Un atto notarile nella Padova del mille e duecento

Abstract

Nell’articolo, che si riferisce a un atto notarile tra un incaricato del vescovo di Padova e il tesoriere di Federico II di Svevia, si fa riferimento al momento storico in cui il giovane re di Sicilia scende a Roma per essere incoronato imperatore. L’atto notarile dà il pretesto all’autore per ripercorrere le burrascose fasi del rapporto tra l’Imperatore e i Papi che si susseguirono nel periodo e per accennare ad alcuni aspetti in cui si distinse questo sovrano come protettore delle arti e appassionato di falconeria.

Caratteristiche del documento

L’atto del Notaio Turpino documenta la consegna di una somma di denaro da parte dell’incaricato del vescovo di Padova Giordano al tesoriere di Federico II di Svevia, quale concorso alle spese del viaggio a Roma da parte dell’imperatore: come si evincerebbe dal testo il vescovo aveva promesso di accompagnarlo (sostenendo parte delle spese) ma poi, forse per l’età avanzata, non se l’era sentita di affrontare il viaggio.

Alcune caratteristiche del documento:

– In fondo a sinistra del documento c’è il signum tabellionis e rappresenta quello che oggi è il sigillo del notaio.

– Il termine “indizione” rappresenta un sistema di datazione medioevale che si aggiunge al calendario allora vigente (quello giuliano).

– Il castello di Spilamberto, dove fu redatto l’atto, nell’omonimo comune in provincia di Modena, è tuttora esistente.

L’ATTO

Atto Notaio Turpino primo ottobre 1220 (traduzione)

Nell’anno del signore mille duecento venti, indizione ottava, nel primo giorno del mese di ottobre, nel distretto modenese, presso il castello di Spilamberto nell’esercito del dominus Federico per grazia di Dio re dei romani, alla presenza di questi testimoni chiamati e convocati per questo specifico motivo e cioè il magister Nicola suddiacono e cappellano dello stesso signore e re, Gualterio al servizio dello stesso magister Nicola, Alberto Grosio e Eginulfo modenesi e Giovannino al sevizio del sig. Guarnerio di seguito citato. Guarnerio, marescalco (maresciallo) del dominus Riccardo tesoriere del sopra scritto re e per incarico dello stesso re fu garante e fiduciario di ricevere per lo steso re cinquanta marchi d’argento dal dominus Enrico canonico padovano che dà e paga per conto del dominus Giordano, per grazia di Dio vescovo di Padova, perché quel dominus re dispensasse il signore vescovo dal viaggio a Roma in quanto in precedenza aveva chiesto allo stesso vescovo di essere accompagnato a Roma. Per questo lo stesso Guarnerio rinunciò ad eccepire che il denaro non era stato contato e fece il patto di non chiedere più detto denaro sotto pena del doppio.

Io Turpino notaio, figlio del fu Gnato notaio del sacro palazzo, di presenza, richiesto, per ordine loro scrissi.

Atto Notaio Turpino (originale in latino)

Anno domini millesimo ducentesimo vigesimo, indicione octava, die primo mensis octobris in districtu mutinensis apud castrum Spilambertis in exercitu domini Federici Dei gratia romanorum regis, presentibus his testis rogatis et ad hoc specialiter convocatis vedelicet magistro nicolao subdiacono domini papae et eiusdem regis capellano,Walterio eiusdem magistri Nicolai serviente, Alberto Gosio et Eginulfo mutinensibus, et Johanino servente infrascripti Guainierii. // Guarnerius marescalcus domini Ricardi camerarii suprascripti regis ex comissione regis eiusdem warentarit et consessus fuit se pro ipso rege accepisse quinquaginta marcos argenti a domino Henrico canonico paduano dante et solvente pro domino Jordano Dei gratia episcopus paduano specialiter propter illud quod idem dominus rex absolvevit eundem dominum episcopum ad itinere romano cum a principio quesivisset ab eodem episcopo quod volebat ut secum pergeret romam . Qua propter ipse Warnerius renunciavit exceptione non numerate pecuniae et fecit pactum de non petendo amplius dictam pecuniam sub pena dupli.

Ego Turpinus quondam Gnati filius sacri palatii notarius interfui et iussu eorum scripsi.

Il documento in esame si trova nell’archivio vescovile di Padova ed è stato gentilmente messo a disposizione dalla prof.ssa Elda Forin Martellozzo durante il Corso di paleografia dell’anno 2019/2020.

Il contesto storico.

Federico II di Svevia (1194-1250), nella data indicata nel documento, ottobre del 1220, si stava recando a Roma per ricevere dal papa la corona imperiale che avrebbe consolidato e legittimato la sua pretesa dinastica al regno di Germania ed a quello di Sicilia, ereditato il primo dal padre, l’imperatore Enrico VI, e il secondo dalla madre, Costanza d’Altavilla, figlia del re Ruggero II.

La rivista Padova Sorprende ha già tratteggiato la sua figura in relazione ai suoi soggiorni a Padova nella continua lotta contro le autonomie comunali, che si protraeva già dai tempi di suo nonno, Federico Barbarossa, lotta nella quale fu aiutato dal suo vicario Ezzelino da Romano, figura che non ha lasciato nei padovani un felice ricordo. Fu inoltre scomunicato da papa Gregorio IX due volte: la prima volta nel 1225 perché non aveva ottemperato alla promessa di organizzare una crociata per venire incontro alle difficoltà del regno cristiano di Gerusalemme e la seconda volta, mentre si trovava a Padova, il 20 marzo 1239, per motivi ben più gravi e pericolosi per il papato concernenti la politica di Federico II a concentrare nelle sue mani il potere imperiale nel nord e sud Italia stringendo così in una morsa lo stato del Papa.

La scomunica teoricamente avrebbe svincolato i feudatari dal giuramento di fedeltà: ma l’imperatore aveva intessuto una serie di rapporti con personaggi sullo stampo di Ezzelino che guardavano ai loro interessi di potere prima che ai giuramenti. Federico II pertanto inizialmente non si preoccupò più di tanto: fra l’altro trovò nel letterato e giurista Pier della Vigna, che probabilmente aveva frequentato le lezioni di diritto nello Studio di Bologna, valide argomentazioni giuridiche contro l’interdetto, tutte incentrate sulla necessità di un potere unitario centrale per prevenire le lotte fratricide fra i vari potentati presenti nella penisola. Le stesse tesi che poi sosterrà Dante.

Il successore di Gregorio IX, Innocenzo IV, cercò dapprima un accordo con l’imperatore, e poi, non trovandolo, indisse nel 1245 un concilio a Lione, sotto la protezione del re di Francia, per ribadire la scomunica e per dichiarare, nel 1245, la decadenza di Federico dal trono imperiale. Anche questa sanzione non venne accettata da tutta la cristianità, preoccupata fra l’altro della avanzata dei mongoli che nello stesso periodo stavano attaccando la Boemia e l’Ungheria e avevano sconfitto i cavalieri dell’Ordine Teutonico a Ligniz (1241) in Polonia. Alle porte si profilava un nemico più pericoloso al quale occorreva contrappore un forte sovrano.

Solo qualche anno dopo, nel dicembre del 1250, Federico II moriva in un paese della Puglia, in quell’Italia meridionale che aveva tanto amato. Tramontava così l’occasione di formare nella penisola un regno unitario ad opera di uno spirito italiano totalmente Italiano. Sì, perché, a dispetto del nome e di quello che pensano gli storici d’oltr’Alpe, Federico II non aveva nulla dello svevo se non la paternità: per il resto, aveva la fantasia innovativa, lo spirito creativo, il gusto della vita, l’abilità politica, l’amore per l’arte, caratteristiche dei latini.

Aveva vissuto fino a 14 anni a Palermo, all’epoca un crogiuolo di nazionalità fra normanni, cristiani di rito latino e greco, saraceni mussulmani ed ebrei, che convivevano pacificamente in un ambiente, all’epoca, molto vivace sotto l’aspetto culturale ed intellettuale. I suoi primi amici erano anche saraceni e da loro ne apprese la lingua.

In politica interna fu un assertore dell’assolutismo monarchico tanto da definirsi “lex animata in terris” formula di incerto latino, che un suo giurista, Roffredo da Benevento spiega assumendo che “l’imperatore fonda il suo diritto sul dono elargitogli dalla grazia celeste”. Affermazione che oggi suona a dir poco blasfema, ma che all’epoca era vista come l’unica giustificazione teorica di un potere centrale da contrapporsi alle lotte fra potentati. L’argomentazione verrà poi sviluppata da Dante con la teoria dei due soli. La formula avrà vita lunga e verrà messa in crisi solo nel 1798.

Da persona pragmatica, Federico II si rese conto che per gestire un potere centrale doveva essere assistito da funzionari preparati nella gestione degli affari, nel contestare le pretese dei feudatari laici o ecclesiastici e nell’amministrare la giustizia. La sua ammirazione era rivolta ai giuristi, che riuscivano a smussare attriti e risolvergli questioni con le parole piuttosto che con la spada, opzione quest’ultima più incerta e costosa. La richiesta al vescovo di Padova di accompagnarlo a Roma va vista forse sotto questo aspetto: Giordano aveva studiato a Bologna, era un giurista navigato, ed avrebbe all’occorrenza smussato qualche difficoltà diplomatica concernente l’incoronazione.

Gli unici giuristi in quel tempo venivano da Bologna per cui nel 1224, all’età di 30 anni, decise di fondare l’Università di Napoli, che porta ancora il suo nome, per coltivare lo studio del diritto che, sono sue parole, “è un modo di servire Dio e piacere al sovrano”. Per favorirne lo sviluppo adottò tutta una serie di misure economiche atte ad agevolare gli studenti ed i professori, assicurando un posto nell’amministrazione dello stato ai laureati più capaci.

Anche questo costoso intervento pubblico testimonia la lungimiranza del giovane sovrano nel programmare il futuro dello stato. L’università di Bologna nel 1088 e quella di Padova nel 1222 sorsero come aggregazione spontanea di studenti e professori, prescindendo da un intervento dell’autorità, anche se per Padova sembra che il vescovo, Giordano, ne abbia in qualche modo agevolato la nascita.

In politica estera, avendo chiaro che la Sicilia fronteggiava il nord Africa, intrattenne buoni rapporti diplomatici con gli arabi, attirandosi le ire dei papi e la fama di ateo.

In campo artistico dette vita a Palermo alla scuola poetica siciliana, la prima espressione letteraria in una lingua volgare dell’Italia, caratterizzata dal tema provenzale dell’amore che verrà poi ripreso dai toscani.

Coltivava inoltre la caccia con il falcone sulla quale scrisse un trattato.

Per questa sua versatilità di iniziative e molteplicità di interessi i contemporanei lo appellarono “stupor mundi”: nel 1998 il regista Paolo Squitieri ha cercato, in un film che porta lo stesso titolo, di rievocare alcuni personaggi della corte, per la verità con scarso successo.

Federico Nulli

Immagini

Atto notaio Turpino
Il documento in esame si trova nell’archivio vescovile di Padova ed è stato gentilmente messo a disposizione dalla prof.ssa Elda Forin Martellozzo durante il Corso di paleografia dell’anno 2019/2020.
Federico II
Ritratto di Federico II

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