L’Orto botanico di Padova

Premessa

Con piacere pubblichiamo quanto ricevuto dalla direzione dell’Orto botanico dell’Università di Padova, uno dei gioielli di questa città.

Abstract

L’Orto botanico dell’Università di Padova fu istituito nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, che allora costituivano la grande maggioranza dei “semplici”, cioè di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura. Proprio per questa ragione i primi orti botanici vennero denominati “giardini dei semplici” ovvero horti simplicium.

In quel tempo era già consolidata la fama dell’Ateneo padovano nello studio delle piante, soprattutto come applicazioni della scienza medica e farmacologica: qui infatti venivano lette e commentate le opere botaniche di Aristotele e di Tefrasto; sempre qui tra gli altri avevano studiato Alberto Magno di Laningen (1193-1280), considerato il più grande cultore della materia dopo Aristotele, e Pietro D’Abano (1253-1316), che aveva tradotto in latino la terapeutica greca di Galeno.

L’Orto botanico

L’Orto botanico dell’Università di Padova è il più antico orto botanico universitario al mondo ad aver conservato la propria collocazione e gran parte delle caratteristiche originarie.

Da sempre luogo di ricerca scientifica, scambio culturale e didattica, dal 1997 l’Orto è inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO con la seguente motivazione:

L’Orto Botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia.

La storia

Fu fondato nel 1545 come Horto medicinale per la coltivazione di piante medicinali a fini scientifici e didattici. La sua istituzione fu infatti fortemente sollecitata da Francesco Bonafede, che allora ricopriva la cattedra di “lettura dei semplici” presso l’Università di Padova, per permettere agli studenti un più facile riconoscimento delle piante medicinali.

La sua struttura circolare con un quadrato inscritto, a sua volta suddiviso in quattro quadrati più piccoli da due viali perpendicolari, richiama quella di un microcosmo, in armonia con le teorie filosofiche dell’epoca, e lo rese punto di riferimento e modello per l’istituzione di altri Orti botanici europei. I quattro “quarti”, detti anche “spalti”, perché originariamente sopraelevati di circa 70 cm rispetto ai viali, sono suddivisi in aiuole (“areole”) disposte in modo da formare eleganti disegni geometrici, diversi uno dall’altro, in cui le piante sono disposte in un catalogo sistematico. Ogni quarto prende il nome dalla pianta che maggiormente lo caratterizza: magnolia (sud-ovest), ginkgo (nord-ovest), tamerice (nord-est) e albizzia (sud-est).

Presto l’Orto divenne un luogo di grande interesse per la rarità dei vegetali in esso contenuti tanto che, già pochi anni dopo la sua fondazione (1552), si rese necessaria la costruzione di un muro di recinzione (da cui derivano le denominazioni di Hortus sphaericus, Hortus cinctus e Hortus conclusus) a difesa delle preziose specie ospitate. Molte specie furono introdotte per la prima volta in Italia attraverso l’Orto botanico di Padova, che beneficiava del ruolo cruciale della Repubblica di Venezia, dei suoi possedimenti e dei suoi scambi commerciali: è il caso, ad esempio, dell’agave e della patata.

Orto antico

Posto nel cuore di Padova tra le due maggiori basiliche della città, Sant’Antonio e Santa Giustina, nel corso dei suoi quasi cinque secoli di storia l’Orto ha visto crescere intorno a sé il nucleo urbano e l’Università che ne sono stati all’origine e che sono divenuti, rispettivamente, un centro primario nell’arte e nell’economia del Nord Italia e uno dei più prestigiosi atenei d’Europa.

I cambiamenti intervenuti nella sua struttura e organizzazione, in parallelo con le variazioni del paesaggio urbano e umano che lo circondava, non ne hanno alterato tuttavia in modo sostanziale il disegno originario.

All’inizio del Settecento furono realizzati i quattro portali monumentali, provvisti di eleganti cancelli in ferro battuto, fu ridotto il dislivello tra i viali e gli “spalti”, e furono inserite fontane in ogni quarto e all’incrocio dei due viali principali. Il muro circolare fu ingentilito da una balaustra con eleganti colonnine in pietra bianca su cui furono collocati vasi e busti di importanti personaggi, rivolti verso il centro dell’Orto.

Statua di Teofrasto

Successivamente furono realizzati l’Arboretum e altre due fontane: quella di Teofrasto, detta così poiché vi fu collocata una statua del filosofo greco del III secolo a.C., considerato il padre della botanica (Porta sud), e quella detta delle Quattro Stagioni (Porta est) per la presenza, oltre a una statua di Salomone firmata dallo scultore Giovanni Bonazza, dei busti marmorei raffiguranti le Quattro Stagioni.

Alla prima metà dell’Ottocento risalgono invece le tre meridiane, le serre in muratura in sostituzione delle “conserve” mobili utilizzate in precedenza, e l’aula ad emiciclo detta “teatro botanico”, ornata dai busti di eminenti studiosi.

Le collezioni dell’Orto antico comprendono piante medicinali, insettivore, velenose, succulente, acquatiche e ornamentali, piante rare del Triveneto, flora dei Colli Euganei, oltre a piante storiche come la “Palma di Goethe”, la più antica dell’Orto (1585), chiamata così da quando il grande poeta tedesco, dopo averla ammirata nel 1786, formulò la sua intuizione evolutiva nel Saggio sulla metamorfosi delle piante pubblicato nel 1790.

Sono inoltre presenti ricostruzioni di particolari ambienti naturali come la roccera alpina e la macchia mediterranea.

Nel 2014 l’Orto botanico ha ampliato il proprio patrimonio botanico inaugurando il Giardino della biodiversità: cinque grandi serre a bassissimo impatto ambientale che accolgono 1300 specie e propongono un viaggio attraverso cinque biomi diversi (arido, temperato, mediterraneo, tropicale e sub-tropicale), in un intreccio di botanica e antropologia.

 Il giardino della biodiversità

Il Giardino della biodiversità presenta due diversi percorsi:

  • Le piante e l’ambiente, costituisce un viaggio attraverso la vegetazione della Terra (America, Africa, Asia Europa temperata, Oceania), che restituisce l’immediata rappresentazione della ricchezza (o povertà) di biodiversità presente in ciascuna fascia climatica e racconta il pianeta non dal punto di vista dell’uomo o a partire dal mondo animale, ma sposta l’attenzione interamente sulle forme di vita vegetali.
  • Le piante e l’uomo, diviso in quattro sezioni, è un’esplorazione della storia della nostra relazione con le piante, da quando abbiamo cominciato a selezionarle per mangiare e per curarci fino alla rivoluzione agricola che, a partire da 11.000 anni fa, ci ha permesso di addomesticarle e di trasformarle per renderle più utili e produttive ai nostri fini. Il nostro benessere e la nostra stessa sopravvivenza dipendono sempre più strettamente dalle piante, la cui biodiversità è indispensabile per la nostra alimentazione e per la nostra salute. Le piante sono inoltre ben presenti anche nel nostro futuro, grazie a ricerche che le porteranno nello spazio, le imiteranno attraverso la robotica e le useranno per produrre bioplastiche riciclabili.

Serre Giardino della biodiversità

Il patrimonio storico

Nel febbraio 2023 l’Orto rinascimentale e il Giardino della biodiversità sono completati da un nuovo nucleo espositivo che presenta una significativa selezione del patrimonio storico dell’Università di Padova, prima destinato principalmente a ricerca e didattica e non visibile al grande pubblico. Tra botanica e medicina, chi visita il Museo può scoprire la storia dell’Orto, delle sue piante e di chi le ha raccolte, in un viaggio attraverso i secoli che inizia dalla sua fondazione, quando vi si coltivavano e studiavano le piante medicinali, e arriva fino al Novecento.

Sono esposti reperti delle collezioni botaniche risalenti prevalentemente all’Ottocento e al primo Novecento, tra cui spicca l’erbario storico – uno straordinario archivio della biodiversità vegetale con circa 800.000 esemplari tra piante, alghe, funghi e licheni essiccati – e che conta anche 16.000 provette con semi di specie alimentari, medicinali e ornamentali, le tavole didattiche ottocentesche, modelli di funghi e sezioni di legni esposti nella sala “A lezione di botanica£. Ad aprire la Galleria degli erbari l’Erbario assoluto, opera di fuse*, che reinterpreta le illustrazioni botaniche e gli erbari storici dell’Orto di Padova alla ricerca dell’essenza della pianta e delle sue metamorfosi.

Lungo il percorso, che si sviluppa su una superficie di 500 metri quadrati ed è curato dalla responsabile scientifica Elena Canadelli, si incontrano anche un esemplare di agnocasto risalente alla fine del Cinquecento e le prime edizioni di volumi che hanno fatto la storia della botanica e della medicina (da Vesalio a Mattioli, da Berengario da Carpi ad Alpini). Dopo quasi 500 anni dalla fondazione, è in Orto botanico anche la Spezieria che il medico Francesco Bonafede avrebbe voluto attiva fin dal 1545: un ambiente in cui immergersi scoprendo in un video la vita quotidiana dello Speziale.

Il percorso racconta la fitta rete di scambi di piante e semi dell’Orto, un importante centro di introduzione e coltivazione di piante medicinali, alimentari e ornamentali da varie parti del mondo: storia che viene raccontata anche con esperienze interattive come quella di Botanica senza frontiere, in cui si incontrano personaggi e luoghi, e quella della Storia illustrata, in cui si ripercorre la storia della medicina e della botanica in 12 tappe che passano anche da Padova.

Negli spazi del Teatro botanico recentemente restaurato si può assistere alla proiezione del film Goethe. La vita delle foglie, scritto e diretto da Denis Brotto, dove si racconta l’ideale ritorno a Padova nel 2023 del grande artista tedesco, interpretato da Giulio Casale.

Grazie al Museo il visitatore può ampliare lo sguardo alla storia della botanica e della medicina e scoprire meglio il dialogo tra le geometrie rinascimentali dell’Orto antico, le serre del Giardino della biodiversità e il ricco patrimonio archivistico e librario conservato al primo piano dell’edificio nella nuova “Biblioteca storica di medicina e botanica Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili”.

Gli alberi storici

Palma di Goethe (1585)

Questa splendida palma appartiene alla specie Chamaerops humilis, relitto mediterraneo della cosiddetta flora italiana del Terziario, l’unica spontanea alle nostre latitudini. La Palma di San Pietro prende il nome dall’omonima isola sarda su cui cresce abbondante, ma è conosciuta anche come Palma Nana, viste le esigue dimensioni che raggiunge in natura. Il nome del genere Chamaerops deriva infatti dal greco khamai (piccolo) e rhops (cespuglio), mentre il nome della specie humilis, indica nuovamente le ridotte dimensioni. Questo esemplare, tuttavia, ha raggiunto la straordinaria altezza di 12 metri e detiene il primato di pianta più antica dell’orto patavino, essendo stata messa a dimora nel 1585. La cosa è ancor più sorprendente se consideriamo il fatto che si tratta di una pianta erbacea, come tutte le altre monocotiledoni. Altezza e longevità eccezionali si spiegano se consideriamo che ha sempre vissuto in serra (se ne sono susseguite almeno cinque nel corso dei secoli).

Così la descriveva Goethe nel 1786, dopo averla ammirata il 27 luglio durante il suo celeberrimo viaggio in Italia: “Le foglie che sorgevano dal suolo erano semplici e fatte a lancia; poi andavano dividendosi sempre più, finché apparivano spartite come le dita di una mano spiegata”. Il fatto che la palma durante il suo ciclo vitale assuma diverse forme sia nel fusto, sia nelle foglie, anticipa il concetto di evoluzione, teorizzato ne L’origine delle specie di Charles Darwin nel 1858. Infatti Goethe nel suo trattato “evoluzionistico”, La metamorfosi delle piante, pubblicato nel 1790, sviluppa un concetto ancora più ampio, attribuendo le modificazioni a un sistema interno, inteso a formare un organismo armonioso, piuttosto che a cause esterne, come sosterrà Darwin, che possono influenzare gli organismi viventi attraverso il meccanismo della selezione naturale.

Platano orientale (1680)

Il grande Platano Orientale dal tronco cavo è stato messo a dimora nel 1680 ed è attualmente la seconda pianta più antica dell’orto. Si tratta di una specie che annovera alberi alti fino a quaranta metri, dal tronco grosso e dalla chioma fitta e molto ombrosa, comuni nella regione mediterranea orientale fino a est dell’Himalaya ma non in Europa settentrionale, a causa del clima troppo rigido.

Il platano orientale dell’Orto botanico è un albero imponente, con la singolare particolarità di possedere un fusto cavo, probabilmente come conseguenza di un fulmine. La pianta continua lo stesso a vegetare, perché normalmente la parte più interna del legno (duramen) non è più funzionante e quindi non più necessaria. Nella parte più esterna si trovano invece i tessuti di conduzione funzionanti, che vengono ritmicamente prodotti ogni anno e che assicurano la sopravvivenza della pianta.

 

Ginkgo biloba (1750)

Messo a dimora nel 1750, l’esemplare che dà il suo nome a uno dei quarti del “cinctus” è uno dei primi Ginkgo biloba giunti in Italia, e ciò avvenne grazie all’Orto botanico di Padova. L’esemplare è di sesso maschile, essendo la specie dioica, ma vi è stato innestato un ramo femminile a scopo di studio.

È un albero antichissimo le cui origini risalgono a 250 milioni di anni fa, nel Permiano, e per questo è considerato un fossile vivente. Appartiene alle Gimnosperme: i semi cioè sono nudi, non sono ricoperti da un frutto, una struttura che deriva dall’ovario; le strutture a forma di albicocca che sono prodotte dagli esemplari femminili non sono frutti, ma semi ricoperti da un involucro carnoso.

La pianta, originaria della Cina, è nota anche come albero di capelvenere o albero dei mille scudi, per il meraviglioso colore dorato che assume la chioma in autunno. Il nome Ginkgo deriva probabilmente da un’erronea trascrizione del botanico tedesco Engelbert Kaempfer del nome giapponese, derivante a sua volta da quello cinese che significava albicocca d’argento. Questo nome è stato attribuito alla specie dal famoso botanico Carlo Linneo nel 1771, che mantenne l’errata trascrizione del nome originale. Il nome della specie (biloba) deriva invece dal latino bis e lobus con riferimento alla divisione in due lobi delle foglie, a forma di ventaglio.

Magnolia grandiflora (1786)

È con tutta probabilità la prima Magnolia giunta in Italia dall’America meridionale, messa a dimora nel 1786.

Le magnolie provengono sia dal continente americano sia da quello asiatico; in Cina era coltivata fin dal VII secolo ed era considerata quale dono degno di un Imperatore.

A differenza della grandiflora, che è sempreverde, esistono molte specie a foglia caduca, come la stellata o la soulangeana, che esibiscono una meravigliosa fioritura primaverile. Dal punto di vista filogenetico, è considerata una tra le angiosperme più antiche del mondo, piuttosto primitiva sotto molti aspetti e giunta fino ai nostri giorni senza avere subito modificazioni considerevoli. Per questo motivo le piante a fiore appartenenti alla Divisione delle Dicotiledoni oggi si chiamano Magnoliate.

La ricerca

Fin dalla sua fondazione, l’Orto Botanico di Padova è stato un luogo preposto non solo alla conservazione e alla catalogazione delle specie vegetali, ma anche e soprattutto alla ricerca scientifica. Nei suoi quasi cinque secoli di attività, esso è stato testimone dell’evoluzione della Botanica da scienza applicata alla Medicina a scienza pura, che si è via via venuta differenziando e articolando nelle numerose discipline specialistiche attuali. Nel corso di questa plurisecolare evoluzione, esso ha sempre conservato un elevato standard di attività scientifica e didattica, adeguando continuamente le collezioni viventi alle mutate esigenze imposte dal progresso delle discipline botaniche.

Orto antico, veduta aerea

All’inizio del terzo millennio, Il Centro di Ateneo “Orto Botanico” continua a promuovere e svolgere una qualificata attività scientifica al passo coi tempi, in accordo con la “Carta di Edimburgo”, approvata dalla comunità dei botanici europei nel 1997. Secondo questo documento gli orti botanici storici, nonostante le loro piccole dimensioni e le peculiari caratteristiche architettoniche, che spesso agiscono come pesanti fattori limitanti, possono e debbono svolgere ancora oggi un ruolo fondamentale, adattando collezioni e programmi di ricerca alle attuali esigenze  scientifiche e didattiche ma anche alle strutture esistenti.

L’Orto Botanico patavino ospita oggi alcune collezioni viventi che rispondono alle attuali esigenze di ricerca e di didattica universitaria, in linea sia con la sua plurisecolare tradizione (esiste sempre un settore dedicato alle piante medicinali, continuamente aggiornato con l’inserimento delle specie di nuova introduzione in terapia, ma che ospita anche alcune piante medicinali del passato), sia con le scelte degli orti botanici moderni (collezioni sistematiche, collezioni di piante spontanee caratteristiche della zona), sia in particolare con le nuove priorità emergenti, come la conservazione della biodiversità. Quest’ultima attività in particolare si esplica con l’istituzione di parchi ed aree protette (conservazione in situ), ma anche con la conservazione del patrimonio genetico delle singole specie (germoplasma) mediante l’istituzione di banche del seme, dove raccogliere e conservare questo materiale, anche al fine di una potenziale ridiffusione nell’ambiente naturale (conservazione ex situ).

Già dal 1985 il Centro di Ateneo “Orto Botanico” ha promosso la conservazione ex situ di piante spontanee rare e minacciate dell’Italia nord orientale Lo sforzo comune degli orti botanici in Europa e nel mondo è quello di conservare il germoplasma dei vegetali in pericolo, assicurando così il mantenimento della biodiversità. Dal 1992 è stata anche istituita una Banca del Germoplasma per la conservazione a bassa temperatura dei semi di queste specie, secondo metodologie condivise a livello internazionale, e dal 2005 l’Orto è membro di RIBeS, la Rete Italiana Banche del Germoplasma per la conservazione ex situ della flora spontanea italiana. Recentemente la conservazione della biodiversità si realizza anche con tecniche di micropropagazione in vitro. Proseguendo la secolare tradizione di relazioni internazionali, l’Orto patavino attua un programma di scambio di semi con numerosi (circa 800) orti botanici e istituzioni accademiche di tutto il mondo, nel rispetto dei principi della Convenzione sulla Biodiversità (Rio de Janeiro, 1992).

Come analoghe istituzioni universitarie italiane e straniere, l’Orto Botanico padovano svolge infine un’intensa attività didattica e divulgativa e si interessa alla conservazione di specie vegetali rare e minacciate.

Attualmente la ricerca scientifica, nei nuovi laboratori, si focalizza su tematiche correlate con la conservazione della biodiversità vegetale, la sostenibilità ambientale, la collocazione tassonomica rivisitata con metodologie innovative, lo sviluppo riproduttivo di alcune specie vegetali significative. L’Orto e i laboratori sono, inoltre, in grado di fornire supporto logistico e scientifico a ricercatrici e ricercatori che desiderino sviluppare ulteriori tematiche in ambito vegetale.

L’orto in cifre

1545  Il Senato di Venezia approva la fondazione dell’Orto botanico dell’Università di Padova

1997  l’Orto botanico di Padova diventa Patrimonio UNESCO

3,5  ettari superficie complessiva

3.500  specie

6.000  esemplari

Oltre 200.000  visitatori l’anno

Oltre 100 eventi l’anno

Oltre 1600 visite guidate l’anno

10 diversi laboratori didattici (4-17 anni)

 

 

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