Sommario
Abstract
Il letterato e critico letterario padovano Giuseppe Billanovich non credeva all’esistenza della Laura petrarchesca, la riteneva un pretesto, un alibi, per le evoluzioni poetiche amorose (ma non solo) del grande toscano per privilegiare la forma letteraria sulla scia dell’amor cortese. Il Ruzante lo reputava padovano acquisito per aver scelto di morire nel più gradevole territorio del mondo. I Carraresi se lo contendevano con altre corti. Giovanni Papini, scrittore e critico letterario fiorentino, cercò di liquidare il famoso “dissidio” del poeta con la speciale sensibilità di questi, che comprende ogni esperienza della sua vita, dalla più terrestre alla più sublime. Si riportano passi sull’argomento presi da Ritratti italiani 1904-1931 (Firenze, Vallecchi).
La Laura nelle Rime del Petrarca
“Dico che nelle Rime non c’è soltanto l’amore quale s’intende di solito e non soltanto l’amore per la donna e non solamente per la donna che il poeta chiama Laura. E se uno si libera, una buona volta, dal Laurocentrismo dei petrarcologi s’accorgerà che molte volte Laura è solo un pretesto e ornamento, e che la mossa lirica ha origine sue proprie e un contenuto indipendente.
Se il Canzoniere dev’essere a ogni costo definito come libro d’amore bisogna aggiunger subito che non v’è soltanto, e assai meno che non appaia a prima vista, l’amore per la donna, platonico o sensuale che sia. Ci sono, e ben visibili, tutti gli amori ch’erano nel Petrarca e sono in ogni anima alta: amor della gloria, amor della natura, amor della patria, amore d’Iddio. E c’è anche, senza bisogno di lanternini, l’affetto per gli amici, la devozione all’arte, lo sdegno sarcastico e feroce contro il male, la speranza virgiliana, gioachimita e dantesca d’una palingenesi del mondo terrestre. Se il Canzoniere è, come altri ha detto, un diario lirico, un’autobiografia spirituale in versi, bisogna riconoscere che non vi campeggia Laura soltanto ma che v’è tutto il Petrarca, con tutte le sue passioni ed aspirazioni di cittadino e d’artista, di sognatore e d’erudito, d’amico e di cristiano. E si potrebbe sostenere, senza paura d’incappare nel paradosso, che il Canzoniere, per la sua stessa contenenza, intenzione e tessitura, non è solamente il poema di Eros e di Venere ma un poema morale – nel senso di civile e di mistico – a cui, come quello di Dante, han posto mano cielo e terra.
Ma non bisogna distrugger d’un tratto le calde leggende antiche e contristare gli animi gentili e i cuori teneri. Togliere a Messer Francesco il nome di poeta amoroso parrebbe, a molti, lo stesso che ricacciarlo nel nulla”.
Quale amore nel Canzoniere
“Vediamo, dunque, quale specie d’amore vi sia nel Canzoniere. È un amore, bisogna dirlo subito, tutto differente da quello che noi conosciamo e che fu praticato in ogni tempo. L’amore, prima di tutto, implica corrispondenza e ricambio – e qui manca totalmente. Implica godimento e possessione dell’oggetto amato e qui non appar mai né l’uno né l’altro. Implica gelosie, liti, riconciliazioni e qui tutte queste cose, brutte o belle che sembrino, mancan del tutto. Qual razza d’amore è mai dunque questa?
Il Petrarca, direbbe un napoletano, è il patito di Laura, e non già l’amante vero e proprio. Non c’è nelle sue liriche, né l’amor trionfante, né l’amore furore, né l’amore troncato e rappiccato, né l’amore carnale e neppure quello verginale o coniugale bensì un amor rispettoso se non sempre platonico, malinconico ma non tragico, querulo ma non inconsolabile. Qui c’è l’innamorato solo, l’innamorato senza speranze, che non sa né dichiararsi né conquistare, che ora si duole del suo amore, ora se ne gloria, ora se ne pente e se ne vergogna, ora se ne giova per innalzarsi alla virtù e tornare a Dio.
Se ben guardate il Canzoniere è la confessione del fallimento della poesia. Se tutti quei versi, quelle meravigliose immagini, quella dolcezza di suoni, quella raffinata perfezione di armonie, se questa ricca e fulgente fiumana di lirica non è valsa a smuovere l’ostinazione di Laura vuol dire proprio che la poesia deve riconoscersi inefficace e impotente. Ed è caso singolarissimo, a pensarci, che il Petrarca sia famoso nei secoli come poeta d’amore mentre non è riuscito, con tutti i suoi sonetti e madrigali, a farsi amare da una donna corteggiata a suon di rime per ventun’anni di seguito”.
Il Canzoniere, il poema della tristezza
“In verità il Canzoniere, piuttosto che poema d’amore dovrebbe chiamarsi poema della tristezza, se la definizione deve venirgli dal sentimento che tutto l’impregna. È il libro della tristezza del non essere amato, della tristezza del non poter far a meno d’amare, della tristezza, infine, del saper morta colei che non volle amare. Libro di malinconia più che di passione, di dolore più che di vagheggiamento. E si potrebbe dire, meglio ancora libro del pianto. Non v’è quasi poesia dove non si parli di lagrime e d’occhi molli. Nessun volume al mondo, – tolte forse le Confessioni di Sant’Agostino, – è fradicio di pianto come questo. Si direbbe che il Petrarca soffra d’una diarrea patetica e lacrimale. E al nostro tempo duro e cerebrale questi occhi mutati in sorgenti di stille salse posson sembrare ridicoli ma convien ricordare che il pianto è pur segno di grande anima, e non solo privilegio dei fiacchi e delle donne. Pianse Gesù, che pure era Dio, dinanzi al sepolcro di Lazzaro; pianse Caio Mario, che pure era un capitano plebeo, sui sassi di Cartagine; e piange Dante, che non era una femminetta, nel suo poema.
E nel Petrarca le lagrime non son troppe ché si tratta d’un amore perpetuamente respinto, d’un amore infelice. E se non fosse stato infelice, il Canzoniere non sarebbe mai esistito. L’amore vittorioso e soddisfatto non dà quasi mai poesia. Chi è riamato non perde il tempo a comporre sonetti e sestine – ma pensa a godersi la compagnia dell’amata. La poesia è uno dei tanti sfoggi che servono all’uomo per sembrare più desiderabile e per convincere la donna desiderata – e sparisce appena ottenuto l’effetto. Ritorna, la poesia, quando l’amore è finito, per morte o stanchezza, e l’amante ricorda nostalgicamente le passate voluttà: appare, dunque, prima o dopo, come incantazione o rimpianto, cioè negli stati di privazione soltanto”.
Contraddizioni e incoerenze nel vissuto del poeta
“Viveva insomma, come tanti altri al suo tempo e dopo, in partita doppia. Tutti i canti per colei che si schermiva; il silenzio e gli abbracci a colei che non si rifiutava. Nel tempo che il Petrarca scriveva le più ardenti poesie del Canzoniere Laura aveva un marito e il suo poeta aveva un’amante. Eppure di queste due creature reali e viventi – lo sposo di lei, la madre dei figliuoli di lui – non v’è traccia nelle Rime. Non c’è che un dialogo, o meglio un monologo, in cui appare sempre e soltanto un innamorato che piange e una donna che fugge. Mentre il Petrarca incastona i suoi sospiri e le sue lacrime nei più aerei versi che abbia la nostra lingua, Madonna Laura, per confessione stessa del poeta, faceva figliuoli al marito e una ragazza innominata faceva figliuoli a Messer Francesco. Ma nel Canzoniere non c’è neppure l’ombra di un disgusto al pensiero di Laura incinta – la donna che si ama disperatamente fecondata da un altro – né di rimorso al pensiero dell’ignota ch’egli aveva goduto o godeva senza farle neanche l’elemosina d’un sonetto”. (1930)
Gianluigi Peretti