Padre Giuseppe Ungaro, un frate amico di papi e di santi

Abstract

Non è capitato a molti di incontrare nella loro vita un Papa, a qualcuno di certo è capitato di incontrare un santo, magari di quei santi che non sono assurti alla gloria degli altari, ma essere amico di due Papi e averne frequentati personalmente altri tre e aver conosciuto tre santi, oltre ai tre Papi elevati poi alla gloria degli altari, credo non possa essere capitato che a Padre Giuseppe Ungaro. Ma tutta la sua vita mostra aspetti di eccezionalità, basta conoscerne la biografia e gli avvenimenti che l’hanno contraddistinta.

Biografia sommaria (27 maggio 1919 – 22 maggio 2019)

  • 1919 Nasce a Padova da genitori brindisini
  • A 12 anni è studente nel seminario di Camposampiero
  • Nel 1943 è ordinato sacerdote a Roma
  • Guardiano e parroco a Sabaudia dal 1944 al 1947; (sbarco di Anzio 22/01/1944) a 25 anni non ancora compiuti, fresco di laurea e di consacrazione sacerdotale
  • Parroco dei Frari a Venezia dal 1947 al 1955
  • Guardiano e parroco a Sabaudia, 1955-1964
  • Guardiano e parroco a Venezia dal 1964 al 1970
  • A Padova nel Convento del Santo dal 1970 al 2019
  • Assistente provinciale OFS 1972-1982
  • Coordinatore per le Missioni popolari in Italia, 1991-1997
  • 2018 Riceve il Sigillo della Città di Padova dalle mani del Sindaco Giordani
  • 2019 muore a cinque giorni dai suoi cento anni

Padre Giuseppe: un’avventura spirituale durata un secolo

Padre Giuseppe Ungaro
(santantonio.org)

A scorrere la vita di un frate non la si immaginerebbe così piena di sorprese, di imprevisti e di avventure come è stata quella di padre Giuseppe Ungaro. Entrò giovanissimo, nel 1931, a soli 12 anni, nel seminario del convento antoniano di Camposampiero. Completò brillantemente gli studi classici e quelli teologici (cum laude) e nel 1943 venne ordinato sacerdote.

Studiò Presso il Collegio Sant’Attanasio de’ Greci; la sua aspirazione era di andare missionario, prima sua meta doveva essere la Cina, ma gli venne spiegato che non era possibile, quindi pensò agli ortodossi e per questo scelse lo studio delle lingue orientali, ma alla fine svolse le sue missioni a livello nazionale per 21 anni in Italia rivolte al popolo e ai preti, per concluderle alla presenza di vescovi, cardinali e papi (Paolo VI e Giovanni Paolo II); inoltre per ben 32 anni è stato assistente del tenz’ordine francescano.

Parroco a Sabaudia al tempo dello sbarco di Anzio – Primo periodo

La parte avventurosa della sua vita è legata al periodo in cui, giovanissimo parroco a Sabaudia, nel 1944, assistette alle fasi successive allo sbarco di Anzio con le drammatiche conseguenze di questo atto di guerra sulla popolazione civile. Qui il suo racconto si faceva epico e insieme umanissimo: assistette ben 63 figli degli stupri, compiuti soprattutto ad opera delle truppe marocchine ingaggiate dall’esercito americano, e aiutò le molte donne che, oltre al dramma dello sturpo, subivano l’ostracismo degli stessi familiari e talvolta la condanna dei propri uomini: molte famiglie ne furono distrutte.

Fu costretto a girare con la pistola carica perché più volte aveva rischiato rappresaglie da parte di quei fascisti che vedevano venir meno il loro potere e in questo giovane parroco con una fluente barba nera uno strenuo difensore dei più deboli e quindi un possibile avversario, mentre, stranamente, questa sua barba lo metteva al riparo da possibili ritorsioni dei soldati mencenari, specie dei mussulmani, che avevano un sacro rispetto per gli uomini con la barba.

Un episodio rimane impresso nella mia mente: tre uomini avevano deciso di dargli una lezione e si erano avventurati verso la canonica in barca sotto un forte temporale, per prenderlo di sorpresa; Padre Ungaro sapeva delle loro intenzioni e li aspettava in preghiera, ma armato. Non li vide arrivare e il mattino seguente vennero a dirgli che erano annegati. Aveva evidentemente protezioni molto in alto.

Parroco a Sabaudia – Secondo periodo

Tornò a Sabaudia come parroco una decina d’anni dopo (vi rimase in due tempi per ben 14 anni) e fu uno dei promotori della grande bonifica del territorio, dal momento che i tedeschi l’avevano allagato per impedire l’avanzata degli alleati, si prodigò per il ripristino delle chiese, dei centri di ritrovo per i giovani, delle scuole, per chi aveva perduto tutto a causa della guerra, tanto che ricevette dal Comune la Medaglia d’oro e una cinquantina di suoi parrochiani veniva regolarmente a trovarlo ogni anno a Padova in pullman.

Ha tenuto un diario dettagliato di tutta la sua vita, ora conservato presso l’archivio del convento, peccato che le regole conventuali ci impediscano di prenderne visione, se non fra settant’anni, mi è stato detto, troppi per chi l’ha conosciuto. Importantissime anche storicamente sarebbero le testimonianze del periodo di Sabaudia e si capisce la sua reticenza a entrare nei dettagli dal momento che avrebbe dovuto chiamare in causa per situazioni delicatissime, compromissioni con il fascismo e forse per alcuni crimini di guerra persone viventi o familiari di persone defunte e svelare alcune identità gelosamente tenute nascoste.

Quante volte ho tentato di ‘estorcergli’ qualche episodio più specifico relativo a questo periodo, ma la sua risposta è sempre stata la stessa: “Ci sono ancora persone in vita, figli, nipoti, che non sono responsabili di quanto avvenuto e che ne avrebbero un grave trauma se venissero a conoscere certi comportamenti” riferendosi non ai tedeschi, ma ad abitanti di Sabaudia, e intendeva dire: “certi delitti” ma subito cambiava discorso, forse c’erano ricordi che facevano ancora male e fatti difficili perfino da ricordare e figli che si sarebbero chiesti chi fosse o come veramente fosse il loro genitore.

La sua missione continuò a Padova con uno sguardo sul mondo

È stato professore e confessore, infermiere professionale e guida alpina, oltre che guida dei luoghi santi, dove spesso accompagnava i pellegrini, tanto in Terrasanta (ben 34 volte!) quanto nel deserto del Sinai. La sua recente difficoltà nel camminare, che lo costringeva a ricorrere all’aiuto del bastone, diceva, era dovuta all’usura delle cartilagini a causa di ciò. Per 104 volte ha accompagnato gli aiuti umanitari delle N. U. in Bosnia. La sua conoscenza del greco e del latino gli permetteva di aiutare molti ragazzi in difficoltà con la scuola fino in anni recenti.

Aveva un modo particolare di vivere la vita monastica: ogni settimana visitava alcune famiglie, portando conforto e calore umano, accompagnato da beni di prima necessità che raccoglieva nei suoi giri, ormai standardizzati, di questuante, presso ditte e singoli benefatori che rispondevano alle sue richieste con grande generosità.

Dalle ampie tasche, nascoste sotto l’abito conventuale, uscivano le sue meditazioni mattutine, i quadretti con l’immagine della madonna o di sant’Antonio che confezionava con le sue mani e l’immancabile bottiglia di grappa, e nell’aprirla si riservava un buon bicchiere (diciamo mezzo, ma non un bicchierino!).

A volte, nelle visite al cugino Vitale, centenario come lui, si lasciava andare a qualche confidenza come quando raccontava che mons. Capovilla, allora segretario particolare di Giovanni XXIII, gli aveva proposto un ruolo curiale e la consacrazione a vescovo, ma la sua risposta era stata ferma: “Non sono uomo da scrivania”; e aggiungeva, forse non esattamente con queste parole: “Il mio ruolo è la missione”.

Difatti la missione è stata la sua scelta di vita, in Italia, terra secondo lui missionaria quanto le mete lontane, dove aveva sperato di andare fin da giovane, e anche nelle missioni conobbe alcuni Papi davanti ai quali ebbe modo di concludere il suo tour di predicatore: Paolo VI, quando ancora era cardinale di Milano e Giovanni Paolo II a Roma.

Padre Giuseppe riceve il sigillo della città (padovaoggi.org)

L’armadio dei poveri

Si inventò, supportato in questo anche dal comune di Padova e da una schiera di volontari, l’armadio dei poveri nel 1972, tuttora attivo, che riforniva di beni di prima necessità ben sessanta famiglie a settimana, cioè circa 4000 famiglie ogni anno, aiutate e vestite. Vorrei raccontare un piccolo episodio che rende l’idea del personaggio: in una recente riunione dei volontari, per fare periodicamente il punto della situazione e delle necessità, prese dalle ampie tasche un rotolo di banconote (si trattava di molti euro) e disse perentorio: “Comprate scarpe”; scarpe per migliaia di euro da consegnare a chi ne aveva bisogno. Anche per questo Padova gli ha reso omaggio con il Sigillo della città. Si spera che la sua vasta opera non vada dispersa e che non vada dispersa la sua ricca biblioteca.

Amico di papi e di santi

Padre Giuseppe in preghiera nella cappella della Madonna Mora (vocazionefrancescana.org)

Ha conosciuto cinque papi: Pio XII (al tempo degli studi a Roma), Giovanni XXIII (la frequentazione più assidua, talvolta giornaliera quando il Patriarca cenava con lui mentre era parroco ai Frari), Paolo VI (per le missioni, a Milano e a Roma), Giovanni Paolo I (pure a Venezia), Giovanni Paolo II (a Roma e quando venne pellegrino a Padova).

Frequentò anche sei santi: Padre Kolbe, suo primo confessore, Padre Pio, a San Giovanni Rotondo quando era parroco a Sabaudia, Padre Leopoldo, suo confessore dopo il martirio di Padre Kolbe, oltre ai tre papi divenuti santi: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, cui si potrebbe presto aggiungere Giovanni Paolo I, la cui causa è nelle fasi conclusive.

Si può davvero dire che la sua è stata una vita straordinaria, tutta spesa per gli altri, nella preghiera e nelle opere, con una incrollabile fede unita ad una solidissima cultura e a una visione chiara della realtà; qui si potrebbe aprire un altro capitolo con le sue battute su certi personaggi, che non cito per amor di patria, ma che conservo ben impresse nella mente, specie nel periodo in cui cinismo e immoralità sembravano aver permeato la politica nazionale.

Alessandro Cabianca

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