“GIACOMETO SPÀSEMI”. La storia di Luigi Duse e della sua insuperabile compagnia teatrale

Abstract

 189 anni fa, a Padova, in Via VIII Febbraio, sorgeva il famoso Teatro Garibaldi. L’aveva fondato, nel 1834, Luigi Duse, attore e direttore di una compagnia di comici assai rinomata in Italia e all’estero. Oggi il suddetto teatro, per l’ignoranza e la mancanza di sensibilità storica di alcuni nostri predecessori, non c’è più.

 Luigi Duse e la sua compagnia teatrale

Giacometo Spàsemi

Nella storia del teatro veneto, merita una particolare collocazione l’attività teatrale di Luigi Duse, soprannominato “Giacometo Spàsemi” dall’invenzione della sua più famosa maschera, chioggiotto di nascita e padovano di adozione.

Nato, appunto, a Chioggia nel 1792, e morto a Padova nel 1854, questo signore, nonno della famosa attrice Eleonora, dopo aver conseguito il diploma di contabile, riuscì ad ottenere un impiego stabile come cassiere presso il Monte di Pietà della Città del Santo. Ma, di lì a qualche anno (intorno al 1830), lasciò la sicurezza economica per dedicarsi alla grande passione della sua vita: la recitazione.

Intraprendente e carismatico, riuscì a formare, in breve tempo, una compagnia di attori (allora si chiamavano “comici”, anche se i loro repertori annoveravano commedie seriose, drammi o tragedie), la quale si riuniva, per le prove e per le esibizioni in spettacoli recitati in lingua italiana, o in dialetto, al Teatro Diurno di Padova, una specie di gabbiotto all’aperto che, però, grazie alla sua notorietà, attirava teatranti provenienti da ogni parte del Veneto.

Nel 1834, non senza l’aiuto di amici ed appassionati del genere, riuscì ad inaugurare un suo teatro in un’area centralissima della città, detta “della garzeria della lana”, vicino allo storico Caffè Pedrocchi, dedicandolo con una targa “al popolo padovano”. Si trattava di un’ampia struttura in legno (più tardi ricostruita in muratura), nella quale, per molti anni, colse clamorosi successi, rappresentando, tra l’altro, farse e commedie dai titoli interminabili, come “Andromeda allo scoglio, condannata ad essere divorata dall’Orsa marina”, oppure “Le passioni umane scoperte al vivo dalla gran lucerna di Epitteto”. Ma in quel teatro ebbe ad interpretare anche molti lavori goldoniani, contrabbandati sotto titoli altrettanto lunghi, per andare incontro al gusto del pubblico, come “Le donne gelose de siora Lugrezia, che fa pegni in cale del Ridoto a sior Boldo e a sior Todaro, marzer a Rialto ecc.”. Fu, per la compagnia teatrale in questione, un periodo di straordinari successi, nel quale Duse progettò la maschera di Giacometo Spàsemi, uno stravagante personaggio che portava la parrucca nera con codino all’ingiù, aveva le sopracciglia fortemente marcate, teneva il fazzoletto bianco al collo ed amava indossare giubba azzurra, panciotto a fiori, calzoni corti, calze bianche e scarpe nere con fibbia.

 Fortuna della compagnia Duse

Padova, Teatro Giuseppe Verdi

Quando recitava la compagnia di Luigi Duse, il teatro era sempre affollatissimo, soprattutto di studenti universitari, attirati, oltre che dalla “vis comica” del nostro attore e direttore di scena, anche dalla sua bonomia. Egli, infatti, non pretendeva il pagamento in denaro, ma s’accontentava di qualsiasi donazione in natura: polli, salami, patate e quant’altro fosse utile a lui e ai suoi comici. Spesso si rivolgeva al pubblico, dicendo in dialetto veneto: “Portè, portè, fioi, ché tuto xe bon!”. Talora il simpatico “Giacometo”, in tono sospiroso ed auto-ironico, raccontava dal proscenio anche eventi intimi della propria vita e della propria famiglia: svelava i suoi crucci domestici, le sue frequenti difficoltà finanziarie; parlava dei creditori ostinati, che lo assillavano con le loro petulanti richieste di denaro e lo pedinavano, e di altre simili miserie.

Una volta, dopo aver intrattenuto con irresistibile comicità la platea, raccontando di una sua cambiale in scadenza, avvenne che gli spettatori gli lanciassero, insieme con le solite acclamazioni, tante monete da liberarlo dal momentaneo imbarazzo finanziario. Egli, con un pizzico di furbizia, soleva definire il proprio repertorio un archivio di “modeste comediole, / talune del Goldoni, / senz’urla, sangue e strepito, / a l’uso dei sbragioni [abbaiatori: coloro che, mentre parlano, gridano]”. In realtà, soprattutto quando assumeva il ruolo di “Giacometo”, egli otteneva strepitosi successi non solo a Padova, ma anche nei più noti teatri veneziani, tanto da produrre grave danno – come osserverà il critico Luigi Rasi – alle maggiori compagnie teatrali sulla piazza, quali la compagnia Mascherpa, la Reale sarda, la Ribotti, la Ristori, e tante altre. Le sue interpretazioni di Goldoni erano ritenute insuperabili, per cui le suddette compagnie, quando sui cartelloni apparivano gli spettacoli di Luigi Duse, avevano poche speranze di fare buoni incassi.

Una carriera ostacolata dall’invidia e dagli intrighi

Il Teatro Duse
Il Teatro Duse (foto d’epoca)

Ma il prestigio e la simpatia popolare non bastarono a risparmiarlo dall’invidia e dagli intrighi. Denunciato per allusioni politiche fatte sulla scena, in breve tempo, per lui, furono chiusi i grandi teatri, così che dovette rassegnarsi a recitare nelle piccole e pressoché sconosciute sale rimastegli accessibili, sciupando le forze fisiche e i modesti risparmi. Tentò ancora la lotta sfortunata contro le perfidie e l’oblio di chi l’aveva amato, ma fu uno sforzo vano.

Profondamente amareggiato, all’improvviso decise d’abbandonare Venezia, che rappresentava per lui la città dell’arte per antonomasia; quindi, lasciata definitivamente la scena, si ritirò, precocemente invecchiato, nella Città del Santo, dove morì nel 1854. Tale fu Luigi Duse, il primo, di questo nome, che fosse divenuto attore, invece che marinaio. Contemporaneamente a lui, e dopo di lui, vi furono molti Duse, i quali, sia per l’allettamento della sua fortuna, sia perché già nati o cresciuti sulle tavole del palcoscenico, scelsero la carriera dell’arte drammatica. Alcuni, tra i figli e i parenti, ebbero vocazione al teatro: nessuno, però, se si eccettua il caso della nipote Eleonora, raggiunse il grado del suo impegno e del suo successo.

La fine di un teatro famoso

Circa cinque anni dopo la scomparsa del suo fondatore, il teatro fu acquistato da una società che, dopo averne atterrato la struttura, la fece riedificare più ampia e più bella, battezzandola con il nome di “Teatro Sociale”. Nel 1868, l’edificio venne chiamato “Teatro Garibaldi”, in memoria dell’ “eroe dei due mondi” che l’aveva onorato con la sua presenza un paio d’anni prima, in occasione di una rappresentazione dell’Amleto (era l’anno dell’invio, da parte del generale, al Comando Supremo di Padova del celebre dispaccio, con il famoso “Obbedisco”). Nel 1899, per iniziativa di un noto commerciante padovano, Giuseppe Taboga, il teatro fu ricostruito.

Ma la lungimiranza – si fa per dire – di certi amministratori locali, che pure si dichiaravano tutori della conservazione dei beni storici, ebbe a produrre effetti deleteri, se è vero che il suddetto edificio, nel 1969, fu sventrato ed abbattuto definitivamente, lasciando una ferita aperta per la città. Sbaglio o, al posto di quel teatro (poi divenuto cinema), vero gioiello storico della nostra memoria, oggi intristisce l’occhio la visione della banale facciata di un moderno supermercato?

L’attuale Piazzetta Garzeria. In luogo del teatro Duse (poi Garibaldi) sorge il supermercato PAM

Enzo Ramazzina

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