Il ponte d’Aël in Valle d’Aosta e la gens patavina Avillia

Abstract

Il ponte-acquedotto romano d’Aël presenta un’iscrizione che indicherebbe il costruttore o i costruttori come appartenente/i ad una famiglia aristocratica di Padova, la gens Avillia, una grande famiglia di costruttori padovani al servizio di Roma (che ritroviamo anche scritta come Avilia, sempre che si tratti della stessa gens).

Il ponte d’Aël e il villaggio che ne porta il nome (lovevda.it)

Il ponte con funzione di acquedotto e viceversa

Nelle vicinanze del villaggio Pondel (da: Pont d’Aël), nel comune di Aymavilles, sulla strada che da questo centro porta a Cogne, sull’abisso del Grand Eyvia, sorge un ponte-acquedotto di epoca romana lungo 60,46 metri e largo 2,26 metri. E’ il ponte d’Aël, da cui lo stesso villaggio prende il nome. Si presenta con un unico arco con una campata di 14 metri mentre dal punto più alto al greto del torrente la misura è di 66 metri. E’ una costruzione spettacolare suddivisa in più sezioni, in origine probabilmente tre (attualmente due), la cui funzione principale era quella di fornire d’acqua una regione fertile ma priva di questo elemento essenziale, posta a occidente rispetto alla cittadina di Aosta (Augusta Praetoria), a qualche decina di metri sopra la Dora Baltea. Portava l’acqua che scendeva attraverso una conduttura dal Grand Eyvia, fatta deviare appositamente a circa tre chilometri sopra il ponte d’Aël; era larga un metro e venti. Era stata intagliata come una semigalleria nella viva roccia.

La condotta d’acqua in semigalleria (wikipedia)

Oltre che per l’irrigazione agricola l’acqua serviva anche per il lavaggio dei minerali contenenti ferro e rame che erano estratti nel territorio di Cogne e senz’altro anche per l’estrazione del marmo di cui, come vedremo, probabilmente era titolare il costruttore del ponte in cave situate più a valle. Secondo una interpretazione tradizionale l’acqua scorreva sulla parte superiore del ponte, sopra una pavimentazione di lastre litiche impermeabilizzata con malta idraulica con tecniche molto bene conosciute in epoca romana.

Parte superiore del ponte dove poteva scorrere l’acqua (lovevda.it)

Il camminamento per superare la gola

Sotto questo condotto si trovava un camminamento e quindi la struttura prendeva anche la funzione di ponte per attraversare la profonda valle e continuare la strada per il congiungimento di centri importanti; questo tracciato, che ora è stato pavimentato con un materiale trasparente per lasciare vedere tutta la bellezza e l’ingegnosità della costruzione serviva anche per controllare eventuali perdite dell’acquedotto: infatti le aperture alle pareti erano su due ordini, quelle inferiori, più grandi, per dare luce a chi vi passava, quelle superiori, più piccole, per osservare il soffitto sopra il quale scorreva l’acqua. Studi più approfonditi sui ponti romani fanno ritenere che tutti e due i piani, sia quello superiore a cielo aperto che quello inferiore in galleria fossero pedonabili, mentre l’acqua doveva scorrere in condutture inserite nello spessore dei parapetti, e questo avrebbe permesso di utilizzare ognuno dei due camminamenti in un unico senso di marcia inverso l’uno rispetto all’altro, dando maggiore risalto in tal modo alla sua funzione di ponte e facilitando il trasporto di merci come potevano essere i materiali di cava. Come si diceva, molto ingegnosa si presenta la struttura che non è formata da un corpo unico come si potrebbe dedurre da una prima visione dall’esterno, ma da due grossi muri che salgono dal basso lasciando nel mezzo una intercapedine per tutta l’altezza della costruzione, collegati a distanze prestabilite da muri trasversali che servono a tenere unite le pareti, per dare compattezza all’insieme e dalle pavimentazioni dell’acquedotto e della galleria. Questo espediente serviva per alleggerire da un lato la struttura stessa e quindi gravare meno sulle fondamenta, dall’altro per economizzare sul lavoro, sulle spese e sul materiale, data l’imponenza dell’opera che avrà richiesto un gran numero di manodopera specializzata e una quantità non da poco di pietra e calce.

L’attuale camminamento all’interno della struttura: si vedano i due ordini delle aperture e la struttura  sotto l’attuale pavimento trasparente (lovevda.it)

L’epigrafe con l’indicazione del costruttore

All’esterno della parete nord, proprio sopra la chiave di volta dell’arco compare questa epigrafe romana.

(lovevda.it)
IMP-CAESARE-AUGUSTO- XIII-COS-DESIG
C-AVILLIUS-C-F-CAIMUS-PATAVINUS
PRIVATUM

Il significato della lapide è che nel 3 a.C., mentre era imperatore Cesare Augusto, Caio Avillio Caimo figlio di Caio di Padova fece costruire a proprie spese e ad uso privato: questa almeno la versione più recente della lettura della scritta che non era agevole da interpretare poiché la lapide giaceva in una condizione disastrosa, mentre una precedente lettura staccava la C di Caimus da Aimus individuando così due personaggi quali autori dell’opera: sembrerebbe infatti difficile non riscontrare nella radice di Aymavilles una assonanza, se non un vero e proprio richiamo al nome (o ai nomi) del costruttore, e infatti alcuni ricercatori locali si sono spinti in questa direzione  attraverso una comparazione superficiale ed un’analisi etimologica frettolosa dei nomi, smentiti però da studiosi di ben altro spessore. Inoltre, mentre nei pressi si sono trovate lapidi funerarie di componenti della gens Avillia non si è trovato nulla relativo alla gens Aima.

La gens Avillia (o Avilia) di Padova

Nell’epigrafe Caio Avillio Caimo è detto patavinus, quindi di Padova, almeno come origine; infatti a Padova nella prima età imperiale gli Avilii erano presenti come appartenenti ad una importante famiglia dell’aristocrazia municipale e con  C. Avilius Q.f.  e con C. Avilius Vindex raggiunsero i gradi più alti dell’Amministrazione cittadina. Fin da tempi remoti Padova è stata alleata di Roma e in quanto tale si è adoperata contro i Galli e nella seconda guerra punica. Tra il 49 e il 42 a.C. divenne municipium e sotto Augusto fu una delle città più prospere del mondo romano. In epoca romana si diede un assetto più razionale al tessuto urbano con l’individuazione dei punti nodali in cui furono eretti strutture e monumenti imponenti quali il porto fluviale sul Medoacus, il fiume Brenta che allora bagnava la città, il foro, il teatro, l’Arena, con l’ornamento di statue e di quant’altro potesse servire all’arredo urbano.

Padova al tempo dei Romani (muredipadiva.it)

A Padova gli Avillii sono attestati come produttori di laterizi e con le grandi opere che si stavano erigendo si trovavano in quella città al momento giusto; inoltre come operanti nel settore edile, nella molteplicità dei loro interessi e nella propensione al commercio si espansero verso altri territori dell’Italia Settentrionale, in ogni caso però resta il richiamo all’ascendenza veneta, in particolare alla città di Padova tanto da essere richiamata questa particolarità nella lapide posta sopra l’arcata di un ponte in una realtà così lontana dalla loro patria d’origine che si trovava in posizione quasi centrale della decima regio Venetia et Istria, e cioè la XI regio Transpadana, e per di più ai suoi limiti estremi verso occidente, dove oltretutto si erano insediati i Salassi che a Roma avevano dato parecchi fastidi. Per costruire un ponte così imponente ad uso privato gli Avillii dovevano esercitare un potere non indifferente anche nel territorio dove si trovava il municipio di Augusta Praetoria e avere degli interessi molto forti.

Altra veduta del ponte (Wikipedia)

Forse erano proprietari o gestori del fundus irrigato da quel canale e probabilmente parteciparono alla stessa costruzione di quella città considerato che erano molto attivi nel settore dell’edilizia, particolarmente nella lavorazione della pietra con cui si erigevano importanti edifici privati e pubblici. Molto probabilmente, come abbiamo detto, erano titolari delle cave che si trovavano nella zona di Aymavilles e che hanno fornito materiale litico proprio finalizzato alla realizzazione delle strutture urbane. Tutto questo va preso con beneficio di inventario perché non esistono documenti certi che lo comprovino, ma può essere razionalmente supposto visto quanto considerato più sopra.

Gli Avillii costruttori nelle città romane di Augusta e di Industria

Si aggiunga poi che gli Avilli erano presenti come imprenditori edili anche in altre zone della Gallia Cisalpina, come in Piemonte, nelle valli di Lanzo e dell’Orco. Dove però lasciarono tracce più significative del loro operare è nell’antica città romana di Industria. Sviluppatasi come città santuario nel suo impulso più forte sotto l’imperatore Augusto e poi in un secondo momento durante il regno di Adriano, nella prima fase è nominato C. Avillius L.f. Poll. Gavinius quale flamine perpetuo del Divo Cesare, sacerdote cioè addetto a quel culto e, in quanto tale, patrono del municipio in un periodo molto prossimo al momento in cui Caio Avillio era operante nel municipio di Augusta Praetoria e dintorni, mentre Avilia Amabilis era promotrice di una dedica al dio Iside.

Scavi nella città romana di Industria: sono visibili le fondamenta di un teatro (lovevda.it)

Gli Avillii a Delo, devoti a Iside

Nelle due aree sacre dedicate al culto della dea Iside e di Serapide sono stati rinvenuti manufatti votivi bronzei di pregevole fattura, opera di maestranze locali che in questa produzione si erano specializzate, le cui industrie si  trovavano nei pressi dei templi stessi, e ciò non può non farci riflettere sul fatto che nella valle di Cogne oltre al ferro si estraeva il rame, per la trattazione del quale serviva l’acqua trasportata dal condotto ricavato nella parte superiore del ponte d’Aël e che la cittadina di Industria si trovava nelle vicinanze del Po dove va a confluire la Dora Baltea, percorso molto probabile per un trasporto che partendo dai pressi del municipio di Augusta Praetoria giungeva in questa località; inoltre i camminamenti sopra e dentro il  ponte stesso potevano benissimo servire per il trasporto con asini del materiale. Ma anche in altre località molto più lontane troviamo gli Avilli già prima dell’avvento di Augusto e precisamente a Delo, all’interno della comunità degli Italici dediti al commercio di schiavi, devoti a divinità egizie e un componente della famiglia contribuiva alla costruzione di un teatro all’interno di un luogo di culto; non è detto pertanto che non siano stati proprio i proventi di detti traffici a contribuire alla fortuna della famiglia e a permettere ai vari componenti di potersi esprimere nelle diverse attività in cui hanno esercitato con successo e in territori così diversi, come appunto è avvenuto in Valle d’Aosta. Da notare, infine, che quando tornarono a Roma da Delo questi mercanti si fecero devoti della dea Iside e alcuni di loro, come attestato in una dedica votiva, divennero sacerdoti dediti al suo culto, tra essi ancora una volta un certo C. Avillius C.f. Romilia Ligurius Lucanus: evidentemente il culto alla dea Iside era una costante della famiglia.

Una immagine suggestiva degli scavi a Delo (travel.fanpage.it)

Federico Cabianca

Written by