Il Traghetto alle mura di Padova

Abstract

Si ritiene comunemente che la nuova reggia realizzata a partire dal 1343 nel cuore della città da Ubertino da Carrara, signore di Padova dal 1338, fosse cinta da mura. Per la verità non è affatto chiaro se le mura, di cui rimane oggi soltanto l’angolo sud ovest, la cingessero davvero tutta, o se invece i palazzi che ne costituivano la parte meridionale offrissero all’esterno delle facciate munite, certo, ma di aspetto “cittadino”. In ogni caso, se mura c’erano, sicuramente non si trattava di strutture possenti quanto quelle che cingevano la città o il castello, e potevano offrire una protezione limitata. Ubertino, o forse uno dei suoi successori, ritenne quindi opportuno realizzare un collegamento fra la reggia e il castello, che permettesse di raggiungerlo velocemente in tutta sicurezza in caso di pericolo. Il collegamento fu realizzato per mezzo di un lungo viadotto, il traghetto, che partiva dalla loggia del palazzo di ponente, si staccava dal muro di cinta all’altezza dell’arco che dà oggi accesso alla sede dell’Accademia Galileiana (aperto a fine Ottocento) e correva perpendicolarmente ad esso verso ovest, su ventotto archi, raggiungendo le mura comunali qualche decina di metri a nord del ponte Tadi, in corrispondenza di una torre della cinta. (da https://www.muradipadova.it/la-reggia-carrarese/il-traghetto-alle-mura)

Il Traghetto, ricostruzione del pittore Primo Modin

Le mura carraresi

C’è chi dice che la cinta carrarese, storicamente è un errore, ché i Carraresi queste mura se le trovarono già pronte e confezionate da chi li precedette nel governo e a loro non restò che costruire tra il 1339 e il 1343 il ben noto traghetto nei pressi del ponte Tadi, dalla reggia di Ubertino alla cinta muraria. Nel 1777 alcuni nobili padovani, abilmente manovrati dal procuratore di San Marco Andrea Memmo, provveditore in Padova, perpetuarono l’ultimo sgarro alla memoria dei nobili carraresi demolendo il traghetto, come riporta la targa marmorea, dettata dal poeta Diego Valeri, e apposta in via Accademia all’entrata dell’attuale sede dell’Accademia Galileiana.

Il Traghetto

La targa in via Accademia

QUI AVEVA INIZIO IL TRAGHETTO SU ARCHI DELLA REGGIA CARRARESE
ALLE PRIME MURA CITTADINE 1343 C. DEMOLITO 1777

 Nella parallela via Frigimelica, già detta vicolo Ambròlo, accanto al civico 10, una più antica lapide (forse di Pietro Selvatico) recita un po’ diversamente:

La targa in via Frigimelica

RUDERI DEL TRAGHETTO ALLA MURA
UBERTINO DA CARRARA COSTRUIVA NEL 1339

 Il traghetto alle mura era una specie di sopraelevata che dalla reggia dei carraresi, palazzo più elegante che forte, più corte che castello, portava le soldatesche a schierarsi sopra le mura e fino al castello della Torlonga a guardia e protezione sia dei nemici esterni che dei rivali interni, senza dover passare per le strade della città.

A Roma l’equivalente che unisce il Vaticano a Castel Sant’Angelo era detto il corridoio.

Il nostro traghetto serviva però anche per usi pacifici, almeno così raccontano i Gatari nella loro cronaca cittadina, tanto che nel 1377 nella festa nuziale di Taddea Gonzaga con il carrarese Francesco Novello, i mercanti di drappi per addobbare la sala grande delle donzelle vennero giù per la via del traghetto.

La parola traghetto ha un suo particolare significato; significa passare da una riva all’altra di un fiume, o di un lago con barca o vascello.

Il tragittare più toscano, traghettar più usuale, traghetar più nostrano, richiamano sempre il pensiero dell’acqua, di una barca e di due rive e di un breve passaggio. È insomma parola d’acqua più che di terra ferma. Per i veneziani è il passare da una sponda all’altra del gran canale: andar pel traghetto dei cani vuol dire andar pel Ponte de Rialto, l’unico ponte del canal grande che divide la città in due parti e in conseguenza l’unica via per cui i cani possono passare il canal grande camminando.

 

La Concariola

Anche i veneziani avevano dunque il loro manufatto in pietra, che chiamavano traghetto, forse in parte ricavato dai massi del padovano Zairo.

A Padova sul posto doveva esistere fin dai tempi antichi un fiumiciattolo o pozzanghera che fu detto la Concariola, di cui ha parlato a lungo la storica dell’arte Cesira Gasparotto nel suo lavoro del 1963 sulla Preistoria e toponomastica patavine in Giovanni Nono. A ricordo di questo preistorico ruscello, i padovani imposero a questa sopraelevata uscita di sicurezza, il nome di “traghetto”.

L’Ambròlo

Dell’esistenza di questo modesto corso d’acqua può esser prova il fatto che nel 1026 il vescovo diocesano Orso aveva costituito il monastero femminile delle canonichesse di San Pietro in “Palatio” (cioè palafitte) nella contrà dove qualche secolo prima abitò il Patriarca di Aquileia, che oggi chiamiamo appunto contrà del Patriarcato. In mezzo alla contrà scorreva un modesto corso d’acqua dove i padovani gettavano i loro modesti “ambri” (gli ami) che finì per dare il nome all’attuale omonimo vicolo Ambròlo. Un bell’esempio della resistenza dei toponimi all’usura del tempo. Le cose scompaiono, ma ne restano i nomi.

Immagini

Nota: fonti bibliografiche: “Parliamo di Padova con Cesira” 2^ ediz., 1981

Immagini: https://www.muradipadova.it/la-reggia-carrarese/il-traghetto-alle-mura

Alessandro Cecchinato

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