La morte di Giovanni Battista Belzoni rimane un giallo (forse) irrisolto

Abstract:

Sulla fine prematura del pioniere dell’egittologia, Giovanni Battista Belzoni, (ricorrendo nel 2023 il bicentenario della morte), esistono due versioni, una ufficiale da parte dei suoi ultimi accompagnatori inglesi, e una personale del viaggiatore ed esploratore di vaglia, sempre inglese, Richard Burton, gran ammiratore del padovano, che ha visitato due volte la sua tomba tra la vegetazione incolta, anche biografo del neoarcheologo, che tuttavia se la prende con Padova e i padovani per lo scarso interesse verificato in città nei suoi confronti, concittadini che tra l’altro non gli avevano eretto alcun monumento pubblico (come oggi).

La morte di Giovanni Battista Belzoni rimane un giallo (forse) irrisolto

(Nel bicentenario della morte del pioniere dell’egittologia)

Belzoni vestito in foggia araba

Nella presente relazione non prenderemo spunto dal Belzoni pioniere dell’egittologia e neoarcheologo, ma dall’esploratore nella sua ultima e tragica spedizione in Africa occidentale, dopo aver salutato a maggio 1823 per l’ultima volta prima la consorte Sarah a Fez e aver lasciato il Marocco dopo, non percorribile verso sud dai monti dell’Atlante per gli scontri interni tra le varie tribù. Dal Marocco passa a Gibilterra, dove ottiene, attraverso amici dell’Associazione Africana di Londra, mille talleri per proseguire comunque, se non da nord, da ovest o da sud verso il centro del continente (Africa occidentale). Con un bastimento in viaggio per le Canarie passa per Madeira e da qui a Tenerife, dove trova un peschereccio che doveva percorrere le coste occidentali africane e che sarebbe tornato alle Canarie. Il 25 settembre poteva approdare non lontano da Capo Bianco, e da qui poteva scrivere ai suoi di Padova su quel viaggio ritenuto pericoloso, ma lui si sentiva in forma e comunicava che non avrebbe potuto rivederli per almeno un anno.

Scopo del viaggio era di scoprire le sorgenti e il vero corso del fiume Niger (di cui gli aveva parlato in Egitto lo stesso orientalista Burckardt su una possibile congiunzione con il Nilo), e della allora mitica città sahariana di Timbuctu. A Fez era stato ricevuto due volte dal re, quindi spediva più tardi la sua ultima lettera ai suoi, concludendo: “salutatemi tutti quelli che credete siano amici, degli altri poco mi curo. Salutatemi le zie [cognate] e abbiate cura dell’educazione dei fanciulli per quanto potete; non riponete in capo pensieri tristi poiché non vi è nessun motivo; pensate che Dio mi protesse finora, e che mi proteggerà ancora per l’avvenire”.

Non li avrebbe più rivisti, come la consorte Sarah che lo aveva accompagnato nel paese africano. In effetti era un’impresa molto difficile per la quale erano già deceduti alcuni esploratori, tra cui il famoso e coraggioso inglese Mungo Park. Da Capo Bianco pensa di poter raggiungere Timbuctu, ma la mancanza di una scorta e di una guida lo sconsiglia da questo progetto e attende il passaggio di un veliero diretto alle colonie inglesi della Costa d’Oro e sbarca a Cape Coast Castle. Dopo alcuni giorni il governatore inglese, saputo della sua missione, gli procura un imbarco sul brik Swinger, con il quale raggiunge la costa di quel regno.

Si è ritenuto opportuno rivedere e riproporre gli ultimi giorni e le ultime ore di vita dell’esploratore padovano, per il fatto che il suo decesso rimane tuttora un mistero, un vero giallo irrisolto. E’ sempre stata accettata, infatti, come valida la relazione e la versione dell’armatore Houtson, rimasto alquanto vicino al viaggiatore italiano nei suoi ultimi giorni di vita, versione sostenuta pure dall’ufficiale inglese di marina Fell, collaboratore dello Houtson. Questa versione è rimasta pressoché ufficiale anche quando un altro illustre viaggiatore inglese dell’Ottocento, Richard Burton (tra l’altro scopritore con John Hanning Speke del lago Tanganica), gran ammiratore del Belzoni e autore di una breve ma preziosa biografia del Nostro, l’aveva messa in dubbio in un articolo comparso nel 1865 nel Fraser’s Magazine, e ancor più nella citata biografia, pubblicata nel 1880 nel Cornhill Magazine dopo un soggiorno a Padova.

Belzoni in Egitto era passato indenne, all’arrivo e alla partenza, in mezzo alla peste, aveva sopportato gravi ferite, mal di stomaco, emicranie e mal d’occhi, una rovinosa caduta dal cammello al ritorno dall’esplorazione dell’Oasi di Baharja, ritenuta da lui quella di Giove Ammone, più lontana. Lo stesso Burton, nella sua succinta quanto preziosa biografia, osserva che il viaggiatore padovano, nell’accingersi alla sua ultima fatica, aveva molti fattori a suo favore rispetto all’esperienza egiziana: la sua immensa forza rimasta integra, il fatto di essersi ristabilito dagli strapazzi “con bistecche e birra in Inghilterra, l’aver acquisito l’abitudine al comando sugli indigeni, la conoscenza dell’arabo colloquiale, la generosità degli amici che gli avevano fornito i mezzi per quella spedizione”. E’ anche vero, tuttavia, continua il Burton riferendosi agli esploratori, che “dall’altro lato aveva contro di sé i suoi 45 anni: l’Africa – prosegue il viaggiatore – preferisce sempre uno sposo di età inferiore ai trent’anni”.

Non si vuole in ogni modo metter qui in discussione la buona fede della relazione dello Houtson (e del Fell), che appare in ogni caso persona onesta, diventato subito amico di Belzoni, come del resto gli altri inglesi operanti nel golfo di Guinea. Quello che si vuole far rilevare sono certe omissioni nel racconto che possono far nascere il sospetto di reticenza se non addirittura di coprire certi dubbi del suo autore, che a quello scritto avrebbe conferito il crisma dell’ufficialità sulla fine dell’esploratore, anche per omettere forse proprie o altrui negligenze. Il 30 ottobre 1823 Belzoni arriva dunque con il brik inglese Swinger nella rada di Bobee, nel golfo di Guinea, assieme a un marinaio africano, che l’avrebbe accompagnato fino a Houssa, sua città, nel viaggio per raggiungere anche Timbuctu. Belzoni ha lettere di presentazione dello Houtson, allora assente perché occupato al carico e alla partenza del vascello Francesca Anna.

Nell’attesa fa conoscenza con il territorio rivierasco e fa visita al re di Wahra, alla cui giurisdizione era sottoposta la costa che si doveva attraversare per raggiungere la città di Benin, capitale dell’omonimo regno. Il 22 novembre avviene l’incontro tra l’italiano e l’armatore inglese, che si entusiasma per i progetti della missione. Il 23 partono alla volta del regno del Benin. Il 24 raggiungono Gwato (poi Ughoton), quartiere generale della spedizione, lontana 65 miglia da Bobee. Il 25 Belzoni prepara i bagagli, sta bene, “quantunque – riferisce l’armatore inglese – alquanto indebolito a motivo di un piccolo attacco di bile che aveva provato a Bobee”.

La firma di Belzoni all’interno della piramide di Chefren

Il 26 prendono la via per Benin, distante 45 miglia da Gwato, il viaggio è disturbato da una diarrea. Belzoni giunge la sera stessa sul tardi a Benin, dopo aver viaggiato su un’amaca (o palanchino) trasportata da indigeni. Appena arrivato, lo Houtson lo consiglia di mandar a prendere a Gwato la sua cassetta di medicine e di bere un decotto della corteccia dell’albero di Guava, stimata cura infallibile per il mal di flusso, ma Giovanni preferisce attendere le sue medicine. Nella mattinata del 27 l’italiano sembra star bene. L’inglese si presenta al re del Benin per ottenere il permesso a favore di Belzoni del viaggio attraverso i suoi territori per visitare un amico. Il padovano viene descritto, per non insospettire il sovrano, come un “mulay indiano” che, dopo aver soggiornato in Inghilterra, passava a salutare degli amici di Houssa prima di tornare in patria. Pur diffidente, quel re accordò il permesso e designò pure un accompagnatore, non senza farsi promettere un presente da entrambi a visita compiuta.

La sera stessa il re vuole conoscere Belzoni, “ma egli – riferisce lo Houtson – si trovava troppo indisposto per fargli una visita”. Nella mattina del 28 il flusso manifesta tutti i sintomi di una dissenteria. “Aveva già perduto il suo spirito naturale – prosegue l’armatore – e mi disse che la mano della morte era sopra di lui”. Annotazione strana per un attacco di dissenteria. La sera comunque arrivano le medicine e l’esploratore prende subito olio di castoro e anche del laudano quando l’olio fa effetto. Il 29 viene consigliato di assumere anche del calomelano con oppio e rabarbaro per ottenere un po’ di salivazione, ma lui rifiuta. Continua in questo stato fino alla mattina del 2 dicembre, quando prega l’amico di farlo ritornare a Gwato e di farlo trasportare a bordo di uno dei suoi vascelli ancorati nella baia di Bobee, sperando in un beneficio dall’aria marina. Lo Houtson, pur di malavoglia, acconsente. L’italiano destina quindi i suoi beni in caso di morte (aveva già abbozzato un testamento in Marocco, dividendo i suoi beni in tre parti: per la madre, per Sarah, per il fratello Domenico). Scrive ai Fratelli Briggs di Londra, suoi amministratori e finanziatori, al capitano Fell per la vendita di effetti personali, vorrebbe scrivere a Sarah, ma non ce la fa.

Osserva ancora l’armatore: “In verità, io aveva allora pochissima speranza”. La sera stessa Belzoni ritorna a Gwato, accompagnato da un non meglio precisato signor Smith. Lo Houtson sarebbe a sua volta ripartito per Gwato al ritorno del palanchino. Durante il viaggio il flusso rallenta. All’arrivo l’esploratore italiano sta già meglio e appare di buon spirito, tanto da aver voglia di mangiare del pane e bere poi del the.  Lo Houtson non riporta dove Belzoni fosse ricoverato e presso chi. Questi dorme fino alle quattro della mattina del 3 dicembre, quando, imprevedibilmente, si sveglia con senso di vertigini al capo e freddo agli arti. Non parla più, gli occhi rivelano il delirio. Prende comunque una bibita di orzo e maranta, sempre debolissimo, “soffrendo apparentemente pochissimo dolore – annota ancora l’inglese, ancora però assente (!) – fino ad un quarto prima delle 3 pomeridiane, quando passò agli eterni riposi”.

Anche il capitano Fell, destinatario di una lettera con disposizioni per l’eventuale vendita di alcuni beni del viaggiatore, invia una breve relazione sulla morte dell’italiano ai Fr.lli Briggs, ma puntualizza: “Io fui molto pressato di scrivere la presente…”, ovviamente dallo Houtson. Ci si chiede il perché. Per qual motivo non viene citato quello Smith, pare l’unico testimone europeo delle ultime ore di vita di Belzoni? Colui che mostra pure tanta fretta nel comporne il cadavere, tanto che quando lo Houtson giunge a Gwato dopo pranzo del giorno seguente, trova già tutto pronto per la sepoltura. Fu lo Houtson a predisporre la tomba con un tumulo di terra sotto un grande albero e a recintarla. Furono lette le preghiere per i defunti e dei soldati presenti fecero sparare tre scariche di fucile in onore del personaggio scomparso, mentre il brik Castor, la Provvidenza e l’americano Carlew tirarono vari colpi di cannone “per rispetto alla memoria di quello ch’era stato così di recente il loro ospite”.

L’armatore inglese fece anche predisporre una tavola di legno da un falegname, su cui fece incidere la seguente iscrizione: “Qui giacciono le ceneri di Gio. Belzoni Esq., il quale fu preso da dissenteria il giorno 26 di novembre nella sua via per portarsi ad Houssa e a Timbuctoo, e morì a Gwato il dì 3 dicembre 1823. Li signori che hanno collocato l’iscrizione presente sopra la sepoltura di questo intrepido ed intraprendente viaggiatore sperano che qualunque viaggiatore europeo, che visiti questo luogo, farà sgomberare questa terra, e mettere in riparo la ringhiera che la circonda, se sarà necessario”. Richiesta che non verrà rispettata.

Un particolare della tomba di Seti I, detta anche Tomba Belzoni

A questo punto è utile, anzi doveroso conoscere la versione del Burton, che cerca di chiarire le cause della malattia e di quella fine. Aveva buona conoscenza di quei luoghi (era stato anche console dell’isola Ferdinando Po), e ricorda infatti che l’acqua dei pozzi di Gwato era costantemente inquinata, e che questo fatto poteva aver causato la dissenteria. Riferendosi poi alle relazioni dello Houtson  e del Fell, precisa: “Questa è la versione ufficiale e generalmente accettata sulla morte dell’esploratore. La tradizione locale racconta invece che Belzoni fu trasportato nella dimora di Ogéa, Caboccer (governatore) di Gwato. Costui, descritto come negroide di alta statura, carnagione giallastra e aria misteriosa, morì intorno al 1850. Si dice di lui che abbia avvelenato il viaggiatore con l’intento di depredarlo: e tale accusa è abbastanza plausibile per il fatto che quest’individuo tentò in seguito di giocare lo stesso tiro ad un mercante europeo, tuttavia senza successo. Il capo [religioso] di Gwato, ‘Kusei’ – anche lui, tra parentesi, avvelenatore di chiara fama, noto comunemente come ‘il parroco’, si trattava di un vecchio titolo, ereditario e connesso con la religione locale -, dichiarò in mia presenza che molte delle carte appartenute a Belzoni erano state consegnate da Ogéa al regio Fiador, o ufficiale intermediario, e che alla morte di costui esse erano passate a suo figlio. Qualche foglio sparso è stato visto, a sentire alcuni testimoni europei, nelle mani della gente del posto, sicché si è giunti alla conclusione che in giro ce ne fossero degli altri. Sharpe, agente della Compagnia Horsfall, ora defunto, fece una generosa offerta per questi documenti, ma senza risultato. Uguale sfortuna ha avuto il sottoscritto, pur avendo offerto una balla di stoffa da venti libbre”.

Altro mistero rimane infatti la dispersione del diario di Belzoni. A un certo punto scrive l’armatore inglese: “noi non abbiamo ritenuto necessario esaminare le carte del sig. Belzoni, ma le abbiamo sigillate nel suo scrittoio come le abbiamo trovate”. Poi, quasi scusandosi, aggiunge, rivolgendosi ai Briggs: “Io fui sì conciso nel darvi relazione di ogni circostanza che riguarda l’ultima malattia e morte di questo compìto e stimabile uomo, perché mi trovo nella stessa affliggente situazione degli amici del sig. Belzoni, comprendendo io, credo, colla sua famiglia gli amatori delle scienze e degli studj di tutte le nazioni d’Europa; ed io sento in me stesso che avrei tutto il desiderio di ottenere ogni più minuta informazione”, e prosegue scrivendo che, se avesse avuto tempo, avrebbe volentieri accompagnato l’esploratore “almeno fino ad Houssa. Voi potete da ciò giudicare quanto mi stia a cuore il termine così funesto di un uomo che perdé la vita in mezzo a tante fatiche”.

Possiamo finire dichiarando che quell’inglese era senz’altro un buon diavolo, ma forse con qualche dubbio e qualche rimorso in merito alla fine del povero viaggiatore padovano. Nessun accenno peraltro da parte sua all’ex marinaio negroide di Houssa, a cui Belzoni aveva regalato, come racconta il Fell, la pistola preferita, “il quale – aggiunge il capitano inglese – poi si palesò per un malvagio, essendo stato sorpreso mentre rubava gli effetti del suo padrone”. In questo caso i ladroni sarebbero due, e chi ci vieta di pensare che potessero essere d’accordo? E chi gli somministrò l’ultimo the, sicuramente micidiale? Neanche in questo caso nessun riferimento al misterioso sig. Smith. Ma l’assassino rimane con ogni probabilità lui, Ogéa, il governatore di Gwato, che aveva accolto in casa l’esploratore ammalato ma non moribondo.

Al racconto del Burton si rifà, un po’ confusamente invero, anche la lettera, del 1959, di risposta del console italiano a Lagos, in Nigeria, a una richiesta di chiarimenti di Luigi Gaudenzio, avanzata poco prima della pubblicazione della traduzione completa del Narrative dall’inglese (senza la relazione di Sarah) per mano di Silvio Policardi, a cura dello stesso Gaudenzio, sulla possibile localizzazione della tomba del padovano.

Tutto purtroppo era scomparso, o meglio non era più rintracciabile tra le tante dei numerosi europei. Per cui veniva meno anche l’auspicio formulato dallo stesso Burton nella sua breve biografia del 1880, “cioè di recuperare per la bella città di Padova, che si bea delle reliquie apocrife di Antenore e di Livio, i resti mortali del suo degnissimo figlio Giovanni Battista Belzoni”.

Palazzo della Ragione a Padova, medaglione in marmo raffigurante Belzoni

Fonti principali:

R. Burton, Giovanni Battista Belzoni, Cornhill Magazine, Londra, luglio 1880;
L. Gaudenzio, G.B. Belzoni alla luce di nuovi documenti, Padova, 1936;
E. Scorzon, Giovanni Battista Belzoni nel 150 anniversario della morte, Padova;
(le relazioni ottocentesche dello Houtson e del Fell sulla morte di Belzoni sono senza curatore).

Gian Luigi Peretti

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