Padovani bloccano l’invasione del principe spartano Cleonimo nel 302 a.C.

Abstract

Uno strano fatto d’armi nel 302 a.C. sul litorale veneto ha visto coinvolto da una parte il principe spartano Cleonimo, alleato di Taranto, al comando di una flotta e dall’altra truppe giovani della città di Padova che fermano l’invasione e lo ricacciano via. Ne scrive lo storico padovano Tito Livio.

Chi era Cleonimo?

Cleonimo fu un principe lacedemone, della casa Agiade regnante a Sparta, figlio cadetto del re Cleomene II e reggente del nipote Areo I che gli fu preferito come sovrano per il carattere piuttosto violento del congiunto. Quando Taranto si vide minacciata dai Romani e dai Lucani e chiese aiuto a Sparta fu istituito un piccolo drappello che con a capo proprio Cleonimo si diresse a Taranto; questi con la sua audacia riuscì a organizzare un esercito di una certa consistenza inducendo Romani e Lucani a venire a patti. Poi si mosse con alterne vicende nella regione tanto che alla fine si risolse di occupare Corcira, un’isola che si trova di fronte all’Epiro da cui si spinse nell’Adriatico conducendo delle azioni piratesche. Costretto a levare le ancore anche da Corcira dove non era ben voluto, tornò per un certo periodo a Sparta che gli affidò il comando di alcune spedizioni, ma poi anche da Sparta dovette partirsene. Entrato in contatto con Pirro sembra che questi gli abbia affidato il compito di occupare il Peloponneso con promesse piuttosto allettanti, ma l’impresa non gli riuscì e di lui ben presto si persero le tracce. È durante una delle sue scorribande in Adriatico che si svolse l’episodio oggetto di questo articolo poiché con la sua flotta giunse fino alle coste venete.

Com’era la situazione nel Veneto di allora

La stele con scrittura venetica rinvenuta a Isola Vicentina nel terzo decennio del XX secolo (it.wikipedia.org)

Si ritiene che Padova, come altre città venete (Este, Montagnana, Montebelluna, Altino, Oderzo, Treviso, Belluno, Vicenza, ecc.) sia stata fondata dai Veneti e nel periodo relativo all’evento in questione fosse abitata dai cosiddetti paleoveneti che si esprimevano nella lingua venetica, la cui prima attestazione è data da una stele del IV secolo a. C. rinvenuta nel comune di Isola Vicentina.

In questo periodo l’assetto etnico-politico nella pianura padana era in piena evoluzione: se da una parte la presenza etrusca si stava indebolendo, era in fase espansiva invece quella gallico-celtica che più tardi sarà scardinata dai Romani con cui i Veneti si alleeranno. Presenti al nord delle Alpi, ben presto i gallo-celtici si espansero al di qua delle Alpi penetrando nella pianura padana  attorno al 390 a.C. e in parte anche a sud-est. Bologna, l’antica Felsina, ma forse anche i dintorni di Milano, erano di origine etrusca; poi Bologna passò ai Galli Boi, da cui appunto il nome attuale, e ai Galli Insubri Milano, che forse la fondarono come città. In questo modo i Veneti si sentirono circondati, ma riuscirono a mantenere la loro indipendenza e il loro territorio che era importante per i traffici commerciali (la via dell’ambra, ad esempio) per le buone relazioni che avevano instaurato con i Galli cenomani e con i Romani. Già dai secoli precedenti Adria, situata ai limiti sud-est del Veneto e posta sul mare, ospitava etruschi, veneti e greci, mostrandosi importante città porto ed emporio, oltre che centro di cultura internazionale; ad Adria Dionisio primo (V – IV sec.) di Siracusa aveva inviato come ostaggio Filisto che riteneva troppo pericoloso in città, ma probabilmente anche per consolidare la presenza dorica al momento predominante in quel centro così vitale, cosa però  che non durò a lungo. Il fatto che l’abbia mandato proprio ad Adria ci dice che la città in quel momento vedeva in declino la potenza ateniese con cui la stessa Siracusa si era battuta per difendersi da un attacco ed era in ascesa invece la presenza etrusca.

La stele è esposta nel museo naturalistico archeologico di Vicenza, con la descrizione del manufatto sopra riportata (it.wikipedia.org)

Sono questi gli avvenimenti che precedettero il fatto specifico di cui ci stiamo occupando. Ci dice il patavino Tito Livio che Cleonimo nella sua smania di grandezza, dopo avere girovagato nel mare Adriatico con azioni piratesche, si era spinto a nord con la sua flotta tenendosi lontano sia dalle coste orientali a nord dell’Epiro, abitate da popolazioni piuttosto aggressive soprattutto in mare dove assaltavano navi di passaggio, sia da quelle occidentali, italiche, che non erano facilmente attraccabili. Sbarcato sulla costa veneta all’imbocco del “Medoacus”, probabilmente l’attuale Brenta che allora attraversava la città di Padova, ma Tito Livio non lo specifica (due corsi d’acqua allora portavano questo nome: il “Medoacus maior” , appunto il Brenta di oggi, e il “Medoacus minor”, un ramo ora scomparso o ridotto a piccolo canale dello stesso Brenta, oppure ancora l’attuale alveo dove scorre dopo i grandi sconvolgimenti idrografici avvenuti nell’alto Medioevo) mandò in avanscoperta degli esploratori  per poi inoltrarsi egli  stesso con il resto delle navi, prendere terra appena si imbatté nei primi villaggi lungo la costa di pertinenza patavina (Venezia sarà fondata molto più tardi), attaccandoli e saccheggiandoli per riportare sulle navi il bottino di animali e uomini.

L’attuale assetto idrografico nel Padovano

Ben presto però la notizia arrivò alla città di Padova, così fu allestito un piccolo esercito composto di giovani forti e probabilmente già preparati per eventualità del genere, visto il pericolo costante a cui era allora esposto il territorio veneto,  i quali in fretta si portarono dove Cleonimo con le sue truppe si era fermato e contrattaccando lo costrinsero a riprendere a ritroso la via del fiume dopo avere perso nello scontro la maggior parte delle  navi, e abbandonare per sempre la pretesa di insidiare il territorio veneto o addirittura di porlo sotto l’influenza del potere di Taranto, idea a cui forse gli stessi dominatori di Taranto, visto quello che aveva tentato di fare Dionisio di Siracusa con Adria, non erano indifferenti. Un altro soggetto interessato potrebbe essere stato Pirro re dell’Epiro: in entrambi i casi lo scopo non dichiarato era quello di cercare di contenere la potenza romana con cui i Veneti si sentivano vicini; oppure, al di là del racconto liviano che tende a presentare l’avvenimento come un atto banditesco, il tentativo di Cleonimo era quello di una rivalsa nei confronti di Sparta, visto come era stato cacciato e, coperto di gloria ritornare alla città come trionfatore.

La dea Reitia dei veneti antichi (romanoimpero.com)
Una stampa cinquecentesca delle Historiae di Livio (www.antiquariat-kunsthandel.de)

La rapidità della risposta patavina ci dice che c’erano dei contingenti sempre all’erta nell’eventualità di un attacco sia da mare che da terra, dove sappiamo che i Galli erano presenti e sempre in procinto di muoversi per espandersi anche verso est. Probabilmente i patavini, e forse i Veneti in generale, erano preparati ad una difesa ma non a mettere in piedi azioni offensive se non per prevenire eventuali attacchi, e lo fecero sempre con grande determinazione appoggiandosi anche ad alleanze, con i Galli cenomani, ad esempio e con i Romani, da cui cercarono di trarre dei vantaggi.  Il bottino che riuscirono a recuperare da quell’impresa, che restò nella memoria della città, fu esposto nel tempio di Reitia a Padova e vi rimase fino quasi in epoca imperiale, e per commemorare degnamente l’evento storico fu istituita una solenne celebrazione che avveniva ogni anno in cui si svolgevano anche dei giochi navali.

Nota: La prima testimonianza del nome dei Veneti

In epoca antica i Veneti – Eneti in latino, Enetoi in greco – erano sparsi su un territorio più vasto di quello occupato attualmente dalla regione Veneto: la decima Regio Venetia et Histria istituita da Augusto comprendeva il Veneto attuale, il Friuli-Venezia-Giulia, il Trentino, parte dell’Alto Adige e della Lombardia e l’Istria. Diversi autori dell’antichità scrissero dei Veneti: Tito Livio, il massimo storico di Roma, di origine padovana, li dice giunti qui per via di mare sotto la guida di Antenore: “venisse in intimum Hadriatici sinum”;  dice anche che gli Eneti abitavano in una regione dell’Anatolia, la Paflagonia come troviamo in Omero che li presenta come confederati dei Paflagoni “Dall’èneto paese ov’è la razza / Dell’indomite mule, conducea /Di Pilemene l’animoso petto” (trad. di V. Monti); sotto la guida di Pilemene, morto nel corso del conflitto, avevano partecipato alla guerra di Troia. Anche Catone li dice originari dell’Anatolia;  Cesare, invece nel De bello Gallico riferisce di avere sottomesso i Veneti in Bretagna, Tacito li colloca lungo il corso della Vistola, Claudio Tolomeo interpreta le parole di Livio Veneticus sinus come il golfo di Danzica, Pompeo Mela rintraccia un sito veneto sul lago di Costanza, Strabone si riferisce all’Armorica, ancora in Bretagna, Erodoto li pone nella penisola Balcanica: sarebbero pertanto Illirici. Virgilio dà voce poetica in un passo dell’Eneide al mito “Antenore poté, sfuggito agli Achivi,/ penetrare sicuro nei golfi illirici e nei più interni/ regni dei Liburni, e oltrepassare la fonte del Timavo (trad. Guido Vitali) Una volta giunti nella nuova terra i Veneti cacciarono gli Euganei sui monti e si impadronirono della pianura fondando diverse città. Una stele del IV sec. circa a.C., ritrovata ad Altura di  Isola Vicentina, un comune a circa metà strada tra Vicenza e la cittadina di Schio presenta una iscrizione in cui compare per la prima volta il termine Venetkens. Questa la stele;

Trascrizione in lettere latine: k.t.enev.s.tai /e.n.s.o.st.s.ke.e.no/ snoial.senex /me.u.vhasto
Poiché la scrittura è bustrofedica, seguendo l’andamento sinistra – destra così va riscritta:
 iat.s.vene.t.k / e.n.s.o.st.s.ke.e.no / xenes.laions / me.u.vhasto
Interpretazione: iats venetkens osts ke enogeneslaions meu fasto
Traduzione:        iats, venetkens osts ed  enogenes laions mi fece
iats sarebbe il nome del personaggio; osts > straniero (anche ospite); venetkens è un aggettivo; enogenes > nativo; laions > probabilmente un etnico di non chiaro riferimento.

L’iscrizione quindi direbbe questo: iats, straniero venetizzato e nativo laions (…) mi fece (mi fece fare)
La stele è esposta nel museo naturalistico archeologico di Vicenza; l’interpretazione della scritta è presa da un manifesto dei musei vicentini riportato da: it.wikipedia.org; l’immagine da: Veneta Storia

Federico Cabianca

 

 

 

 

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