Il marchio palladiano sulla villa Corner o Cornaro di Piombino Dese

Abstract

Piombino Dese, a pochi chilometri da Padova, si propone al visitatore soprattutto con due caratteristiche, una eminentemente fisica segnata dalla presenza di più corsi d’acqua, tra i quali il Sile che nasce proprio lì dalle risorgive; il parco naturale regionale del fiume è una buona garanzia di tutela di un territorio che nella sua conformazione presenta diversi motivi di suggestione. La seconda peculiarità è data dalla Villa Cornaro che nel novero di quelle palladiane viene non a caso appaiata sempre a Villa Pisani di Montagnana, a una cinquantina di chilometri dal capoluogo.

L’incarico

Ad Andrea Palladio viene dato l’ordine di costruire nel 1553 una sontuosa residenza di campagna da Giorgio Corner, potente e famoso patrizio veneziano, che comincia ad abitarla dall’anno seguente, subito dopo le nozze con Elena Contarini, quando i lavori sono ancora ridotti rispetto al progetto originario; a quel punto l’edificio conta su un corpo centrale completamente definito, mentre le due ali arrivano solo al primo solaio.

I committenti desiderosi di ricevere riscontri di deferenza impegnano molte delle loro risorse in lussuose dimore anche perché ormai sedotti dalla fama dell’architetto, che viene incaricato così di realizzare disegni da tradurre in edifici di sontuosa eleganza, solitamente in luoghi strategici nella prospettiva residenziale ma anche di dimore campestri, dove c’è un interesse preciso di produzione agricola. Così nel 1552, entrato in possesso di un fondo per successione ereditaria, Giorgio Cornaro personaggio in vista della società veneziana, chiede al padovano Andrea di Pietro della Gondola, cioè Palladio, di procedere all’esecuzione che vari documenti collocano fra1553 e ‘54. All’inizio i lavori si concentrano sul blocco centrale che viene completato ma è fruibile solo in parte; le ali invece, appena impostate, sono destinate a rimanere a lungo incompiute e parziali; per il committente l’esigenza è di abitarla appena possibile, per l’architetto è di sfruttare a pieno una spazialità che lo impegna a disegnare nel segno di un rigoroso rispetto delle dimensioni. La struttura la qualifica come residenza di campagna più che dimora principale; lo spazio centrale interno scandito dalla presenza di quattro colonne libere, a tutto tondo, è un salone al quale si accede attraverso la loggia; due scale uguali collegano il piano terra agli appartamenti privati della famiglia Cornaro. Sembra che Palladio abbia assistito e sovrainteso a buona parte delle fasi costruttive di entrambe le ville, come d’altro canto era sua abitudine. Il fatto di trovarsi nella stessa provincia, di essere state le due ville costruite praticamente negli stessi anni e di aver avuto la presenza fisica dell’architetto nei vari stadi operativi giustifica ampiamente i motivi di contaminazione tra l’una e l’altra.

Il pronao di villa Cornaro si sviluppa su due ordini sovrapposti, dotati ognuno di 6 colonne, ricalca la formula adottata da Palladio per la loggia di Palazzo Chiericati a Vicenza, portata a termine nello stesso periodo. Qui il volume cubico dell’edificio si caratterizza per i due piani che distinguono la zona più privata di utilizzo padronale da quella sottostante. La stessa cosa avviene per villa Cornaro che presenta numerose affinità con il Palazzo vicentino, com’è evidente soprattutto nella loggia.

Nella parte che guarda alla strada, due ali leggermente arretrate rispetto alla facciata e meno profonde del corpo centrale addolciscono l’imponenza dell’edificio che si compone di due piani poggianti su un seminterrato. La fronte principale si organizza su un loggiato a due ordini di colonne, quelle inferiori di intonazione ionica, quelle superiori corinzie, a rimarcare una classicità come punto ineliminabile nella poetica palladiana di equilibrio, armonia e bellezza. La doppia loggia della facciata conferisce infatti alla villa quell’equilibrio che è uno dei marchi della sua concezione di architettura tra l’imponenza della facciata e la sua svettante eleganza, coronata da un frontone con piccolo rosone nel mezzo; una scalinata di uguale larghezza porta all’ingresso.

Goethe

Goethe nel suo Diario di viaggio in Italia in Italia afferma che “v’è davvero alcunché di divino nei suoi progetti”; il riferimento è soprattutto all’armonia degli elementi costitutivi dell’architettura che si situano dentro il solco di un’ascendenza classica greco-romana con l’aggiunta di una modernità affidata, nel suo impianto teorico, a I quattro libri dell’architettura (1570), dove sviluppa il trattato delle proporzioni architettoniche risonante del pensiero di Vitruvio; Palladio lo studia in tutte le sue articolazioni e, anzi, realizza le illustrazioni per la traduzione di Vitruvio curata dal Patriarca di Aquileia Daniele Barbaro. Nei “Quattro libri” c’è anche il grafico relativo alla villa Cornaro, seppure non sia perfettamente rispondente all’opera finita.

Nella formazione dell’architetto padovano un peso decisivo ha la lezione di Giangiorgio Trissino, poeta e umanista, uomo di notevole levatura intellettuale che ha allargato la sua indagine a varie discipline, tra cui appunto l’architettura che dà modo a Palladio di confrontarsi su problematiche che poi riguardano direttamente il suo lavoro concreto di progettazione e costruzione.

Dopo la morte del proprietario

Dopo la morte del proprietario Giorgio Cornaro nella battaglia di Lepanto nel 1571 nel corso della guerra di Cipro fra la flotta dell’impero ottomano e quella della Repubblica di Venezia, le cui forze erano per la metà della Lega Santa, il figlio Gerolamo eredita la villa, ma soltanto nel 1588 con rinnovata convinzione dedica energie fisiche e psicologiche alla continuazione delle opere edilizie.

Nel periodo tra il 1596 e ‘97 Vincenzo Scamozzi costruisce a destra della villa lungo la strada pubblica la barchessa, aggiunta che si armonizza con il contesto e, sempre negli stessi anni, Camillo Mariani realizza nel salone a quattro colonne le sculture, che rappresentano la “stratigrafia storica” della villa, allontanandosi un po’ dall’estetica della dimora e rispettando in parte il gusto del tempo.

In una mappa del 1613, l’edificio appare nella sua completezza, con le due ali portate a termine secondo gli intendimenti scritti da Palladio. Il 1700 è stato il tempo di grandi decorazioni a stucco ad opera di Bartolomeo Cabianca, capace di mantenersi in linea con il carattere della villa, donandole un tocco di ulteriore vivacità rispetto a quella degli affreschi realizzati quasi contemporaneamente da Mattia Bortoloni.

Enzo Santese

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