Recensione di Enrico Grandesso al romanzo “Uc de Saint Circ. Un trovatore alla corte degli Ezzelini” (CLEUP)

Abstract

Lo scrittore e critico letterario Enrico Grandesso mette a fuoco alcune caratteristiche di questo romanzo di Alessandro Cabianca che racconta di un trovatore provenzale che ha vissuto per quasi quarant’anni alla corte di Alberico da Romano a Treviso, dopo la drammatica fuga dalla Provenza per la guerra contro l’eresia catara, e risulta essere stato un ponte tra cultura e poesia provenzale e Scuola poetica siciliana, all’origine della poesia italiana.

Il Romanzo

   La biografia romanzata è un genere… un po’ speciale: si discosta sia dalla biografia d’invenzione, che mette a fuoco i personaggi letterari di note opere narrative (pensiamo a “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello e a “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo) sia dalle biografie rigorosamente redatte su base storica, che hanno per protagonisti politici, avventurieri, economisti, artisti, e altri. Una biografia romanzata ben scritta sa unire i temi maggiori della vita del personaggio trattato e delle vicende storiche dei suoi anni, porgendo anche il contesto culturale in cui situarne il ruolo e le opere. E’ quanto compie egregiamente il recente volume di Alessandro Cabianca Uc de Saint Circ. Un trovatore alla corte degli Ezzelini (pag. 240, Cleup) presentato lo scorso 7 luglio nella Sala del Romanino ai Musei Civici agli Eremitani.

   Il volume scorre, in punta di penna, le vicende di uno dei maggiori troubadours provenzali, Uc de Saint Circ (Tegra, 1190 ca. – Treviso? 1261ca.) che fu costretto nella sua giovinezza a vagabondare attraverso la Provenza sconvolta da guerre intestine, a causa delle truculente vicende delle lotte tra crociati e albigesi. I primi due capitoli del romanzo di Cabianca scandiscono proprio la realtà straziante della guerra e dell’intolleranza religiosa del tempo.

   Alla ricerca costante di protezione, il poeta lavorò in corti e monasteri, anche come copista e bibliotecario, sempre in compagnia della sua inseparabile viella; e nel suo angoscioso vagabondare senza sosta, incontrò altri celebri trovatori come Bertrand de Born, Arnaut Daniel e Savaric de Mauleon. Il tema maggiore della sua poesia fu l’amore, cantato con delicatezza e attraverso un senhal, per coprire le proprie tracce nella dichiarazione alla donna amata. Come nei versi composti per la nobildona Clara d’Anduza: “Donna, se siete adirata contro di me / non mi difendo né mi nascondo né fuggo, / poiché da che vi ho conosciuta / non volli trovare guida o guarigione, / se non da voi: poiché mi siete tanto graziosa / che senza di voi non voglio che Dio / mi aiuti o mi dia gioia e salute”. Come altri troubadours, Uc contrappose la sublimità dell’Amore alle sue sofferenze, esaltando comunque e sempre, nei suoi versi, il dono dell’esperienza amorosa.

   Quando dopo innumerevoli peripezie arrivò in Italia, egli viaggiò nuovamente di corte in corte fino ad approdare nel 1221 a Treviso, dove si stabilì sotto la protezione di Alberico da Romano, fratello di Ezzelino III ed egli stesso poeta. Lì visse per oltre trent’anni e raccolse in un Canzoniere le poesie dei trovatori, le loro vite (vidas) e le annotazioni sui motivi e le ragioni del loro cantare (razos). La sua fama si estese a tal punto che dei funzionari della Magna Curia di Federico II gli si rivolsero per commissionargli un glossario e un rimario della lingua provenzale. Uc accettò, svolgendo così il ruolo fondamentale di ponte tra la poesia provenzale e la nascente Scuola Siciliana, che sarà all’origine della poesia in volgare italiano e che ispirerà il Dolce Stil Novo.

   I trovatori lasciarono un segno profondo in tutto il XIII secolo: Dante porrà nella Commedia, tra altri, Bertrand de Born (Inferno, XXVIII), Arnaut Daniel (Purgatorio, XXVI), e l’italiano Sordello da Goito (Purgatorio, VI). Ma la loro influenza, e l’eco delle loro vite avventurose, si estenderà anche agli ultimi due secoli: pensiamo al Sordello del vittoriano Robert Browning o alle molte poesie di Ezra Pound ispirate da loro e dallo spirito provenzale: come questi versi tratti da Personae del 1909: “La mia anima mandò una donna, donna di un mondo meraviglioso / come un incendio sopra le pinete / che gridava: “Un canto, un canto”. Senza dimenticare, last but not least, l’influsso sul laboratorio poetico del nostro Cesare Ruffato.

Enrico Grandesso

 

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