BOROTALCO, un segreto lungo una vita di Graziella Canapei

Vicenza sorprende per Padova sorprende

Abstract

A volte un incontro, a volte l’occasione di un premio o di una citazione, a volte il caso, portano alla riscoperta di un libro che nel momento in cui era stato dato alle stampe era sfuggito alla attenzione del lettore curioso. Il tema poi, non molto frequentato dalla narrativa contemporanea, la malinconia, porta ad alcune riflessioni l’autore dell’articolo in parte legate alla capacità del romanzo di coinvolgere, in parte a considerazioni più generali che riguardano sia la letteratura che la realtà.

Il libro

Ho preso in mano questo libro una sera, a letto, e non l’ho più lasciato fino a quando non sono arrivato all’ultima parola dell’ultima pagina. Le pagine si giravano da sole e quando sono finite, la luce del mattino ancora non faceva evaporare la nuvola di malinconia nella quale mi aveva immerso. Di malinconia è fatto l’inchiostro con cui è scritto, ma di malinconia sono intrisi anche gli spazi fra le parole.

Il primo sentimento è stato una sorta di rammarico per non aver incrociato prima questo libro, uscito nel 2019. Il rammarico si lega al fatto che da subito mi sono reso conto trattarsi di un libro, pur se scritto da una autrice del mio stesso paese, dal respiro più ampio, un libro che ha la capacità di interpretare aspetti della vita che travalicano i nostri ristretti confini.

La malinconia di cui è impregnato il libro è senza ombra di dubbio frutto di un effetto letterario, di una costruzione artistica molto ben concepita e congegnata. È relativamente facile descrivere la malinconia dal di fuori, rimanendo ancorati alle proprie solide basi e alle personali certezze. Molto più complicato invece trascinare il lettore in un ambiente che gli è estraneo, costruendogli attorno quello che può sembrare il set di un film. Questo viene ancor più evidenziato dal fatto che l’autrice non “gira” le scene della storia nella terra dove è nata e dove ha sempre vissuto, vale a dire le colline delle Prealpi vicentine, bensì nella lontana pianura veneziana, a ridosso del delta del Po. Un ambiente per lei estraneo, quasi volesse dimostrare con questa scelta che non sta parlando di sé, ma piuttosto mettere in luce una costruzione artificiosa, tuttavia adatta allo scopo letterario concepito con l’ideazione del libro.

Non voglio qui parlare degli scrittori che hanno descritto la malinconia, ma ritengo che poche opere nella storia della letteratura siano riuscite a produrre una malinconia invadente e assoluta. Ne cito una per tutte: Il cielo è rosso di Giuseppe Berto, opera monumentale che non offre spazi di fuga per il lettore che si immerga fra le sue pagine.

Per fare un parallelo, molti sono gli scrittori che hanno descritto la schizofrenia a cominciare da Italo Svevo, passando ancora da Beppe Berto con Il male oscuro, per citare poi Ken Kesey che ha scritto Qualcuno volò sul nido del cuculo e se ne potrebbero citare tanti altri. Ognuno di loro ha descritto magnificamente la schizofrenia, o almeno alcuni suoi aspetti, ma dal di fuori, da un altro piano di osservazione, quasi come il medico che osserva il malato. Fra i tanti autori che ho avuto la fortuna di leggere, solo Vitaliano Trevisan è riuscito a creare opere con le quali immerge il lettore fin dentro la schizofrenia. Per questo lo ritengo unico e di una grandezza assoluta.

Borotalco, un segreto lungo una vita, di Graziella Canapei, si situa nello spazio fra il racconto lungo e il romanzo breve, quasi a segnare un limite oltre il quale diventa pericoloso inoltrarsi. Fino a lì è possibile mantenere un equilibrio, sia pure precario, oltre, non si sa. Certo, uno che se lo trova per caso in mano, può provare a leggerlo come un romanzo da spiaggia o in aereo mentre sorvola l’Atlantico, ma sarebbe come guardare le Dolomiti in fotografia invece che dal vivo, o leggere la Divina Commedia a fumetti.

La caratteristica di questo libro è la fragilità sulla quale si regge tutta l’impalcatura, talmente sfuggente durante tutto il suo dipanarsi che quasi scompare fino poi a rivelarsi solo nel finale, che non risulta determinante in quanto lo si poteva facilmente intuire anche prima. È proprio nella rarefazione della trama e nella mancanza di un finale sensazionale, perché quasi preannunciato, che l’autrice lascia crescere quella nuvola di malinconia, la vera sostanza del libro.

La storia delle due donne protagoniste finisce per fare da sfondo, da cornice; tutte le implicazioni e i sentimenti contrastanti creano una sorta di rumore, una specie di acufene che modula con le sue onde sonore il ritmo della lettura. Abbastanza sfocata rimane la figura del padre di Bruna, mentre il canile sembra il posto perfetto per assorbire i sentimenti della protagonista che deve confrontarsi quotidianamente con la figura di Tina, anch’essa piuttosto stereotipata. Sullo sfondo rimane anche la storia di Clara, le vicissitudini che la conducono nel campo di concentramento e le disavventure che deve affrontare quando ne esce; e poi, sempre presente, la figura dell’amica di Bruna, Milena, che nel libro sembra avere la funzione di tracciare, periodicamente, una linea di contatto con la terraferma, capace di riportare la protagonista sulle cose concrete. In effetti, la protagonista sembra vivere su un altro pianeta dove le figure reali paiono sempre le altre, soprattutto il parroco, che mantiene saldo il senso delle cose anche quando lei sembra sospesa in quel suo mondo dove non riesce a decifrare i particolari e i dettagli che invece sono evidenti. Ed è proprio questa la caratteristica principale della storia. Bruna vive una condizione, forse dipendente anche da ristrettezze economiche che lasciano intravvedere una qualche forma di deprivazione, che non le permette di decifrare neppure segnali chiari delle vicende che la riguardano. È questa sospensione nella quale lei vive l’aspetto peculiare del libro, quello che ne forma la sostanza malinconica.

Non stupisce che il libro abbia vinto, per la sua originalità, il Premio Speciale “Giacomo Massarotto” dell’edizione 2019 del Premio Prunola. Il romanzo è pubblicato da Panda Edizioni di Castelfranco Veneto.

Graziella Canapei è nata a Valdagno (VI) nel 1956. Ha lavorato come bibliotecaria e organizzatrice di eventi culturali. Musicista fin dall’infanzia e amante della scrittura, ha pubblicato i seguenti romanzi:
– Il tempo del sogno (Altromondo editore 2010), Delitto al passo Zovo (Zerounoundici 2011)
– La panchina nascosta (Zerounoundici 2012), Ladakh morte nel monastero (Zerounoundici 2013)
– Nel buio di cima Marana (Zerounoundici 2015)

Con Borotalco (Panda edizioni, 2019) ha vinto il Premio speciale Giacomo Massarotto, nel Concorso Giorgione Prunola.

Gianni Cabianca

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