) il Manuale di armoniadi Arnold Schonberg: (12) contribuiscono in maniera decisiva a fortificare la convinzione di un moto centripeto verso l’interiorità, intendendo poi l’arte come un problema di contenuti.

C’è insomma un principio della necessità interiore che deve guidare l’artista verso l’anima delle cose. In tale ambito l’astrazione – che peraltro non è una via obbligata per l’artista – è la più congeniale a un’arte “al servizio del divino”; questo concetto precorre la nozione heideggeriana (13) di arte come linguaggio dell’essere.

I linguaggi comuni delle avanguardie artistiche del ‘900

Sull’esempio del Manuale di armoniadi Schonberg, Kandinsky tende a creare la “teoria dell’armonia in pittura” – già pensata ma non realizzata da Johann Wolfgang Goethe (14) – che individui i possibili rapporti tra colore e colore, tra colore e forma e i loro effetti; è, in nuce, l’avvio della ricerca linguistica che si svilupperà nel Bauhaus.

Nel saggio dell’artista russo convergono diverse ascendenze che poi si stratificano nella sintesi del suo pensiero. Per esempio il parallelismo tra l’armonia dell’opera d’arte e quella del cosmo, la “sintonia” tra l’artista e l’anima del mondo sono già state trattate dal filosofo inglese Shaftesbury. (15) La nozione di arte come ricerca della spiritualità e dell’interiorità ritorna poi in tutto il Romanticismo, dallo Sturm und Drang all’idealismo di Johann Gottlieb Fichte (16) e Friedrich Schelling. (17)

Anche il principio della necessità interiore è di origine romantica. In seguito pure l’opera di Tolstoj (18) Che cos’è l’arte del 1897 è vicina all’opera di Kandinsky per quell’idea che l’arte non è una forma di piacere o di intrattenimento, ma “un organo della vita e del progresso dell’umanità”, e per l’avversione totale a ogni forma di estetismo.

Nel panorama culturale del ‘900 poi, il grande poeta francese Yves Bonnefoy (19) è stato anche un attento studioso di problemi legati al linguaggio visuale. Secondo lui, all’arte deve essere assegnato il compito di “svelare” quella “presenza”, intesa non in senso metafisico, ma come sostanza più profonda e autentica della realtà, che i codici verbali o iconici tenderebbero ad occultare. Parlando della struttura del segno afferma che essa impedisce al soggetto la percezione interiore del mondo; occorre quindi visualizzare la presenza, liberando la realtà dal viluppo fuorviante dei segni, che impediscono l’accesso alla sua più autentica realtà, chiamata appunto “presenza”. (20)

Per esempio in Jan Vermeer, (21) nella Pesatrice di perle, del 1662-3, oggi al museo Nazionale d’arte di Washington, riconosce in quella pittura di impasto, non di velature, la traccia di una “vita interiore”, quella che innerva i significati del quadro e si qualifica infine come presenza a chi abbia la capacità percettiva di andare oltre l’episodio della rappresentazione ed entri nella sostanza dell’evocazione.

Il quadro Veduta di Deft presenta sulla destra, alla fine della sequenza di edifici, un piccolo riquadro giallo, un piccolo nucleo da cui far partire lo sguardo per una visione non solo orizzontale (il visibile) ma anche verticale nell’essenza della pittura, a fissare appunto la “presenza”. Nella natura morta di Giorgio Morandi (22) invece, i simulacri delle cose (o le ombre in altre opere) nascondono gli enigmi tonali dell’artista, non ancora compiutamente decifrati, dove è imbrigliata la “presenza”.

Giorgio Morandi, Natura morta, 1918

Relativo e assoluto

Nel rapporto tra relativo e assoluto si consuma molta parte della materia concettuale a partire dal 1900, facendo prevalere – in contrasto con le credenze e teorie precedenti – la prima delle due polarità. L’era del relativismo pone in discussione diversi capisaldi del sapere e mutua dalle nuove scienze, soprattutto termodinamica, meccanica quantistica e cosmologia, modalità di approccio al reale e, direi, al visuale, nel senso di visibile, e al percettibile. Il saggio sul “Relativismo” di Gian Paolo Prandstraller (23) è in proposito illuminante, dal momento che affronta la questione con il rigore del ricercatore e la chiarezza del divulgatore.

Siccome la condizione umana, come ogni altra cosa, è destinata alla finitezza in un processo variabile da un soggetto all’altro di metamorfosi, capaci di rivestire il tutto con la parvenza del nuovo, l’idea di un assoluto sbiadisce sino all’annullamento introducendo per l’artista l’esigenza di essere se stesso anche nelle cose che crea, dal momento che finiscono per risultare, pure nell’immediato futuro, la documentazione di un passato che non ritorna. Un artista peraltro che sia sempre uguale a se stesso perde il carattere di autenticità, non rilevabile nella permanenza in uno stallo di staticità, e – nel migliore dei casi – si qualifica come un onesto artigiano che replica se stesso non ascoltando la voce interiore (come direbbe Kandinsky), ma le sollecitazioni del mondo esterno, dei gusti del pubblico, del profitto, del successo e così via.

La meccanica quantistica mette in discussione tutto ciò scalzandone la validità di una pretesa di strategia procedurale, visto che solo in ambito probabilistico può essere indovinata una direzione di marcia poetica; per il resto il soggetto creante – fatti salvi alcuni elementi di partenza come i prerequisiti fondamentali, gli strumenti di espressione e il dato culturale di base – nella realizzazione di un’opera si incammina sempre in un territorio che per lui stesso è generoso di sorprese e fonte di stupore davanti a dipinto o scultura o altro effetto d’arte finito.

Per questo è utile la distinzione tra un esecutore, capace di congegnare perfettamente una composizione dal punto di vista formale e un artista, pronto a recepire le vibrazioni che sente dentro di sé e all’interno di qualche oggetto della sua attenzione, per tradurre il tutto in opera d’arte intesa come vera estrinsecazione di sé.

BLUER (Lorenzo Viscidi), Accartocciato
Opus 19, 2011

Le prime esperienze di arte quantistica

L’avvicendamento fantasmagorico di segni, tracce, forme, corpuscoli luminosi nel corso di un processo creativo impone anche una velocità di adeguamento delle azioni che servono ad approfondire le ragioni di un’espressione capace di legarsi profondamente alla logica relativistica; secondo questa l’artista si dispone ad accogliere i segnali del nuovo incamerandoli nella poetica creativa che si presenta come un complesso magmatico, passibile di mille modificazioni e mai tetragono e fermo negli assunti e acquisizioni raggiunte.

La complessità del reale si riverbera nella miriade di contraddizioni di natura sociale, economica e culturale del nostro tempo, sottoposto ai flussi dinamici di un’esistenza che in molti aspetti mostra salti metamorfici significativi anche a una ricognizione tradizionale a occhio nudo, e ancor più con un’analisi di strumenti sofisticati e precisi che la tecnologia ci fornisce continuamente da una ricerca estremamente generosa di risultati.

L’Arte Quantistica si innerva di uno stimolo forte a rovesciare in qualche modo i termini di una coscienza portata ora a calibrare il proprio ruolo di protagonista attiva nel rapporto con la realtà impostando un rapporto serrato tra arte e scienza, senza sovrapporre i due campi, ma mantenendo le rispettive autonomie arricchite da un continuo processo di osmosi dall’uno all’altro e viceversa.

Se si dovesse stabilire un terminus a quo, lo si potrebbe indicare nel 1977, quando Roberto Denti pubblica il “Manifesto della Fotografia e Arte Sostanziale”.

Crogiolandosi nel già acquisito si rischia di restare intrappolati nelle sabbie mobili di una tendenza alla conservazione che, ovviamente, è l’antitesi di uno slancio innovativo. Pertanto l’artista, svincolato dalla necessità di resa estetica e di prospettiva economica, può sentirsi più libero di spaziare mirando egli stesso alla costruzione di un mondo nuovo. Per questo nella fotografia (com’è già avvenuto nella pittura e nella scultura con l’astrattismo) agli autori è consentito sbizzarrirsi in una manifestazione iconica del proprio pensiero senza nessun vincolo rispetto ai critici e con la consapevolezza di poter esprimere senza condizionamento alcuno  stati d’animo, emozioni, idee sulla propria visione del mondo, del quale auspicano un deciso miglioramento e per il quale sono disposti a dare il proprio contributo nella prospettiva di un reale cambiamento di indirizzo operativo. Pertanto la dichiarazione ha una portata sostanziale, non si interessa della forma se non concependola in funzione gregaria.

Il passaggio successivo è la redazione del “Manifesto dell’Arte Quantistica” dell’aprile 2008. (24)

I concetti dell’Arte Sostanziale del 1977 vengono ulteriormente elaborati e incanalati in una dimensione spazio-temporale-probabilistica di multi realtà, con il supporto di filmati, foto, quadri e sculture. Nel documento Denti crea una corrispondenza concettuale tra gli Spazi di Hilbert (25) e gli spazi reali e immaginari della composizione, gli uni intesi come derivazione degli altri. Viene descritto il rilievo dinamico dal punto di vista artistico delle particelle sub-nucleari e la composizione artistica della materia, configurando la dimensione spazio-tempo.

Il nome stesso di Arte Quantistica deriva dalle nuove acquisizioni della scienza moderna, dove la fisica meccanicistica newtoniana è stata soppiantata da una concezione del tutto diversa, quella di un mondo subatomico, le cui acquisizioni sono confinate tutt’oggi nell’ambito scientifico, con il risultato che le logiche sociali, economiche e culturali viaggiano ancora su moduli processuali guidati da forze in dialettica posizione tra loro.

La teoria quantistica, che ha portato straordinari cambiamenti nel mondo della scienza, può dare una linfa completamente nuova all’arte. E siccome l’arte è un prodotto dell’uomo che, a sua volta, è “atomo” della più vasta realtà sociale con le sue implicanze economiche, estetiche ed etiche, questo tipo di espressione tende dichiaratamente a uscire dallo specifico della disciplina (pittura, scultura, fotografia, performance ecc.) per collegarsi direttamente con il mondo della realtà quotidiana. Il che non significa essere semplicemente “in relazione con”, ma “essere dentro”, innescare veri e propri processi metamorfici negli ambiti sociali, economici e culturali.

In questo modo si può creare una connessione tra l’infinitamente piccolo quantistico descritto dalla meccanica e dalla fisica con il non visibile dell’arte che, come tale, “reclama” la necessità di essere portato nella sfera del percettibile con lo sguardo, insomma della visualizzazione.

Resilienza nella vita e nell’arte

Le cronache di questi ultimi anni hanno rappresentato con sempre maggiore frequenza la diffusione di una diffidenza tra i singoli individui, tra i gruppi sociali, anche tra gli Stati nazionali che si è tradotta spesso in antagonismo acceso, quando non in grave conflittualità. È sempre più forte e diffusa – anche se obiettivamente giustificabile talora con determinate situazioni di groviglio sociale e politico – la tendenza a fare muro intorno alla propria identità preservandola da contaminazioni ritenute addirittura pericolose per la sopravvivenza. La resilienza individuale e sociale va proprio in senso contrario, cioè tende ad evitare le chiusure tipiche di mentalità estremamente conservatrici. Pertanto il concetto si applica nei casi in cui situazioni di disagio o condizioni sociali di difficoltà impongano una promozione di austostima nell’individuo e di maggiore sicurezza nella società, grazie anche e soprattutto alla resilienza, che mutua il suo significato dalla scienza dei materiali (contrasta la fragilità, e indica la capacità di alcune sostanze di resistere a uno shock termico o a una rottura per sollecitazione dinamica, urto o pressione).

Così il nesso arte-scienza progettato nell’attività dell’Arte Quantistica comporta l’urgenza culturale di sempre nuove conoscenze scientifiche e produce significati che mirano al superamento delle vecchie concezioni meccaniche, per favorire lo sviluppo della società attraverso una strategia di conoscenza condivisa; inoltre capta e fa propri i segnali dell’innovazione tecnologica e scientifica, come ad esempio quella riferita allo sviluppo dei materiali nano-strutturali. (26)

La nanotecnologia impiega tecniche di manipolazione della materia su scala nano-dimensionale e costituisce così un ambito di ricerca transdisciplinare coinvolgendo svariati indirizzi d’indagine scientifica (aprendo in tal modo prospettive di cambiamento); nello stesso modo le attività dell’Arte Quantistica – con un’efficace contaminazione tra arte e scienza contemporanea – tracciano le linee per una strategia innovativa della creazione artistica e tendono a favorire una forte spinta a trarre vantaggi dal cambiamento “ad elevata resilienza di sviluppo”, nonostante cioè la crisi economica globale e le chiusure culturali all’innovazione. Ciò aiuta ad affrontare efficacemente la marcata complessità strutturale della società contemporanea i cui effetti nel quotidiano possono essere amplificati ed esaltati all’eccesso dalla velocità, con cui l’innovazione tecnologica propone prodotti destinati ad invecchiare con altrettanta velocità, scalzati da quelli nuovi che continuamente emergono dalla feconda combinazione di scienza e tecnica.

Nel 2016 ai Musei Scientifici di Villa Rosati di Fermo, la mostra “99 quanti – Gruppo Ricerca Arte quantistica” è stata un interessante tentativo di rispondere alle sollecitazioni del nuovo. (27)

Proprio dall’ambito della termodinamica, della meccanica quantistica, della cosmologia, della biologia e delle neuroscienze provengono oggi più che mai stimoli a concepire l’approccio all’arte sulla base di un’esigenza precisa, quella di visualizzare i fenomeni ad essa correlati, anzi in essa connaturati, e costituire così un vasto repertorio di opzioni figurali che solitamente sfuggono a una ricognizione pur seria dello sguardo. Per questo la contaminazione tra arte contemporanea e scienza è la piattaforma preliminare per il decollo di una strategia creativa che tenda – tra l’altro – a rompere definitivamente le chiusure culturali all’innovazione.

Quindi l’arte – sintonizzata sulle emissioni più cospicue della scienza quantistica – viene concepita come movimento continuo verso un “altrove” rispetto al già acquisito, esattamente come avviene nella realtà “invisibile” costituita da particelle minimali e percorsa da energie variabili e da onde gravitazionali che formano la trama sommossa dell’esistente.

Mentre l’arte tradizionale si fonda sull’espressione di sentimenti ed emozioni che scaturiscono dall’individuo singolo, l’arte quantistica – nel limite del possibile – sposta l’obiettivo verso una nuova necessità di spinta creativa sociale ed economica. A questo proposito, il mercato merita un discorso a parte anche se la nuova concezione quantistica rimuove l’idea di un mercato come attore-protagonista (attraverso le figure di riferimento: il gallerista, il curatore di eventi, il collezionista, il critico ecc.) del processo dinamico dall’autore al pubblico; in realtà l’artista ritorna al centro della scena e la sua autonomia dalle seduzioni del profitto è direttamente proporzionale alla sua convinzione di poter cambiare le regole di un gioco che ha falsato molte prospettive di merito e ha mistificato diverse valutazioni.

Riferimenti odierni

L’accostamento a un’esperienza nuova, com’è stata fin qui definita, può avvenire sostanzialmente in due modi: con il ricorso alla virtualità digitale oppure alla fisicità materica. Entrambi sono modi efficaci per visualizzare il senso dell’esistente, così come lo avverte l’artista.

In tal caso è sempre aperta una questione che nasce già con la fotografia: fino a che punto arriva la capacità del mezzo tecnico e da dove inizia a precisarsi con chiarezza l’intervento dell’artista, che dovrebbe qualificarsi in termini di artisticità e di originalità. Il confine tra dotazione tecnica e capacità artistica è piuttosto labile; è ovvio comunque che l’autore di un’opera è apprezzato se è rimasto estraneo alla tentazione degli “effetti speciali” ed è stato aderente a se stesso, con un risultato che lo rispecchia a pieno.

Una bella dimostrazione la offre Maurizio Turlon, presente con la sua opera in un ampio spazio di trattazione in questo medesimo contesto (il Convegno e gli Atti).

Nell’ambito della ricerca che utilizza il metodo d’approccio alla concretezza tangibile del medium, si segnala il lavoro di Lorenzo Viscidi Bluer (28) che anche nelle precedenti opere pittoriche degli anni ‘80 anima lo schermo della tela con una miriade di “animule” disseminate a fluttuare in uno spazio che deborda idealmente dal limite della tela. Astrazione mistica o dell’Estasi, Boschi gotici, Apparizioni minime, Apparizioni astrali, Grafie d’anime, Spazio temporale o Specchi cromatici, Quadri-non quadri, Pastiglie per l’anima sono allora le pietre miliari di un cammino attraverso cui l’artista sonda il territorio della propria coscienza in uno slancio di accostamento al mistero dell’infinito, sostenuto da una forza spirituale che si traduce visivamente nel privilegio accordato al blu: il combustibile per salire in quota e toccare l’archetipo, la sostanza primaria dell’esistente, inscritta in forme e luci prelevate dal grande libro della mistica aderenza a quell’ambito, scisso dalla condizione spazio-temporale, che è il divino, prefigurato nel sogno e nell’estasi, prodotta dalla musica, e tradotto in forma danzante nel magma del blu; d’altro canto già Ives Klein l’aveva adottato e concepito come porta aperta sull’universo. La funzione del colore, non solo estetica, prima di tutto intellettuale, libera frequenze che sintonizzano il soggetto creante con dimensioni di un “altrove”, con la propria collocazione nelle immense spazialità del cosmo; queste a Bluer, intellettuale visionario, appaiono percorse da miriadi di presenze in movimento continuo: animule liberate ed esposte ai flussi di un’energia primigenia; amebe in cerca di una definizione organica; piccole stilizzazioni antropomorfe uscite dalla condizione di corporeità per farsi ideogrammi in viaggio verso la celebrazione del pensiero; nuclei di vitalità embrionale osservati alla lente della fantasia, asservita a un disegno di ascesi, in uno slancio gotico verso le regioni della trascendenza.

Ora, impegnato ormai da qualche anno con la scultura e l’installazione, ingloba nel plexiglas le forme e le fa apparire in negativo come sagome di fossili prelevate dalle lande più misteriose dell’universo e l’opera conserva quel carattere di impalpabile condensazione di idee scritte nel ghiaccio con ideogrammi mossi in una cadenza leggera che viene suggerita dalla visione della pittura o della scultura stessa.

Bluer_”In Eterno Volo” Opus nr 19, 2016, farfalle e fiori inglobati nel plexiglas

Il concetto vale tanto più per un materiale come il plexiglas, una resina sintetica che consente alle radiazioni luminose non solo di passare, ma di diffondersi amplificando gli effetti ottici secondo un indice di propagazione che è direttamente proporzionale all’intensità della fonte luminosa nell’ambiente. Suono e luce possono definirsi in questo lavoro materia della scultura, che si articola nello spazio affermando la sua fisicità proprio su un supporto di riflessi, trasparenze, rimandi, e trapassamenti che la indicano come cristallizzazione di una sostanza liquida, disposta a interferire con l’ambiente in cui si trova installata. Il rapporto tra l’estensione spaziale e la natura del mediumfa scaturire i caratteri formativi e gli attributi di ingombro volumetrico della scultura stessa. Sovente le creazioni di Bluer si presentano come paesaggi primordiali, dove il fenomeno della galaverna, viene toccato da un sole improvviso che esalta le membrature anatomiche, tracciate sulla base di un disegno carico di emotività e di un gesto fortemente evocativo.

Enzo Santese

Note al testo

1. Georg Christof Lichtenberg (Ober-Ramstadt 1742 – Gottinga 1799) è stato un fisico e scrittore tedesco. È noto soprattutto per i suoi aforismi di cui la casa editrice Einaudi di Torino ha pubblicato il libro Osservazioni e pensieri, traduzione di Nello Saito.
2. Wassily Kandinsky, nato a Mosca nel 1866, morto a Neuilly sur Seine nel 1944. Il titolo originale de Lo Spirituale nell’arte è Über das Geistige in der Kunst: insbesondere in der Malerei. L’edizione italiana: Wassily Kandinsky, Lo Spirituale nell’Arte, (a cura di Anna Maria Carpi), De Donato, Bari, 1968
3. Matita, acquarello e china su carta, cm 49,6 x 61,8, 1910.
4. Olio su tela, cm 77 x 100, 1911.
5. Wassily Kandinsky, Rückblick, Der Sturm, Berlino, 1913, pag. 27; e, dello stesso autore, Sguardo al passato, in Tutti gli scritti, a cura di P. Sers, Feltrinelli, Milano 1973-74, vol. II, pp. 153-182.
6. Poeta belga, nato nel 1862 a Gand, morto nel 1949 a Nizza.
7.Lipsia 1813 – Venezia 1883
8. Mosca 1871-1915
9. Aix en Provence 1839 – 1906
10. Malaga 1881 – Mougins 1973
11 Le Cateau Cambrésis 1869 – Nizza 1954
12 Vienna 1874 – Los Angeles 1951

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