Come in un sogno orientale. Vita e poesia di Vittoria Aganoor

Abstract

Lucia Guidorizzi ci presenta un ritratto inedito della poetessa armeno-padovana Vittoria Aganoor Pompilj, la cui personalità originale e complessa si afferma nel panorama letterario della seconda metà dell’Ottocento e del primo decennio del Novecento, grazie alla sua poesia che travalica gli stilemi convenzionali, aprendosi anche a influssi internazionali e a temi che esulano dal sentimentalismo romantico tradizionale.

La casa natale di Vittoria in Prato della Valle

Il Prato della Valle, a Padova, con la sua onirica circolarità, al cui centro spicca la verde isola Memmia, abbracciata da un anello d’acque e di pietra scandito da bianche statue che celebrano i padovani illustri di epoche passate, evoca una dimensione esotica e bizzarra che fa pensare a un sogno orientale.

Gabriele d’Annunzio la descriveva in questi versi:

“Non alla solitudine scrovegna, | o Padova, in quel bianco april felice | venni cercando l’arte beatrice | di Giotto che gli spiriti disegna; || né la maschia virtù d’Andrea Mantegna, | che la Lupa di bronzo ebbe a nutrice, | mi scosse; né la forza imperatrice | del Condottier che il santo luogo regna. || Ma nel tuo prato molle, ombrato d’olmi | e di marmi, che cinge la riviera | e le rondini rigano di strida, || tutti i pensieri miei furono colmi | d’amore e i sensi miei di primavera, | come in un lembo del giardin d’Armida.“

                                                                                   Gabriele d’Annunzio da “Le città del silenzio”

La casa natale della poetessa padovana di origini armene, Vittoria Aganoor, si affaccia su Prato della Valle, proprio su quel “lembo del giardin d’Armida” celebrato da Gabriele d’Annunzio. Una lapide affissa sulla facciata presso gli attuali civici 42/44 ricorda questa donna, allieva del poeta Giacomo Zanella, i cui versi ora sono per lo più dimenticati. Mi piace immaginarla affacciata alla finestra che osserva le statue e gli alberi dell’ellittica Isola Memmia, fantasticando di un Altrove seducente e lontano, di quell’Oriente di cui il padre Edoardo Aganoor serbava una struggente nostalgia e dove aveva vissuto la famiglia Aganoor, di origini armene antiche e nobilissime.

Così Vittoria Aganoor ricorda nei suoi versi la vecchia casa paterna affacciata su Prato della Valle:

Vecchia casa lontana, | aperta su quel prato | che il fiumicel chiudea come un monile | tremulo, rispecchiante | statue brune dal muscoso plinto; | e di là dal recinto, | di pennuti cantor reggia felice, | le folte, antiche piante, | verdi asili romiti, | per me, già sognatrice, | dispensieri di fascino e d’inviti; || vecchia casa non sai | fra le tue mura, quanto | albergasti fulgor di primavere! | I primi studi, il primo amore, il primo | schianto e il tesoro opimo | delle speranze, vergini immortali, | nemiche d’ogni pianto, | benedette chimere | di bellezza sovrane | che t’ornavan di fiori, e d’astri, e d’ali, | vecchia casa lontana. || Se talor voci o risa | di fanciulli odo in festa, | o d’usignoli canti nella notte; | se d’alberi fragranze, o reca il vento | dolce, velato, lento, | come a quei vespri suono di campana; | l’ore fuggite e rotte | riedono a me, vivace si ridesta | la memoria del mio primo soggiorno, | a te penso, te piango, a te ritorno, | vecchia casa lontana.

                                                                                                     Vittoria Aganoor “Vecchia casa lontana”

Sono versi intensi, ancora intrisi di poetica romantica, ma al tempo stesso vibranti di autentica commozione.

La famiglia dall’India all’Italia

Nel 1835 Abramo, gentiluomo facoltoso e amante della letteratura, era emigrato dall’India in Europa, stabilendosi prima a Parigi, poi a Venezia e infine a Padova.

In questa città, il 26 maggio 1855 era nata Vittoria, ultima di cinque figlie di Edoardo, (figlio di Abramo) e di Giuseppina Pacini, milanese.

La mia curiosità nei confronti di Vittoria Aganoor ha origini remote ed è stata alimentata da una serie di circostanze: la mia nonna paterna, nata nel 1873 si chiamava Vittoria e anni fa, tra le carte di famiglia è emerso un opuscolo, più precisamente un estratto, della rassegna mensile “Tempo Nostro” diretta da Nino Sammartano, pubblicato ad Adria nel gennaio del 1935 (XIII anno, numero 33) dedicato a questa poetessa dimenticata. La ricerca era opera di una nipote di mia nonna, Jole Pietrogrande, che per molti anni fu preside in una scuola di Este.

Leggendolo, è aumentato il mio desiderio di approfondire lo studio di quest’affascinante donna dalla bellezza seria e pensosa, la cui vicenda umana e poetica mi incuriosiva.

Così scrive Jole Pietrogrande a proposito del rapporto di Vittoria Aganoor con la sua casa paterna:

 “La Poetessa amò la vecchia dimora dove trascorse la sua prima infanzia – fiorita quasi come un sogno orientale – scriveva ella stessa – ascoltando, muta, coi grandi occhi, la descrizione nostalgica del padre, venuto dall’Asia fanciullo e che ben ricordava la splendida villa natale, dai colonnati di tempio, dal parco sconfinato e superbo, dove le palme si levavano eccelse sul topazio dei vesperi e gli aquiloni roteano alti nella trasparenza del cielo.”

(da estratto dalla rassegna mensile “Tempo Nostro”, edita in Adria, Rovigo, 1935, pag 3)

Nei ritratti e nelle fotografie che sono rimaste di lei appare come una donna bruna, dallo sguardo intenso e penetrante sotto le fitte ciglia di velluto, sempre velato da un’ombra di malinconia.

La bella bimba dai capelli neri /è là sul prato e parla e gioca al sole./Io so quei giochi e so quelle parole;/rido quel riso e penso quei pensieri./Son io la bimba dai capelli neri./Ed anche io vedo una fanciulla bruna/gli occhi sognanti al ciel notturno fisi./Quante chimere e quanti paradisi
gli occhi suoi! Te li rammenti, o Luna, / gli occhi febèi della fanciulla bruna?/Ora è stanca; la penna ecco depose;/ e la man preme su le ciglia nere./Di quanti sogni e quante primavere/ vide sfiorir le immacolate rose?/Ora è stanca; la penna ecco depose.

                                                                              Vittoria Aganoor “La bella bimba dai capelli neri”

Il suo portamento elegante e la sua spiccata personalità, le sue buone maniere e la sua perfetta educazione facevano di lei un personaggio ricercato nei salotti della buona società, ma Vittoria anelava alla libertà e all’indipendenza lontano dalle frivolezze mondane poiché possedeva in realtà un’indole tormentata e incline alla depressione che le derivava dal padre e che si esprimeva nella sua poesia, malinconica, spesso ossessionata dall’idea della morte e ricca di contrasti.

Vittoria Aganoor trascorre gli anni dell’infanzia e della giovinezza tra Padova e Venezia, città cui era molto legata e teatro della rinascita culturale degli armeni nel XVIII secolo.

Nel 1715 il monaco Mechitar aveva trovato rifugio e ospitalità proprio a Venezia, dove nell’isola di San Lazzaro crea la sede della sua congregazione, ricreandovi un’atmosfera tipicamente armena.

Mechitar fa anche allestire una biblioteca fornitissima che oggi supera i centomila volumi.

Nel 1823 -25 è costruita nell’isola una grande tipografia su due piani che pubblicherà opere di grande importanza culturale.

La famiglia Aganoor frequentava spesso la comunità armena veneziana. In seguito, anche dopo la morte del padre, Vittoria Aganoor intrattiene lunghi rapporti epistolari con i padri mechitaristi di San Lazzaro, mantenendo il profondo rapporto d’amicizia che il genitore Edoardo, religioso ai limiti della nevrastenia, aveva con loro.

Giacomo Zanella, il suo maestro

Il suo maestro e mentore, il poeta Giacomo Zanella la ritrae in questi versi:

“Vittoria, a te, quando cadean le nevi/E tu pensosa al davanzal sedevi/L’Aurora diede un bacio, e l’Oriente/Culla de’ tuoi, t’irradiò la mente./Sogni le palme; il suono odi del Gange/Che de’ pagodi alle scalee si frange;/Sogni il deserto; e dall’ardente clima/Pregna intanto dal cor t’esce la rima.”

Zanella però non sempre la incoraggiava nei suoi esperimenti poetici, anzi spesso la dissuadeva dall’uso dell’endecasillabo, ripetendole di lasciar perdere i versi sciolti che erano un osso duro, per rimanere legata alla più tradizionale rima.

Eppure anche stilisticamente, Vittoria Aganoor amava osare, discostandosi dagli insegnamenti impartiti dal suo maestro e nonostante ne riconoscesse l’indubbia grandezza, a volte gli contestava gli eccessivi arcaismi e classicismi.

Nonostante ciò, in alcuni passaggi della sua poesia “A un colibrì imbalsamato” vi sono delle corrispondenze che ricordano “Sopra una conchiglia fossile” di Giacomo Zanella:

“O piccioletto morto,/fu bene a te funesta/la screziata vesta/di smeraldo e rubino!/Eri troppo giocondo,/eri troppo felice;/e se dà gioie al mondo/le dà brevi il destino./A luminosi monti/sovra l’abisso oscuro/viaggiavi sicuro,/e il cielo azzurro e il flutto/credevi tuo, credevi/eterno quell’immenso/tripudio, e non sapevi / che solo eterno è il lutto.” 

                                                                                            Vittoria Aganoor da “A un colibrì imbalsamato”

 Sul chiuso quaderno/Di vati famosi,/Dal musco materno/Lontana riposi,/Riposi marmorea,/Dell’onde già figlia,/Ritorta conchiglia./Occulta nel fondo/D’un antro marino/Del giovane mondo/Vedesti il mattino;/Vagavi co’ nautili,/Co’ murici a schiera;/E l’uomo non era.”

                                                                                  Giacomo Zanella da “Sopra una conchiglia fossile”

In entrambe le poesie è espresso il senso fatale dello scorrere del tempo che trasforma un essere vivente libero nel suo spazio naturale, in un oggetto morto e polveroso, estrapolato dal suo contesto naturale.

I luoghi di Vittoria: Padova, Basalghelle, Valle di Sella, Napoli, Venezia, Cava de’ Tirreni, Napoli, Perugia

Nel 1876 si trasferisce con la famiglia a Napoli dove rimane fino al 1884, per poi ritornare a vivere nel Veneto, a Basalghelle, in provincia di Treviso.

Durante il periodo napoletano, Vittoria trascorre alcuni periodi estivi nella bellissima Valle Sella in Trentino, immersa in un paesaggio di boschi e radure, tra le ombre vaporose dei monti che ricorda in una poesia dedicata proprio a quei luoghi:

“V’ha una valle beata, /di vette incoronata eccelse e belle,/dal suo cielo le stelle e arcani lampi/mandano ai verdi campi, e ai primi albori/sbocciano fiori ch’an del cielo il riso./E’ un dolce paradiso che a Dio piacque/ d’ombre spargere d’acque e di gioconde/farfalle vagabonde e pace eterna/diresti che governa questa valle./Eppur, per ermo calle e dentro i foschi/sentier dei boschi, talor s’ode il vento/metter come un lamento o ruggir forte/quasi nunzio di morte, e talor anche/ti giungono le stanche ultime strida/d’un augel, che l’infida aquila al petto/vorace si tien stretto, e ad ogni speco/ torna e ritorna un’eco acerba e lunga/ che un giorno fia che giunga ultima al cielo.”

                                  Vittoria Aganoor “Valle di Sella”.

Qui il sentimento luminoso che pervade la prima parte della lirica infondendo un senso di armonia e pienezza è capovolto nella seconda da una visione più cupa e tenebrosa, foriera di sciagura.

A Napoli Vittoria conosce il letterato Enrico Nencioni che la indirizza verso la lettura della poesia moderna e le fa conoscere anche autori stranieri.

Nel 1898 il poeta Domenico Gnoli pubblica una poesia di Vittoria sulla rivista che dirige e tra i due nasce una fitta corrispondenza che culmina col loro incontro a Venezia nell’agosto di quello stesso anno, ma non vi sarà alcun seguito perché la poetessa, profondamente legata alla madre vecchia e malata, non se la sente di abbandonarla per lui.

Solo dopo la morte della madre, avvenuta l’anno seguente, Vittoria comincia a pensare a come poter vivere la propria vita.

Scrive Iole Pietrogrande:

“Ma la grazia divina dell’amore, impersonata nell’intelligente e distinto onorevole Guido Pompilj, finalmente spirò col fremito d’una folata, il baleno dell’uragano, la dolcezza dell’inatteso.

Così il 7 ottobre 1901 il Pompilj, “forte soldato del bene”, cui era affidato il risanamento della plaga del Trasimeno, andava sposo all’Aganoor”

(da estratto dalla rassegna mensile “Tempo Nostro”, edita in Adria, Rovigo, 1935, pag 7)

La sua immagine pubblica, era invidiabile sotto molti punti di vista: Vittoria era nobile, ricca, affermata e apprezzata prima a Padova, a Venezia, a Napoli e infine a Perugia, dove si era trasferita dopo le sue nozze tardive avvenute nel 1901, ma il suo carattere incline alla riflessione la portava a desiderare di vivere un’esistenza più intima e appartata.

La poetica della Aganoor

 La sua poetica è espressione di un’anima assetata di bellezza, impregnata da un forte sentimento paesaggistico, cui si alternano toni cupi e meditazioni funebri, colma di memorie e nostalgie, ma non necessariamente aderente ai canoni di un romanticismo stereotipato.

L’autrice conosceva e amava profondamente i versi di Charles Baudelaire di cui aveva tradotto in italiano la poesia “Réversibilité”, unitamente a quelli di Giacomo Leopardi e Giovanni Pascoli, la sua formazione intellettuale era di ampio respiro.

La sua scrittura si nutriva d’interiorità ed era frutto di studi, ricerche, riflessioni.

La poesia di Vittoria Aganoor sfugge ai parametri convenzionali: pur negli anni in cui ormai era un’autrice affermata, la sua natura schiva e riservata la portava a evitare le letture pubbliche. In tutta la sua vita tenne soltanto un’orazione ufficiale al Collegio Romano nel marzo del 1906, davanti alla Regina Madre Margherita di Savoia.

Per lei la parola scritta aveva una compostezza che la parola pronunciata non era in grado di esprimere.

La poesia di Vittoria Aganoor, mantiene un piglio indipendente e cercando di alleggerirsi dalle pastoie di un’educazione troppo accademica, anela a una sua autenticità. La sua voce vibra forte e autonoma, esprimendo il desiderio amoroso senza reticenze femminili e al tempo stesso è pervasa dal senso tragico della caducità e dell’ineluttabile. Nei suoi versi vi sono echi che ricordano Leopardi (la dimensione lunare e pessimistica, la profonda comunione con la natura e con il paesaggio) e Pascoli (il rapporto assiduo con la morte, con l’oltretomba e col mistero.)

Fortuna e oblio

A quarantacinque anni pubblica la sua prima raccolta poetica “Leggenda eterna” (1905). L’opera ottiene grande successo e attenzione da parte delle riviste dell’epoca e si tengono numerose conferenze dedicate alla sua poesia.

Benedetto Croce definisce questo libro come il canzoniere più bello che sia mai stato pubblicato da una poetessa italiana.

Nel 1908 esce un secondo volume dedicato al marito Guido, “Nuove liriche” edito a Roma da Nuova Antologia che viene giudicato dal Croce più fiacco e meno ispirato.

Nel 1910 la vicenda umana di Vittoria Aganoor si conclude: la poetessa muore il 7 maggio nella clinica romana “Villa Pampersi” in seguito a un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore. L’indomani il marito si toglie la vita con un colpo di pistola, lasciando scritta la sua volontà di essere sepolto insieme all’amatissima consorte nel cimitero di Perugia. Il tragico gesto alimenta l’atmosfera romantica che caratterizza la biografia della poetessa e aureola di mistero le sue liriche, lette e amate dai suoi contemporanei che riconoscono in lei la voce poetica femminile più importante della Belle Epoque. Poi, la memoria di lei si offusca e insieme alle sue poesie, scompare nell’ombra.

“Domani!” Che avverrà domani? Quale/miracolo potrebbe una speranza/risuscitare? Potrà mai la terra/fendersi e scoperchiarsi un’inchiodata/bara, e di nuovo accendersi due spenti/occhi, e una bocca suggellata ancora/aprirsi alle parole? Quelle rigide/mani, potranno mai come una volta/le mie stringere ancora? Ecco, domani/io questo penserò, come oggi ieri/e sempre. Così i giorni, i mesi e gli anni/passeranno e dovrò, placida in volto/attendere ai doveri, ai modi, agli usi/della vita; sorridere ai cortesi/motti, pensare alle mie vesti, e dire/parole… Sono tutte eguali ormai/l’ore per me, solo la notte è forse/più tormentosa. Io penso i riposanti/profondi sonni dell’infanzia, i lunghi/oblìi di quelli abbandonati sonni.

                                                                                                     Vittoria Aganoor “Domani”

A Padova rimane il ricordo di Vittoria Aganoor nel nome di una via dedicata a lei, una piccola laterale di via Sanmichieli e un’altra via le è dedicata ad Arquà Petrarca nella località Sassonegro, dove l’azienda agricola Ca’ Lustra-Zanovello produce un vino rosato che porta il suo nome, l’Aganoor.

Bibliografia

Vittoria Aganoor “Leggenda eterna-Intermezzo-Risveglio e intervento al Collegio Romano” Bertoni editore, Chiugiana (Perugia), 2021
John Butcher “Una leggenda eterna. Vita e poesia di Vittoria Aganoor Pompilj, Casa Editrice Nuova, Bologna, 2007
Jole Pietrogrande ”Vittoria Aganoor Pompilj” estratto dalla rassegna mensile “Tempo Nostro”, edita in Adria, Rovigo, 1935
Flavia Randi, Sirio Luginbühl “Dove si posò l’arca. L’Armenia” ADLE Edizioni, Padova, 2009
Numerose le pubblicazioni delle “Lettere”, la vasta corrispondenza della Aganoor con letterati e amici suoi contemporanei
Un Convegno su Vittoria Aganoor dal titolo “Sotto l’amica luna” si è tenuto a Padova nel 2005 presieduto dalla poetessa Lucia Gaddo Zanovello

Lucia Guidorizzi

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