Le forme poetiche dei trovatori provenzali

Abstract

Gli studiosi della poesia provenzale sono pressoché tutti concordi nel riconoscere che molti dei Canzonieri, la prima forma antologica della poesia volgare, siano stati redatti, conservati, trascritti e diffusi, in Veneto, alle corti degli Este, dei Da Romano e dei da Tempesta, tra Verona, Padova, Treviso e Venezia con alcune importanti eccezioni di matrice bolognese, per la presenza e della più antica università italiana e di Re Enzo, figlio di Federico II, trovatore, lì prigioniero. L’Alba è una delle forme di questa poesia, forse per noi la più curiosa.

Musica medievale

L’ALBA, una forma originale di poesia dei trovatori provenzali (XI-XIII secolo)

L’Alba (aube) è una forma di composizione dei poeti provenzali la più curiosa e insieme la più divertente, l’unica forma in cui la fin’amor può trovare una realizzazione non platonica: racconta del momento in cui i due amanti, trascorsa una notte vuoi di passione vuoi di seduzione, sono costretti al distacco, e, si potrebbe dire, alla fuga, per evitare le ire del marito tradito, un vilan, e gli sguardi indiscreti dei maldicenti, i lausengiers (i gelosi rivali). Ed è il canto del gallo, non del tutto inusuale riferimento ai vangeli, a segnare il distacco oppure, talvolta, il gorgeggio dell’usignolo. Quindi l’alba rappresenta per gli amanti anche un momento drammatico o, più genericamente, patetico perché li riporta alla realtà o alla costrizione, e all’abbandono di quello spazio di libertà che nell’incontro si erano potuti concedere. E in questo ‘risveglio’ ci vuole una complicità: la guaita, una sentinella che avverta gli amanti che il loro incontro deve finire. Ma quello che oggi può sembrare lontano da una comprensione immediata sono: la componente musicale delle Albe, cioè i riferimenti a melodie della tradizione liturgica cristiana per la Canzone dell’Alba, e i riferimenti sacri che spesso vi compaiono, specie, ma non solo, per l’aspetto musicale, come ci rivela uno studio di Antoni Rossel dell’Università di Barcellona dal titolo L’intermélodicité comme mémoire dans le répertoire de la lyrique médiévale. (1) Non dobbiamo dimenticare che la musica era parte integrante di ogni testo trobadorico, a differenza della lirica successiva, e che la memoria musicale nel medio evo era o sacra o tabernaria e aiutava il trovatore nel rapporto con il suo pubblico.

Albe a tema sacro e a tema profano (erotico)

Quindi non ci meraviglierà che alcune Albe abbiano preciso tema religioso come l’Alba di Folquet de Marselha, il vescovo di Tolosa Folchetto, nemico degli eretici e del Conte Raimondo: Vers Dieus el vostre nom e de Sainta Maria:

La nuech vai e l jorns ve
ab clar cel e sere,
e l’alba no s rete
ans ven belh’e complia.

 La notte che se ne va, la luce che torna e il giorno che viene, tutti temi che fanno in certo senso da schema fisso per le Albe di carattere erotico.

Spesso il poeta affida la positiva conclusione dell’incontro amoroso, e il superamento del rischio che i due amanti vengano scoperti, alla benevolenza divina, altra forma di trasgressione irriverente della poesia provenzale che pone al di sopra di tutto, perfino della religione, la fin’amor, il diritto d’amare, anche quando si tratta di amore adulterino. Si può capire la diffidenza della chiesa nei confronti di questi poeti sconsiderati, nella terra in cui si sta diffondendo la pericolosa eresia dei catari.

Possiamo darne un ulteriore esempio: Ave maris stella, una delle preghiere liturgiche di maggiore presa e diffusione, diventa la base musicale, e in parte tematica (stella, luce), per alcuni trovatori come Cadenet; dal punto di vista del pubblico la memorizzazione del canto sacro crea subito una attenzione e una disponibilità all’ascolto del canto profano. Difatti l’aspetto che il critico sottolinea, e che ci fa capire una delle primarie motivazioni della scelta della musica liturgica, come schema musicale, per l’Alba, è che si tratta sempre di una sequenza musicale, o canzone, rivolta ad un pubblico che queste melodie le riconosce e che, di conseguenza, può facilmente accogliere la nuova poesia: si tratta di réminiscences lithurgiques de la mélodie.

Un’Alba che racconta l’intervento della guaita a dare il segnale del distacco

Un significativo esempio di Alba di un trovatore anonimo si può leggere in Wikipedia.

Quan lo rosinhols escria
ab sa part la nueg el dia,
yeu suy ab ma bell’amia
jos la flor,
tro la gaita de la tor
escria: “Drutz, al levar!
Qu’ieu vey l’alba e.l jorn clar”.

Quando l’usignolo canta,
e alla notte segue il giorno,
io sono con la mia bella
coperto di fiori,
finché dalla torre la sentinella
grida: “amanti, alzatevi!
Ch’io vedo l’alba e il giorno chiaro”.

Il Canzoniere provenzale estense

Alcune di queste struggenti poesie dell’attesa del distacco ci sono pervenute attraverso uno dei più antichi canzonieri provenzali, se non il più antico, il Canzoniere provenzale estense che contiene il Liber Alberici, sicuramente scritto intorno alla metà del 1200 in Veneto e, più precisamente, tra Treviso e Padova, in parte da Uc de Saint Circ, il trovatore caorsino vissuto alla corte degli Ezzelini, tra Verona, Padova e, per più di trent’anni, Treviso presso Alberico da Romano. (2) Del resto è ormai convinzione dei più importanti studiosi che le notizie intorno ai trovatori e ai loro componimenti (vidas, razos) siano state raccolte soprattutto in Veneto, come il Glossario e il Rimario della lingua provenzale e che dal Veneto, da Treviso e Padova in particolare, sia iniziata la diffusione della poesia provenzale raccolta in antologie (i Canzonieri) influenzando i primi poeti in lingua volgare della letteratura italiana: Scuola siciliana, poeti siculo-toscani, poeti del Dolce Stil Novo fino a Dante e a Petrarca. Si sa che uno di questi Canzonieri, con alcuni altri, era nelle mani di Pietro Bembo.

Nota

1) Antoni Rossel, L’intermélodicité etc, Universitat Autònoma de Barcelona da Internet “ACADEMIA”

2) Canzoniere provenzale estense: “Si tratta della più antica antologia organizzata di poesia volgare, il ms. α R 4 4 della Biblioteca Estense e Universitaria di Modena, siglato D da Kall Bartsch nel 1857”. Giosuè Lachin in I trovatori nel Veneto e a Venezia. Atti del Convegno Internazionale – Venezia, 28-31 ottobre 2004.

Alessandro Cabianca

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