Belluno sorprende per Padova Sorprende
Sommario
Abstract
“..e sex Cavaler de Tarvis li plui fer
con se duse li nostre Cavaler”.
Sono questi due dei quattro versi residui di un canto di vittoria, forse una più ampia ballata in decasillabi epici, scritta dopo una delle continue guerre e guerricciole tra signorotti e castellani dell’Italia del XII secolo che portavano con sé morte, distruzione e miseria. La sua fama è dovuta al fatto di essere uno dei primi esempi di poesia in volgare, inserita in una cronaca in latino.
Quando e perché nasce il “ritmo bellunese”
Il Vescovo di Belluno, Gherardo de’Taccoli, al comando delle milizie bellunesi e feltrine, stretta alleanza con Aquileia e Padova, espugnò il Castello di Mirabello, distrusse quello di Landreis, quindi attraversò il Piave di notte e assaltò a sorpresa Casteldart (Casteldardo), radendolo al suolo. Siamo alla fine del XII secolo: durante la sua guerra contro Treviso, il vescovo annientò anche la Torre di Praderago e fece dare alle fiamme il castello di Zumelle, prima di tornare a Belluno, con gloria, trascinando con sé dei prigionieri. Quegli eventi accesero la fantasia dei bellunesi e li galvanizzarono. Il ricordo dei castelli in fiamme, ma soprattutto la distruzione di Casteldart, che svettava altissimo, venne eternato in un canto di vittoria, tra i primi che si conoscano in volgare.
Sono queste le notizie storiche che possiamo trovare leggendo le pagine del quarto volume della collana “Studi Medievali”(1), in cui Gerolamo Biscaro, giurista e storico vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, cerca di far luce sugli eventi dell’epoca.
Coloro che si avventurano tra le colline e le montagne del bellunese, possono trovarsi a rimirare castelli ancora ben conservati o scorgere ruderi, a testimonianza di un passato ricco di accadimenti.
Ma procediamo con ordine.
La storia e gli storici
Quei luoghi furono abitati fin dai tempi più antichi: si ritiene che i Romani controllassero da qui il transito lungo la via Claudia Augusta Altinate. E proprio per tale posizione favorevole, nel 535 d. C., gli Ostrogoti costruirono il Castello di Zumelle. Il toponimo dovrebbe derivare da “gemellus”, in quanto la rocca si opponeva a Castelvint, separato da questo da un profondo dirupo.
A seguito di varie contese tra potentati locali o inseriti in eventi di portata più ampia, quelle zone furono spesso teatro di battaglie, in quanto il sistema feudale consentiva alle casate più ambiziose di estendere il proprio dominio in maniera duratura.
Cesana, antico feudo, con un proprio Statuto, fu elevata a Contea proprio in quegli anni, quando, per merito della sua posizione strategica, poteva regolare il traffico di legname diretto a Venezia già prima dell’anno mille. Situata tra le sponde del Piave, in Valbelluna, le zattere dovevano fermarsi, scaricare il materiale per via delle rapide esistenti, e essere ricaricate un centinaio di metri a valle, dopo aver pagato il dazio per il passaggio ai Conti di Cesana. Rimangono, a testimonianza di quel passato illustre, i resti del castello e un affresco dello stemma dei Conti, comparso all’esterno della chiesetta di San Bernardo a seguito dei restauri effettuati.
Ad occuparsi della storia di quei luoghi e del “Ritmo” furono, fra il Cinquecento e il Seicento, due personalità locali, che diedero dello stesso due versioni diverse.
Uno è lo storico Giorgio Piloni, il quale nella sua Historia pubblicata a Venezia nel 1607, stabilisce la data del Ritmo al 1196, per un arco di tempo che inizia il giorno 8 aprile e termina il 12 luglio.
L’altro è Giovanni Maria Barzelloni, notaio bellunese, che attribuisce invece l’epoca dei fatti al 1193, dal 9 aprile fino a data non precisata dello stesso anno, per la distruzione dei Castelli di Mirabello, Landreis, Casteldart e delle Chiuse di Quero, e al 1196 – dal 25 giugno al 2 luglio – per la presa del castello di Zumelle. Questi, infatti, trascrisse la memoria latina, che conteneva i quattro versi in volgare, da una pergamena trovata nel Convento di Vedana, apponendovi la chiosa, datata 4 settembre 1577, con l’“autenticha in membrana”. Essi sono nella parte che riguarda la presa del castello di Mirabello, delle Chiuse di Quero e del Castello di Landreis. Dopo la citazione di Casteldart, segue la descrizione relativa alla conquista e distruzione del Castello di Zumelle.
Vi furono poi altri studiosi che se ne occuparono. Tra questi Carlo Salvioni, Ireneo Sanesi, Arrigo Castellani con il volume “I più antichi testi italiani” (2), 1973 (pp. 209-217) e Mauro Vedana col suo volume “Castello di Zumelle. Dalla leggenda alla storia. Castrum Zumellarum “ (3), in cui segnala l’incongruenza temporale relativa al 1193 o al 1196, ma la ritiene poco significativa rispetto all’importanza del canto, e riporta gli eventi con commenti integrativi che chiariscono ulteriormente la vicenda.
La guerra raccontata da Gerolamo Biscaro: Treviso conquista il bellunese
Al momento, però, seguiamo la ricostruzione che ne diede Gerolamo Biscaro. Potremo così sapere che nel 1146 vi fu una guerra tra i centri maggiori e minori della Marca. A guidare un gruppo vi era Padova, alleata di Treviso, Conegliano e Ceneda, e a guidare l’altro, Vicenza con i veronesi.
La guerra terminò con la pace di Fontaniva, nel 1147, grazie anche alla mediazione del Patriarca di Aquileia e di quasi tutti i vescovi della Marca, oltre a Guecello da Camino in rappresentanza di Gabriele, dello stesso casato. Questi aveva acquisito una posizione ragguardevole anche negli episcopati di Belluno e di Feltre, in seguito al lascito del conte Alberto da Collalto, risalente al suo passaggio prima di partire per la Terrasanta.
Posizione di preminenza consolidatasi quando il figlio convolò a nozze con la contessa Sofia, che ricevette dal vescovo di Feltre l’investitura, assieme a Guecello, di tutto il feudo che era appartenuto a Gerardo di Maltraverso, conte di Vicenza.
Si capisce, da tali elementi, quanti e quali fossero gli intrecci che diedero luogo alle alleanze e alle dispute.
Sulla fine del 1163, al sentore della ribellione di Verona, Vicenza e Padova contro l’Imperatore, i Trevigiani videro la possibilità di sfruttare le difficoltà in cui si sarebbero trovati i Padovani, per sferrare un attacco teso alla conquista dei tre episcopati di Ceneda, Feltre e Belluno.
I vescovi delle tre diocesi, sostenuti dai Padovani, avanzarono le loro querele, e grazie al fatto che incombeva la minaccia di una ripresa delle ostilità da parte dell’imperatore, i rettori di Treviso, nel 1174, dichiararono la piena libertà delle stesse, in modo da riaffermare l’antica alleanza.
Nel 1175 moriva la contessa Sofia, che lasciò in “giudicato per l’anima” la curia di Zumelle al vescovo di Belluno. Guecello da Camino non era però dello stesso parere della contessa, e infatti chiese ed ottenne la reintegrazione dei propri domini.
Trascorso altro tempo, i Trevigiani, dimentichi di quanto pattuito nel 1174, imposero nuovamente il loro dominio con le armi sui tre episcopati. I tentativi di reazione di Feltre, Belluno e Conegliano, in successione, furono repressi con devastazioni e distruzioni. Pure il Patriarca di Aquileia, che intervenne a difesa dei tre vescovadi, subì rappresaglie.
Negli anni erano stati costruiti fortilizi, nuovi sbarramenti, nuovi castelli, per difesa o per procedere a nuove conquiste. Nella contesa tra le parti intervennero, in qualità di arbitri, i consoli di Mantova, i quali stabilirono dei compromessi che liberavano dagli obblighi assunti Conegliano e Ceneda, mentre il castello di Cesana rimaneva a Ezzelino da Onara (da Romano). Tali disposizioni non furono però accettate dai Trevigiani, che si rivolsero all’Imperatore Enrico VI, il quale provvide ad annullare la sentenza, stabilendo che le controversie tra persone e città della giurisdizione imperiale spettavano solo all’Imperatore.
I vescovi di Ceneda, Belluno e Feltre si coalizzano contro Treviso e un poeta ne canta la vittoria
Ecco che ci si avvicina sempre più alle motivazioni alla base del conflitto negli anni che a noi interessano e che diedero vita al Ritmo, come descritto in apertura dell’articolo, cioè quando i militi di Belluno e Feltre, sotto la guida del Vescovo Gherardo, reagirono all’oppressore trevigiano – consapevole di non aver mai conquistato il favore della popolazione – attaccando il “castrum Mirabelli”, da poco eretto, con l’intenzione di distruggere i castelli a dominazione nemica in quelle terre.
È opportuno riportare le due versioni del Ritmo, iniziando con quella del Barzelloni, del 1577, che ebbe il merito della trascrizione della pergamena trovata nel Convento di Vedana, e contenuta all’interno di una memoria latina. Da sottolineare che il carteggio del Convento di Vedana è custodito presso l’Archivio di Stato di Venezia, ma non compare la memoria latina con la quartina in volgare.
Quei versisono nella parte che riguarda la presa del castello di Mirabello, delle Chiuse di Quero e del Castello di Landreis. Dopo la citazione di Casteldart, segue la descrizione relativa alla conquista e distruzione del Castello di Zumelle.
Di Castel dart avi li nostri bona part;
j lo getà tutto intro lo flumo d’Ard
e sex cavaler de Tarvis li plui fer
con se duse li nostre Cavaler.
che può essere resa con
I nostri ebbero buon partito di Casteldardo
e lo gettarono tutto entro il fiume Ardo
e sei cavalieri di Treviso, tra i più fieri
con sé condussero i nostri cavalieri
Mentre la versione del Piloni, che si può trovare a pag 100 della sua “Historia”, è riportata nel volume di Arrigo Castellani “I più antichi testi italiani”(4):
De Casteldart havì li nostri bona part;
j lo zettò tutto intro lo flume d’Art,
e sex cavalier dinTarvis li plù fer
con sé duse i nostri presoner.
Rimane il dubbio se i quattro versi tramandati fino a noi fossero completi o se appartenessero invece a una composizione più lunga. Vi sono a tal proposito differenti ipotesi.
Gli accadimenti legati alla contesa dei castelli tra trevigiani e bellunesi non terminarono qui. L’anno seguente il Castello di Zumelle fu riconquistato, e successivamente ricostruito, mentre il Vescovo Gherardo venne ucciso.
Le dispute durarono ancora per due o tre secoli, finché la Serenissima estese i suoi domini anche su queste terre, assicurandosi in tal modo l’approvvigionamento del legno necessario per la sua flotta, mentre a seguito delle difficoltà economiche derivanti dai nuovi assetti, i Conti di Cesana vendettero la propria nobiltà a carati, fino ad uno soltanto.
Nel 1913, il proprietario della Villa, ora Foscolo, sorta sulle rovine di Casteldart volle apporre una lapide, a perenne memoria, con la riproduzione del ritmo.
Oliva Novello
Note
(1) Collana “Studi Medievali” – Casa Editrice Giovanni Chiantore – successore di Ermanno Loescher – Torino – 1931.
(2) Patron Editore -1973 – Bologna
(3) Belluno, Tip.Sommavilla 2000 – pagine 41-42
(4) Alls pagina 212
Immagini
Castello di Andraz Castello di Lusa Castello di Zumelle
Castello di Zumelle 2 Feltre Castello di Alboino