Salvato ad Abano un capitello di fine ‘400

Abstract

Ad Abano Terme (località Monteortone), in Via Monte Sengiari, il rudere di un capitello nascosto tra i rovi, dietro una cabina dell’ENEL, ha rischiato più volte d’essere abbattuto. Ma, grazie alla sensibilità e alla solerzia di alcuni abitanti del luogo, si è scoperto trattarsi di un’edicola votiva di grande interesse storico-culturale, eretta probabilmente alla fine del XV secolo. Avviati gli interventi di recupero e di restauro, il manufatto è stato segato alla base e spostato di una ventina di metri in un’aiuola ben visibile al margine della strada. La solenne inaugurazione, con le autorità politiche e religiose ed una folla di cittadini festanti, ha avuto luogo il 12 settembre 2021.

 Un brutto manufatto da abbattere?

Tanti anni fa, l’avevano saldamente imbragato con grosse funi, ma, quando il trattore cominciò a tirare, il capitello non dava segni di cedimento. Al secondo maldestro tentativo di volerlo sradicare, le ruote del veicolo cominciarono a girare a vuoto, mentre il motore saliva di giri, finché uno dei cavi, che vibrava come la corda di un contrabbasso, diede alcuni colpi secchi ed iniziò a sfilacciarsi, producendo un sinistro ronzio. “Fermo!” gridò uno dei facinorosi che partecipava all’operazione. Ma l’uomo in cima al trattore, che per la fatica non ne poteva proprio più, anche a motivo del caldo torrido di quell’estate, rispose imprecando: “In malora te e questo maledetto rudere che non si vuole smuovere!”. E riprese a tirare, borbottando tra i denti: “Vediamo chi la vince!”. Ma fu questione di attimi, perché all’improvviso si sentì il rumore di uno strappo: la corda, spezzatasi, era rimbalzata indietro, lasciando il solerte tiratore e il gruppetto dei curiosi con un palmo di naso. Quell’accidente di vecchio manufatto, piegatosi appena di lato, ma rimasto ancora saldo alla base, sembrava voler dire: “Sono qui da oltre cinquecento anni. Perché, ora, mi volete demolire? Attenti, perché potrei portarvi  sventura!”.

La scena era da film di don Camillo: quella, appunto, in cui il sindaco Peppone, volendo abbattere un capitello votivo per lasciare spazio alla costruzione della Casa del Popolo, aveva dato disposizioni ai propri compagni di partito di transennare l’area. Un camionista, legato un cavo attorno al muro, l’aveva già agganciato al camion. Ma ricorderete che, sul più bello, mentre l’uomo s’accingeva ad eseguire gli ordini, una vecchietta, fattasi largo tra i curiosi convenuti sul luogo, si era messa a pregare con fervore proprio davanti all’immagine della Madonna del Borghetto, impedendo a quegli sciagurati, a quegli atei incalliti, a quei “comunisti”, di compiere un deplorevole sacrilegio. Peppone, con un balzo, tentò di spostarla di forza, mentre il camion accelerava, ma, come per miracolo, la fune ad un tratto si ruppe. I presenti si guardarono l’un l’altro ammutoliti; poi, forse presi da oscuri presagi, cominciarono a togliersi il cappello e ad inginocchiarsi.

Come avrete capito, un frangente simile si verificò in occasione della rimozione del nostro capitello, per cui gli uomini che lo attorniavano, sudati per il caldo e delusi per il fallimento dell’impresa, decisero di tornare a casa, temendo, tra l’altro, d’essere colpiti da chissà quale punizione divina (ma se da ragazzi avessero studiato il Catechismo, si sarebbero ricordati che Dio, infinitamente misericordioso, non castiga mai gli uomini, ma sono gli uomini a punirsi da soli quando compiono il male). Sta di fatto che quel povero prisma di mattoni, a forma triangolare, un tempo a ridosso di una casa colonica poi smantellata, rimase così, storto e dimenticato, dietro l’incongrua ed antiestetica cabina dell’Enel.

La protesta di alcuni cittadini

Questa che vi abbiamo raccontato, e che per molto tempo la gente ebbe a tramandarsi, aggiungendo talora dettagli e sfumature fantasiose, è certamente una storia accaduta, anche se – lo dobbiamo ammettere – il suo epilogo fu leggermente diverso. È vero, infatti, che quegli uomini tornarono alle loro case perplessi e timorosi, ma va specificato che niente, forse, li avrebbe fermati dal portare a termine lo scempio, se qualche cittadino della zona, illuminato, lungimirante, o semplicemente infastidito per ciò che stava succedendo, non fosse opportunamente intervenuto. In particolare, una persona autorevole – non sappiamo se per motivi religiosi, o per aver intuito che il manufatto in questione doveva avere un valore storico ed artistico di qualche importanza –-, presentò un esposto a chi di dovere, così che il Sindaco di allora, appena giunse la protesta agli uffici competenti, diede l’ordine di bloccare i lavori. “Risolto il problema” direte voi. “Beata ingenuità!” aggiungiamo noi, che, per non essere giornalisti di primo pelo, abbiamo alle spalle un’esperienza tale che ci permette di conoscere sufficientemente come vanno le cose del mondo.

Con il passare degli anni, infatti, la situazione corse il rischio di degenerare, dato che il capitello in oggetto non era dotato di un peculiare cartellino catastale ed anagrafico; anzi, per dirla tutta, notizie su di esso proprio non se ne trovavano. In quale epoca era stato costruito? Chi l’aveva fatto erigere? e per quali motivi? e per quale circostanza? E poi, a che Santo era dedicato? A dire il vero, in questo lasso di tempo così lungo ebbe ad interessarsi del rudere un bel numero di persone del luogo, tra cui un appassionato ricercatore di icone mariane, un benemerito architetto, un rinomato farmacista: alcune, allo scopo di volerne scoprire gli eventuali pregi storici e culturali; altre, sperando di poter dimostrare che non valeva proprio nulla, per avere poi il pretesto di toglierlo di mezzo. D’altronde, non era un bel vedere, quel manufatto diroccato e cadente, a breve distanza dalla strada principale (anche se seminascosto dalla cabina) e, per lo più, in un’aiuola all’ingresso di un piccolo parcheggio.

Sulle mappe conservate all’Ufficio Tecnico Comunale era, sì, individuato con dei segni convenzionali, ma quelle carte d’archivio, in fondo, non sembravano così antiche da poterne decretare l’importanza per un eventuale recupero. E al Catasto di Padova si trovava qualcosa che potesse fare un po’ di chiarezza sul reperto in oggetto? Niente di niente. Forse all’Archivio storico di Stato? Forse… Ma se persino la Soprintendenza, interpellata allo scopo, si stringeva nelle spalle, perché allora lasciarsi assillare da tanti scrupoli, e non prendere finalmente una drastica decisione?

Una piacevole sorpresa

Ma un bel giorno, ecco risplendere sul nostro lume votivo, bislacco e cadente, un  raggio di sole (in senso metaforico, ovviamente): forse la mano materna della Beata Vergine di Monteortone, intervenuta a metter fine alla questione. Da un’antica planimetria del 1536, in possesso di un cittadino che gradirebbe mantenere l’anonimato (ma noi abbiamo avuto il privilegio di vedere la riproduzione fotografica della mappa), si scopre che, proprio nel luogo finora descritto, è individuata, appunto, la traccia di una piccolissima costruzione (il capitello?). Si evince, inoltre, il solco di un lungo fossato (la cosiddetta “Brésega”?), che scorre al di là della menzionata costruzione, in direzione di Abano. Infine, dalla parte opposta della strada, pressoché dirimpetto al corso d’acqua, ma alla distanza di una cinquantina di metri, dove oggi sorge l’Hôtel Atlantic, si nota l’impronta grafica di una casetta (un’osteria?). Se ne deduce che forse l’edicola sacra in oggetto, più che l’espressione di un “ex voto” di tradizione popolare, come molti ipotizzavano, doveva essere il pretesto per segnalare un confine (probabilmente tra Abano e la zona ancora incolta e paludosa di Monteortone, o tra latifondi agricoli concomitanti), oppure voleva significare che in quel punto esisteva un trivio, dato che il manufatto presenta tre spigoli.

Sta di fatto che il capitello, secondo alcuni esperti, pare sia esistito a partire dalla fine del XV secolo o, al massimo, dai primi anni del 1500. Costoro, infatti, dopo accurate analisi, hanno concluso che la forma e lo stile semplice e sobrio della piccola struttura, nonché il materiale con cui fu costruita e il metodo d’incastro dei vari mattoni, sono elementi tipici di quel periodo storico chiamato “Rinascimento Veneto” (in particolare, “Rinascimento Padovano”).

Nelle tre nicchie erano riposte, con tutta probabilità, delle tavole dipinte (andate disperse, o forse trafugate), mentre nelle spalle delle medesime sono state rilevate delle piccole aree, molto sbiadite ed indecifrabili, di intonaco frammentato, con pigmenti di colorazione giallo-rossastra, forse tracce di piccoli disegni, o fregi simbolici fatti a secco con tempera su calce. In conclusione, ciò che di sicuro possiamo dire di questa meraviglia, la quale è resistita nei secoli alla faccia dei vari tentativi di volerla distruggere, è che:

1) trattasi di una costruzione evidenziata fin dalle antiche planimetrie del 1536;

2) presenta la forma di prisma a base triangolare, con una nicchia per ogni faccia laterale;

3) rivela, sapientemente amalgamati, lo stile gotico internazionale con quello archeologico del Rinascimento Padovano;

4) il suo tetto, decisamente in stile gotico-rinascimentale, è costruito a corsi in successione di mattoni e tavelle, fino a restringersi sulla punta.

Spostato e rimesso a nuovo

Oggi, finalmente, il capitello è stato ammodernato, grazie soprattutto all’azione di alcuni residenti capitanati da Enzo Crestale, presidente della locale sezione AIDO, intervenuto a finanziare in parte il progetto anche con propria pecunia. Egli, ostinatamente, aveva fatto pressione in Comune affinché fossero rimossi tutti i cavilli burocratici e le perplessità per il trasferimento della lanterna votiva da dietro la cabina dell’Enel all’imbocco di Via Monte Vendevolo, e precisamente nei pressi della rotatoria di Via Monte Sengiari, posizione più consona ed accessibile ai fedeli: intorno alla struttura, infatti, è stata creata una zona di preghiera con delle panchine.

In Comune hanno spiegato che l’Amministrazione si è prima informata presso la Soprintendenza se quel bene potesse avere un vincolo dal punto di vista storico ed artistico e se, di conseguenza, bisognasse attendere il “nulla osta” per rimetterlo in sesto. Alla risposta negativa, ha deciso di concedere gratuitamente a Crestale, per la posa del pilone votivo, una porzione di terreno comunale di circa 25 metri quadrati per il tempo di un semestre, affinché egli provveda allo spostamento o al rifacimento di una nuova edicola sacra, anche utilizzando parte del manufatto esistente.

Fortuna ha voluto che, sotto la direzione e la consulenza del pittore Giampietro Pittarello, autore, tra l’altro, delle icone sacre stampate su fogli di alluminio anodizzato ed inserite nelle tre nicchie, il capitello sia stato trasferito nella zona prevista senza subire alcun danno: segata nella parte inferiore (alquanto distante dalla base), l’antica costruzione è stata delicatamente spostata e collocata dove attualmente si trova, grazie al lavoro di cesello di un operaio specializzato che, dopo un’accurata lavatura con l’idropulitrice, ha rimosso le parti instabili ed allargato le fughe tra i mattoni, per poi stuccarle con malta idrofugata, solitamente usata per muratura a vista. Il tutto, a sua volta, ha provveduto a trattare con una guaina idrorepellente, mentre la nuova piattaforma è stata rivestita all’esterno con le pietre rimaste temporaneamente ammucchiate sul posto originario, così da creare nell’insieme un’impressione di austera stabilità della struttura.

Per iniziativa della Parrocchia, all’interno della muratura è stato incluso un barattolo contenente una radiolina, un cellulare, un CD e un quotidiano locale, insieme con altre cianfrusaglie e con un biglietto d’auguri… ai posteri; inoltre, è stata inserita una bottiglia racchiudente una pergamena, con l’indicazione del luogo e la data dell’inaugurazione, un riferimento alla pandemia di Covid e una preghiera, in forma lirica, alla Beata Vergine della Salute, nella speranza che protegga sempre la gente di Monteortone e, magari, non si dimentichi di noi che abbiamo scritto questa breve storia.

Enzo Ramazzina

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