Sommario
Abstract
In questo secondo articolo su Lucrezia Dondi Dall’Orologio lo scrittore Gianluigi Peretti ci dà unteriori informazioni sulla tragedia che colpì la nobildonna padovana e della vasta eco che il delitto ebbe nelle corti del tempo divenendo argomento di scritture poetiche e si sofferma poi sui numerosi passaggi di mano del castello del Catajo, l’imponente residenza dei nobili Obizzi alle porte di Battaglia Terme.
Il responsabile dell’assassinio
Se la giustizia veneziana aveva lasciato impunito e libero Attilio Pavanello nonostante le prove raccolte per il delitto di Lucrezia, probabilmente con qualche alta protezione, le autorità padovane tuttavia, e quella che oggi chiameremmo “opinione pubblica”, avevano compreso da tempo le cause reali di quella terribile tragedia.
La dimostrazione di questa consapevolezza la troviamo nella scritta latina sul monumento che fu allestito nel Salone del Palazzo della Ragione tra altri padovani eccellenti. Questa la traduzione: “Venera (o visitatore) l’immagine e la vittima della Pudicizia, Lucrezia Dondi dall’Orologio, moglie di Pio Enea degli Obizzi, Marchese d’Orciano. Quella notte nel letto nuziale con il suo sangue pudico smorzò le fiamme furenti di un novello Tarquinio (romano). E superò la romana Lucrezia, gloria del talamo intemerato. Alla sua grande eroina la città di Padova con mani generose dedicò questo monumento per decreto il 31 dicembre 1661”.
Al castello del Catajo venne in seguito murata, ed è oggi ancora visibile al visitatore-turista, una pietra rossastra con (si tramanda) il sangue dell’infelice nobildonna, asportata dalla camera da letto del delitto. Questa pietra ha dato talvolta il destro per un equivoco sul luogo dell’assassinio, vale a dire al Catajo (poi con relativo fantasma assai pubblicizzato) e non nel palazzo di Padova. In ogni caso il misfatto entrò, con il tempo, specie nell’Ottocento romantico, nel teatro, nei melodrammi e nella letteratura con fantasiose ricostruzioni (non si conoscevano ancora i contorni della tragedia e il nome dell’assassino, rivelati poi dal Gloria).
Le lagrime della Fama, una raccolta di versi in onore di Lucrezia
Anche nell’immediato, molto spesso accostata alla romana Lucrezia, quasi un refrain, suicida per non cadere violata dal figlio del re Tarquinio il Superbo, ebbe gli onori di una moltitudine di poeti e di nobili di ogni lingua e nazione. Il testo di questi contributi poetici ebbero il titolo Le lagrime della Fama, dato alle stampe nel 1664.
L’editore padovano Paolo Frambotto, nella dedica alla raccolta delle poesie provenienti da tutta Europa e nelle lingue, vive e morte, allora conosciute, poté scrivere: “La gloria della Sig. Marchesa degli Obizzi, dopo girata l’Europa, a quest’hora sorse in ogni più rimota parte del Mondo…”. Tra gli altri versi si trascrivono due quartine di un sonetto di Ciro di Pers:
“All’Euganea LUCREZIA, onde men chiari
Splendon omai della Romana i pregi,
E’ scarso onor suono di carmi egregi,
Lavor di marmi pelegrini, e rari.
A sublime virtude il Ciel prepari
Glorie sublimi, e con eterni fregi
A quell’eroico valor de prischi Regi
Del notturno seren l’ombre rischiari…”
Il castello del Catajo
Gli Obizzi come casato si estinsero nel 1803 con il bizzarro (e uxoricida pare per motivi d’onore) Tomaso, che con la sua passione antiquaria aveva reso il Catajo un vero e proprio Museo, ricco di armature, anche con armi da fuoco, quindi reperti archeologici del territorio estense in primis, etruschi, greci, romani e persino egizi. Per il visitatore d’oggi, oltre che la fortezza con i numerosi affreschi dello Zelotti (ben 40 comparti) al piano nobile e le terrazze, è importante visitare il Parco con le sue fontane e le piante esotiche, voluto, assieme agli ampliamenti del complesso, tra il 1648 e il 1666, dal marito di Lucrezia, il cavaliere e letterato Pio Enea II. Un tempo era visitabile un largo recinto boschivo, addossato al monte, con animali selvaggi ma innocui come daini, caprioli e cervi tra gli altri.
Le vicissitudini del Museo
Quel famoso Museo andò purtroppo disperso dai vari successori dopo la morte di Tomaso. Suo erede fu designato l’ex duca di Modena Ercole III d’Este. Morto questi nello stesso anno di Tomaso, il Catajo finì all’arciduca Carlo Ambrogio, ultimo figlio dell’arciduca Ferdinando e marito di Maria Beatrice d’Este. Con il tempo l’intero complesso fu ereditato da Francesco IV d’Este (quello dell’’ “affare” Ciro Menotti), duca di Modena, Reggio e Mirandola, quindi dal figlio Francesco V.
Con l’annessione, nel 1859, del ducato al nuovo Regno d’Italia, questi scelse come erede Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono di Francesco Giuseppe, poi, come noto, ucciso a Sarajevo nel 1914, evento che di fatto scatenò la prima guerra mondiale. Oggi una targa, esposta all’esterno del Catajo, fa sapere che l’arciduca soggiornò lì per qualche tempo prima di quel viaggio fatale. Finita la grande guerra, il complesso passò tra i beni confiscati agli austroungarici con il nuovo e ultimo imperatore asburgico Carlo I (il santo), come riparazione di guerra, ma nel frattempo del famoso Museo era stato asportato quasi tutto a Modena e Vienna, anche con un treno.
Gianluigi Peretti
Bibliografia
Peretti G., Lucrezia degli Obizzi-Il giallo del Seicento, Venezia 1994.
Gloria A., Lucrezia degli Obizzi e il suo secolo, Padova 1853.
(L. Obizzi Orologi), Le lagrime della fama, Padova 1664.
Brunelli Bonetti B., La tragedia di Lucrezia degli Obizzi, Padova 1950
Fotografie
https://www.castellodelcatajo.it/
per gentile concessione dott. Marco Moressa