Novembre 2003: Riesumazione della salma di Francesco Petrarca

Abstract

In occasione delle celebrazioni per il 700° della nascita di Francesco Petrarca, il paese di Arquà, sui Colli Euganei, viene illuminato dai riflettori dei mezzi di comunicazione per un avvenimento importante: la riesumazione delle spoglie del grande Poeta, contenute nell’arca marmorea davanti alla parrocchiale del paese. L’articolista, dopo aver rievocato le movimentate vicende dei resti mortali dell’autore del Canzoniere, descrive le operazioni della squadra dei tecnici impegnati nel recupero dell’illustre salma e riferisce una sorprendente scoperta, emersa dopo le sofisticate analisi scientifiche e gli esami al radiocarbonio.

Arquà (PD): gli ultimi anni di Francesco Petrarca

Ritratto di Francesco Petrarca

Nel 1368, cedendo alle preghiere di Francesco da Carrara, signore di Padova,  Francesco Petrarca si trasferisce nella città del Santo, dove alterna il soggiorno cittadino con quello tranquillo e riposante di Arquà, sui Colli Euganei. Qui, venuto ad abitare in una piccola casa, poi fatta ingrandire, e chiamata a sé la famigliola della figlia Francesca (sposa a Francescuolo da Brossano), chiede alle autorità locali che, al bivio delle strade che giungono da Este e da Monselice, venga costruita una fontana, lamentandosi che l’acqua gli arriva, per la lunghezza della strada, riscaldata dal sole (ricaviamo la notizia da una lettera inviata al medico Giovanni Dondi).
Durante la permanenza ad Arquà, si distrae spesso giocando con la sua gatta, tanto cara alla sua solitudine (oggi imbalsamata e racchiusa in una lapide sulla porta del suo studio) e passeggiando per i campi e le pendici del colle, tra gli alberi di noci e di castagne (Solo e pensoso i più deserti campi / vo’ mesurando a passi tardi e lenti – sonetto 35). Per alcuni anni, attende alla rielaborazione dei Trionfi, un poemetto allegorico in terza rima, sotto forma di visione, ispirato al concetto della lotta dell’uomo con le passioni, alla fugacità delle cose e alla finale vittoria dell’eternità.
Sarà questa la sua ultima fatica letteraria, perché, stanco dei lunghi viaggi e degli studi, già vecchio e scosso nella salute (reca, infatti, i postumi di alcune sincopi), la morte lo coglierà improvvisamente, nel settantesimo anno d’età, all’alba del 19 luglio 1374. Secondo la leggenda, viene trovato morto dai familiari nella sua camera, col capo appoggiato sul libro De viris illustribus (secondo altre versioni, tra le Confessioni di  SantAgostino e l’Eneide di Virgilio).

L’arca e le varie riesumazioni della salma del Poeta

Arquà (Padova), la tomba del Petrarca

Per volontà testamentaria, le sue spoglie vengono tumulate, con solenni onoranze funebri, nella chiesa di Santa Maria Assunta, l’attuale parrocchiale di Arquà; ma qualche anno dopo sono traslate, a cura del genero, in un’arca, cioè in un sarcofago di marmo rosa, posto sul sagrato, che diventerà nei secoli la meta di milioni di turisti.
Le vicende dei resti mortali del poeta, a somiglianza di quelle di Dante Alighieri, furono piuttosto movimentate, come racconta in un suo libro Giovanni Canestrini, in occasione del 500° anniversario della morte del poeta. Scrive testualmente lo storico: “Nel 1630, e precisamente dopo la mezzanotte del 27 maggio, questa tomba fu spezzata all’angolo di mezzodì [cioè al lato sud] e vennero sottratte alcune ossa del braccio destro. Autore del furto fu un certo Tommaso Martinelli, frate da Portogruaro, il quale, a quanto dice un’antica pergamena dell’archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini con l’ordine di portare con sé qualche parte dello scheletro del Petrarca. La Repubblica Veneta fece riattare l’urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo e ponendovi lo stemma di Padova e l’epoca del misfatto”. Non si è mai riusciti a recuperare le ossa del braccio trafugato, né si è mai compreso a quale scopo esattamente siano servite. Quanto al Martinelli, venne processato dalla Serenissima, ma l’imputato addusse a propria discolpa “la conseguenza del vino bevuto e l’esaltazione dell’allegria”.
Il luogo della sepoltura versa per molti anni in pessime condizioni, finché, nel 1843, il conte padovano Pier Carlo Leoni, noto epigrafista, viene incaricato di avviare opportuni interventi di restauro all’avello. Ma, appena iniziate le operazioni d’apertura del sarcofago, il cantiere viene chiuso e posto sotto sequestro dall’autorità giudiziaria, a motivo di alcuni cavilli burocratici e per l’insorgenza di conflitti di competenza, nonché per questioni politiche, mentre il solerte Leoni, denunciato ed inviato a giudizio, dovrà rispondere del reato di “violata sepoltura”. Nel 1855, le autorità decidono di riaprire il sarcofago per farvi riporre una costola che il Leoni aveva voluto donare al Museo Civico.
Nel 1873, l’Università di Padova conduce un’altra ricognizione del corpo del Petrarca, durante la quale alcune ossa dello scheletro vanno in frantumi. E nel 1943, le povere spoglie del poeta vengono nuovamente estratte dal sepolcro e frettolosamente nascoste a Venezia, nei sotterranei di Palazzo Ducale, per salvarle dai disastri del secondo conflitto mondiale: rientreranno ad Arquà nel 1946, a guerra finita. Ma ancora non troveranno pace.

L’inaspettata scoperta dell’ultima ricognizione

Arquà (Padova), la casa del Petrarca

Martedì 18 novembre 2003 è una mite giornata d’autunno. Alle ore 12:30, sul sagrato della chiesa, una gru solleva il pesante coperchio dell’arca. Robusti canapi di funi attorcigliate scricchiolano con colpi secchi sotto il peso di 35 quintali di pietra rosa di Verona: è l’ultima ricognizione scientifica del corpo del poeta, effettuata, questa volta, in previsione delle imminenti celebrazioni dei 700 anni dalla sua nascita.
Ad assistere alla riesumazione ci sono decine di giornalisti, fotografi, operatori tv, ed una folla di curiosi assiepati dietro le transenne. Ma ecco la deludente sorpresa: alzato il coperchio, appare la modesta bara, marcia ed in parte sfondata, la quale contiene uno scheletro esile e longilineo in pessimo stato di conservazione. La squadra dei tecnici impegnata nelle operazioni di recupero è guidata da un docente di anatomia patologica tra i più noti in Europa, il professor Vito Terribile Weil Marin, che dovrà studiare, tra l’altro, le possibili lesioni ossee del bacino, a cominciare dal famoso calcio di cavallo sferrato al poeta mentre era in viaggio verso Roma.
Sono presenti all’estumulazione anche il noto ortopedico Raffaele Scapinelli ed il critico d’arte Vittorio Sgarbi, che commenta: “È un’operazione macabra ed inutile, ma fa parlare più di un convegno internazionale, visto che non sono convinto sulla qualità delle celebrazioni che si stanno preparando per l’anniversario”.
Si recupera il fragile cranio del cadavere, già andato in pezzi nella ricognizione del diciannovesimo secolo. Nella bara si trovano, tra le altre cose, una bottiglia di vetro ed un bussolotto di rame, che contengono i verbali notarili delle precedenti aperture. Si provvede a raccogliere alcuni frammenti di ossa, che verranno mandati in Arizona per la datazione con il Carbonio 14. Appaiono, infine, alcuni brandelli di stoffa: forse una cuffia che il poeta usava nelle fredde giornate invernali (ma subito qualcuno ipotizza che il cranio rinvenuto sia quello di una donna).
Davanti all’arca spalancata, scende un profondo silenzio, perché questi miseri resti sono le spoglie di Francesco Petrarca, l’immortale poeta definito l’ultimo dei grandi spiriti medioevali e il primo dei moderni: un uomo che, considerato nella sua vita esteriore, a ragione ci sembra dovesse possedere tutte le migliori condizioni per potersi dire e sentire veramente felice, ma che, in realtà, trovandosi sempre combattuto tra il mondo ideale e quello reale, fu ben lontano dall’esserlo. Un vate che, nel corso della vita, non ebbe mai pace, se è vero che le sue opere, ed in particolare i suoi sublimi sonetti, sono pieni di sospiri e di lamenti.
Intanto si stabilisce che la gigantesca arca resti aperta per qualche mese, finché non saranno svelati, attraverso sofisticate analisi scientifiche sui pollini e sui resti di animaletti trovati al suo interno, tutti i segreti di questa insigne sepoltura. Non si mancherà, nel frattempo, di ricostruire tridimensionalmente il volto del poeta.
Nel 2004, finalmente, le ossa contenute nell’arca vengono sottoposte all’esame del radiocarbonio, ed effettivamente si scopre che il teschio non appartiene al Petrarca, bensì ad una donna del XIII secolo.

Solo e pensoso

Solo e pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi e lenti,
e gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio uman la rena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’allegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avvampi;

sì ch’io mi credo omai che monti e piagge
e fiumi e selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io con·lui.

Enzo Ramazzina

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