Pietro Bembo, protagonista del Rinascimento italiano

Abstract

Pietro Bembo (Venezia 1470 – Roma 1547) personaggio fondamentale del rinascimento italiano e grande umanista, nacque a Venezia da famiglia di antica nobiltà ma si formò a Padova dove si è laureò in filosofia e visse con la compagna della vita e i tre figli, nel palazzo di via Altinate ora palazzo Camerini-Gradenigo, Museo della Terza Armata. (1) Bembo può essere definito, parafrasando le sue Prose della volgar lingua, il “padre della volgar lingua” cioè della lingua letteraria che si è andata formando dal trecento in Italia e che Bembo ha teorizzato e codificato.

Pietro Bembo

Tiziano Vecellio, ritratto di Pietro Bembo, 1539, National Gallery of Art Washington (Pubblico dominio, Wikipedia)

Il Bembo apprese il greco a Messina e completò gli studi a Padova e a Ferrara, fu al seguito di Papa Clemente VII Medici a Roma e di Paolo III Piccolomini, che lo creò cardinale, fu amministratore apostolico di Gubbio e poi di Bergamo, fu assiduo frequentatore del salotto della regina Cornaro ad Asolo e fu a lungo ospite degli Este a Ferrara dove coltivava una passione per la duchessa Lucrezia Borgia.
Citiamo un episodio alla corte di Ferrara dove si incontrarono Alfonso d’Este, il duca, Lucrezia Borgia, sua sposa, Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, Ludovico Ariosto e il Bembo:
“Il Duca di Ferrara organizzò una giostra in onore dell’ospite, il Duca di Urbino, il quale mostrò tutta la sua abilità vincendo la gara più importante, la giostra del saracino (a quel tempo i mori cominciavano a mettere paura e si andava preparando lo scontro). La sera una compagnia di giro mise in scena il famosissimo Morgante di un certo Luigi Pulci, trasformato dal poeta di corte, un certo Ludovico Ariosto, in opera buffissima, con saltimbanchi, nani, balli e canti: il divertimento fu grande e, alla fine, Lucrezia, bellissima, di una eleganza sublime, diede inizio alle danze. Chiuse le danze, una voce dolcissima si levò declamando alcuni recentissimi versi di un poeta giunto da poco a Ferrara, ancora sconosciuto ai più, mentre una meravigliosa musica avrebbe di lì a poco invaso le sale della reggia appositamente scritta dal già famosissimo compositore Claudio Monteverdi.

Pietro Bembo. Gli Asolani, 1505. (Wikisource)

Cantai un tempo, e se fu dolce il canto,
questo mi tacerò, ch’altri il sentiva;
or è ben giunto ogni mia festa a riva;
et ogni mio piacer rivolto in pianto.
O fortunato, chi raffrena in tanto
il suo desio, che riposato viva;
di riposo e di pace il mio mi priva:
così va, ch’in altrui pon fede tanto.
Misero, che sperava esser in via
per dar amando assai felice esempio
a mille, che venisser dopo noi.
Or non lo spero; e quanto è grave ed empio
il mio dolor, saprallo il mondo, e voi,
di pietate e d’amor nemica e mia.

L’incontro con Ludovico Ariosto

Tutti erano incantati e più di tutti un omone dalla barba nera, fluente, dallo sguardo intenso, che sembrava sprofondare e perdersi in tanta bellezza e che tutti ossequiavano. Il Duca di Urbino chiese chi fosse quel nobiluomo e chi fosse l’altro, seduto vicino a lui. Gli fu risposto che si trattava di Pietro Bembo, una mente eccezionale, studioso di greco e di latino, poeta e precettore dei figli dei Duchi d’Este e che vicino a lui sedeva il poeta Ludovico, che aveva portato con sé un poema cavalleresco appena terminato e che giungeva dalla Garfagnana, di cui era per conto di Alfonso governatore. Il Duca Della Rovere fu molto incuriosito dal fatto che un uomo d’azione, come doveva essere il governatore della Garfagnana, fosse anche uomo di lettere e chiese che gli venisse presentato. Anche il Duca d’Este era interessato a conoscere il nuovo poema, per cui, lasciate le danze, si trasferirono nella sala degli arazzi e chiesero di poter ascoltare alcuni versi. Il poeta solennemente cominciò:

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si dié vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sí saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sará però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.


Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.

Tutto questo piacque al Duca Francesco, che spesso si vide nelle vesti di Orlando, spesso nelle vesti di Agramante. Lucrezia aveva intrattenuto gli ospiti con danze deliziose, canti, giochi di mimi e mangiafuoco, e li aveva poi congedati insieme al Duca Alfonso.

Rientrati i Duchi, il poeta riprese la lettura del poema:

Nata pochi dì innanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo […].

Il Duca Della Rovere ebbe un sussulto pensando al suo amore rimasto a Urbino, ma guardò con intenzione Lucrezia, che accolse senza scomporsi quello sguardo. Il Duca Alfonso finse di non vedere, mentre gli occhi del Bembo fiammeggiarono di gelosia e l’imbarazzo fu evidente, tanto che il poeta esitò un attimo e tacque”. (2)
Intervenne provvidenzialmente la musica a rasserenare gli animi; del resto: Amor è graziosa e dolce voglia; lo sapeva bene Pietro Bembo che molte dame aveva fatto sognare con i suoi versi.

Bembo storiografo della Serenissima: uno strano avvelenamento.

Laura Lepri, Del denaro o della gloria

Il 26 settembre 1530 Bembo fu nominato storiografo ufficiale della Serenissima. Ma quello che gli era successo a fine luglio gli impediva di godere appieno di questo grande successo, il Bembo era stato colpito da una forte febbre e, in seguito alla assunzione di medicinali che qualcuno a lui molto vicino gli aveva somministrato, le febbri erano aumentate fuori misura e il suo corpo era stato assalito da tremori, convulsioni e dolori fortissimi. Era sembrato un eccesso di medicinali ma fu presto chiaro che si trattava di veleno, qualcuno, forse uno dei familiari, lo voleva morto. L’attenzione del podestà si concentrò su un nipote dello scrittore, come scrive lo stesso Bembo a un amico: “Carlo mio nipote, filgliuol bastardo che fu di M. Bartolomeo mio fratello, il quale m’ho cresciuto dalla culla per figliolo et avealo in casa”. Da queste poche righe si può intendere quanto fosse turbato dalla sola idea di essersi allevato una serpe in seno così carica di rancore al punto da volerlo morto mentre in tutti i modi si era prodigato di istruirlo procurandogli anche dei benefici ecclesiastici per il sostentamento. Di questo episodio poco conosciuto della vita del Bembo scrive Laura Lepri in un recente libro concludendo il racconto in questo modo: “Ora, però, la giustizia del podestà reclamava a Padova Carlo il bastardo che, naturalmente, si guardò bene dal rientrare. In poco tempo, su quel brutto affare di famiglia si preferì calare un silenzio pietoso, ancorché imbarazzato”. (3) Il Bembo stesso volle chiudere quel brutto episodio per non rovinarsi la festa che a Venezia si stava preparando per l’importante incarico. Una donna, la “morosina”, Faustina Morosina della Torre, gli fu compagna e madre di tre figli, ma non la volle sposare per non perdere i privilegi del cardinalato.

Note

1) Vedasi nel sito di “Padova sorprende” l’articolo relativo al Palazzo Camerini–Bembo
2) A. Cabianca, Cinquecento. Papi, duchi, eretici e mariuoli, Gruppo90-Youcanprint, Tricase, Lecce, 2014
3) Laura Lepri, Del denaro o della gloria, Milano, Mondadori, 2012

Alessandro Cabianca

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