Angelo Urbani un artista contemporaneo

Abstract

Ritratto di un artista appartato, fedele solo a se stesso e alle sue origini, ma aperto alle correnti dell’arte contemporanea

Angelo Urbani

Conosco da molto tempo Angelo Urbani, un artista per certi aspetti autodidatta ma che ad un certo momento, dopo avere conseguito i diplomi  accademici con un impegno personale non indifferente si è inserito con autorevolezza nell’ambiente artistico vicentino tanto da divenirne protagonista, insieme ad altri artisti di una generazione che negli anni Settanta del secolo scorso ha saputo dare uno scossone al mondo dell’arte a Vicenza mediante un approccio innovativo che si rifaceva ai movimenti  più in vista che in quegli anni si agitavano in campo nazionale e internazionale, con una visione nuova della realtà ed un modo nuovo di approcciarla, ed anche di porsi nei confronti di chi intendeva usufruire delle loro opere. Pur in questo fermento e nelle diverse dimensioni in cui si è trovato a muoversi e in cui si è espresso Angelo Urbani ha saputo mantenere un non comune senso di rigore rimanendo fedele ai principi di fondo a cui la sua stessa esistenza era ed è improntata.  È seguendo questa lettura del suo impegno e della sua produzione che il critico Giuliano Menato l’ha inserito nel libro uscito lo scorso anno per l’edizione Mediafactory “Momenti d’arte a Vicenza 1950 – 2010”, libro che presenta i più autorevoli artisti vicentini del periodo con un profilo per ognuno di loro volto a metterne in mostra le più salienti caratteristiche.

Il percorso artistico

 Lungo e complesso è il percorso artistico che Angelo Urbani ha seguito sempre con forte coinvolgimento emotivo e con grande intelligenza espressiva. Dopo l’attenzione per la natura il suo interesse si è rivolto all’uomo, con ritratti in cui della persona che ritraeva cercava di scavare nel profondo per carpirne i moti più intimi. Passò quindi a stendere il suo autografo ripetuto all’infinito su tele bianche perché in esso vedeva rispecchiata la sua personalità, che non è sempre liscia, morbida, ma nell’essenza ruvida, spigolosa, piena di punte aguzze che però lui sa come gestire. Un capitolo importante è stato il suo soffermarsi sulla forma e sul colore che egli elaborava attraverso la realizzazione di sfere perfette, di figure geometriche che si staccavano dallo sfondo con una tonalità appena diversa. Di rilievo è il periodo della ricerca del ritmo perché sarà una costante che lo accompagnerà sempre, anche quando il suo interesse sembrerà andare in altre direzioni. E allora sulla tela comparivano un universo di segnetti tutti uguali, stesi in varie direzioni ma sempre armonicamente in relazione tra loro, e i colori stessi richiamavano un ritmo: miriadi di puntini che coprivano lo spazio, e questa esigenza di ritmo, a ben pensarci, era già presente nella stesura dell’autografo. Anche nelle silhouette di bimbe che si tengono per mano in una teoria quasi di ombre e nei fogli ritagliati a cristallo ripetuti ad libitum e assimilati da una tradizione ancestrale il ritmo era presente, come pure nelle impronte formate esercitando una pressione su ceramica o su un piano che riceve una traccia dal passaggio di qualche cosa che rotola, come ad esempio dei copertoni: tutto questo crea dei ritmi perché il segno nel riprodursi rimane invariato. Ma qui comincia a trasparire anche un’altra componente, comincia a farsi notare maggiormente la componente umana: già le silhouette di cui sopra, anche se piatte e pressoché senza spessore, quasi delle ombre si diceva, erano un richiamo alla figura umana; le tracce di pneumatici inducono a pensare a chi ha utilizzato quei copertoni, e via di seguito. Si arriva così al suo interesse per le forme vegetali, all’impiego di piante, radici, ramificazioni e quant’altro che nell’immaginazione di Angelo costituivano un richiamo forte alla forma umana nelle sue diverse posizioni, soprattutto alla posa dell’uomo orante, con le braccia tese verso l’alto in una magica tensione al cielo. A volte queste figure sono disposte una accanto all’altra, talvolta in un cerchio per dare la sensazione di una sola umanità dove ogni componente esiste se anche gli altri esistono perché solo nell’insieme acquistano valore anche singolarmente, e quindi non sono tutte uguali, come era invece nelle silhouette. Qui comincia a farsi notare ancora un’altra componente: si va verso un’arte che ha bisogno di essere compresa, esprime dei concetti che non sempre è facile cogliere a un primo approccio, anzi a volte ha bisogno che l’autore esprima esplicitamente il suo mondo, quello che si muove nella sua mente, è un’arte che possiamo definire concettuale e verso questa forma di espressione artistica Angelo si volge con sempre maggiore convinzione, come avviene con la sua immagine allo specchio o il pupazzo, sempre allo specchio, che dall’immagine riflessa ti osserva. Anche il concetto di orante attribuito al tronco con due rami protesi verso l’alto è qualche cosa che solo il pensiero può produrre.

A fondamento di ogni opera d’arte c’è sempre il pensiero: questo devono essersi detti artisti come Angelo Urbani che non riuscivano più a riconoscersi in una forma espressiva che ritenevano senza più prospettive: perché allora non fare proprio del pensiero il nucleo, il contenuto stesso dell’arte? Se l’opera d’arte è l’epifane del pensiero, perché non dovrebbe essere il pensiero epifane di se stesso? In questa visione l’opera d’arte non è l’oggetto in sé ma l’idea che la esprime. Esso, l’oggetto, non è nemmeno un simbolo perché il simbolo ha in sé anche una valenza propria, se vogliamo è un simbolo che per effetto della forza del pensiero perde totalmente la sua valenza oggettuale, entra quindi in una dimensione diversa, la dimensione che gli accorda l’artista, diviene il concetto che egli vuole comunicare. Questo è il capolinea dell’arte. In un certo senso, per chi entra in questa lunghezza d’onda, siamo alla fine del percorso dell’arte occidentale: l’arte era l’opera, il dipinto, la scultura, ecc. elaborati da un soggetto che agisce su di essi, qui no, è il pensiero stesso dell’artista che si serve dell’oggetto per comunicarlo per cui più che un simbolo è un segno, il segno che gli permette di farlo. Ed è un concetto potente che egli non riesce a trattenere, ha bisogno di esternare, di oggettivare e lo strumento di cui si serve per farlo è un oggetto che presenta certe caratteristiche che egli reputa adatte allo scopo. Questa è l’arte concettuale nella forma più radicale, ed è questo l’approdo cui attualmente è giunto il percorso artistico di Angelo Urbani.

Queste astrazioni e concettualizzazioni sono per Angelo Urbani operazioni fortemente ancorate alla natura, al punto che egli opera molto di frequente con i sassi, scalfendone appena la struttura, con gli stecchi, minimi prodotti della natura, che possono di volta in volta essere interpretati come figure umane, in un processo tra mentale e reale che molto richiama (si parva licet…) l’uso di materiale naturale (rami, stecchi, sassi) che si ritrova nell’opera “I cerchi del tempo” di Alan Sonfist, realizzata nel 1987 alla Fattoria di Celle di Giuliano Gori a Santomato (Pistoia), riconosciuta come un sito Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco dove l’artista ricrea l’evoluzione del paesaggio, nello specifico quello toscano, dalla nascita al contemporaneo.

Federico Cabianca

 

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