La Corte Benedettina di Correzzola

Abstract

Per tutto il medioevo e fin quasi alla metà del secondo millennio Monasteri, Abbazie, Certose gestivano un vasto territorio, anche sul piano agricolo, produttivo ed economico. Emanazioni delle Abbazie erano le Corti e, in subordine, le Gastaldie, che avevano la gestione pratica del contado e dei beni; emanazioni della potentissima Abbazia di Santa Giustina di Padova, per una migliore gestione del territorio, erano la Corte di Legnaro e, più importanti, Concadalbero e Correzzola.

La Corte di Correzzola

Le Corti benedettine: Correzzola e Concadalbero

Dobbiamo al monaco Girolamo da Potenza, giunto dal regno di Napoli al Monastero di Santa Giustina di Padova, la documentazione storica relativa alla Corte Benedettina di Correzzola, che nella sua Cronica Giustiniana (1598 – 1604), avvalendosi di importanti documenti conservati nell’archivio del monastero, nonché della sua memoria e delle testimonianze dei confratelli, ne ripercorse la storia avvincente dal 1000 ai primi anni del 1600.
Correzzola si trova a sud est di Padova, nella Saccisica, ai margini con la Provincia di Venezia.
Il nome Correzzola deriva dal latino “corrigium” che significa sottile striscia di terra emersa dalle acque e altresì coperta dai boschi che caratterizzavano tutto il territorio lungo il Bacchiglione, come del resto indicano i toponimi delle sue frazioni Villa de Bosco e Concadalbero.
I monaci di Santa Giustina di Padova acquistarono nel 1129 l’estesa corte di Concadalbero dalla contessa Giuditta di San Bonifacio, per 300 lire di moneta veronese.
La corte comprendeva i paesi di Conca de Albero, Coregiola, Castrum Brente, Desmano e la vasta valle del Foresto.

Le bonifiche

Tutta la zona era caratterizzata da estesi terreni malsani e paludosi a causa delle disastrose esondazioni dei fiumi che li attraversavano, l’Adige e il nuovo corso del Gorzone a sud, il Bacchiglione e il Brenta a nord.
I monaci, fedeli alla regola di San Benedetto “Ora et Labora”, dettero avvio ad una profonda trasformazione del territorio, attraverso ingenti opere di bonifica che progressivamente ridussero le zone paludose, rendendo i terreni fertili alla coltivazione di lino, cereali, vite, frutta e foraggio e permisero l’allevamento di animali, quali mucche da latte, cavalli, ovini e caprini, suini e pollame.
Seppero inoltre utilizzare il Bacchiglione, il corso d’acqua che attraversava il territorio, sfruttando  la sua potenza idrica per scopi energetici, e, precorrendo i tempi, costruirono complesse macchine idrauliche.
Fu un lavoro duro che potè avere luogo grazie alla grande intelligenza e operosità dei monaci, alla capacità di progettazione, organizzazione e di governo degli stessi e al grande lavoro di braccianti e contadini. Nella corte lavoravano infatti molte famiglie di coloni che venivano anche da altri paesi.
Furono spesi molti soldi: ”se se vedessero quanti danari son buttai in queste paludi, appareriano tutti questi arzeri de oro”, come scrisse Giustino da Pontremoli, Cellerario di Correzzola nel 1560.

La Corte di Concadalbero

Parrocchiale di Concadalbero

La Corte di Concadalbero, del Monastero di Santa Giustina, divenne il centro di amministrazione fondiaria più importante del territorio del padovano.
Nel primo periodo di possesso i Monaci si adoperarono per favorire l’incontro delle piccole comunità locali, costruendo le chiese dove mancavano. La prima chiesa venne edificata dai Monaci nel 1172 a Villa del Bosco, intitolata a San Prosdocimo, primo vescovo di Padova, sepolto presso la basilica di Santa Giustina in Padova.
Nei primi secoli della presenza dei benedettini a Concadalbero la loro opera veniva spesso interrotta  da guerre che rallentavano l’opera di risanamento del territorio. La più dura è stata quella che ha visto Ezzelino da Romano impadronirsi di Padova e del suo territorio nel 1237 e adoperarsi per eliminare tutte le persone che godevano di prestigio presso la popolazione.
Dopo la liberazione del popolo padovano dalla tirannia di Ezzelino a cura dei Crociati nel 1256, i monaci poterono riprendere la loro opera di bonifica. Vi furono conflitti militari tra le diverse signorie e controversie con la Repubblica di Venezia che comunque garantì al territorio della Corte Benedettina un lungo periodo di sviluppo.
Nei primi decenni del 1300 a Padova si concluse il periodo comunale e iniziò quello della Signoria carrarese la cui famiglia prese il governo della città e del territorio.
In questo periodo il Monastero, per decisione di Papa Bonifacio VIII, fu privato della guida dell’abate e, diretto da inviati della Signoria dei Da Carrara, visse i suoi anni peggiori per la continua sottrazione di beni e per l’impoverimento dei valori propri dell’ordine dei Benedettini.
Nei primi anni del ‘400, la Repubblica di Venezia sottomise Padova. La bonifica riprese in modo significativo e continuò a garantire nel tempo la rinascita del territorio.

Da Concadalbero a Correzzola

I monaci benedettini trasferirono la loro Sede Domenicale da Concadalbero a Correzzola, in prossimità dell’ansa del Bacchiglione, per l’importante via d’acqua che permetteva lo spostamento di grandi quantità di merce caricata sui barconi per raggiungere Padova, Chioggia e Venezia, impiegando un tempo molto minore rispetto al trasporto su carri trainati dai buoi effettuato sulle strade del tempo.
Nell’ampio spazio dell’ansa del fiume, sorsero numerosi edifici per i vari servizi di amministrazione e di raccolta dei prodotti, che di anno in anno, con il beneficio della bonifica, divennero sempre più abbondanti.
Grazie alla bonifica, i monaci fecero sorgere nuovi paesi come Civè e Terranova e, con un grande lavoro agricolo, idraulico e amministrativo, diedero origine ad un apparato che ai primi anni del Cinquecento amministrava oltre 13000 campi padovani.
La corte era caratterizzata dalla presenza di un’ala dedicata alla residenza dei monaci e un’ala adibita alla foresteria. All’interno del grande complesso erano presenti granai e depositi e una cantina per la distillazione dell’acquavite. Corti minori erano adibite alle abitazioni degli artigiani e altre con fienili, pozzi, porcilaie, pollai e orti.
Nella corte non risiedevano molti monaci, limitati ad una decina di persone stabili.
I monaci non trascuravano comunque gli obblighi spirituali e liturgici, seppure il complesso fosse caratterizzato da funzioni agricole e commerciali, e si adoperavano nelle attività di istruzione e assistenza delle popolazioni.

Le Gastaldie

Le grandi dimensioni raggiunte dalla corte necessitavano di una migliore organizzazione, ai fini di un maggior sviluppo sociale ed economico e a tale scopo i monaci incaricati organizzarono il territorio in cinque “Gastaldie”: Brenta d’Abbà-Civè, Concadalbero (che oggi sono frazioni del Comune di Correzzola) e Correzzola, Villa del Bosco e Cona Padovana (che oggi sono Comuni).
A Correzzola risiedevano i monaci, un padre Cellerario, nominato dall’Abate di Santa Giustina, che era la principale autorità della corte e il responsabile di ogni iniziativa. Un altro monaco aveva le funzioni di vice, e alcuni altri monaci, con la funzione di commessi, avevano il compito di sovrintendere a granai, cantine, laboratori degli artigiani, dispense.
Il Cellerario gestiva e guidava i cinque gastaldi delle Ville, doveva essere attento e vigilante quando il livello dell’acqua diventava allarmante e nei periodi di inondazione e delle rotte dei fiumi Bacchiglione e Adige. Doveva programmare argini, fossi, scolatori, chiaviche e ponti. Aveva il compito di difendere le ragioni del monastero nei riguardi dei nobili confinanti, i quali tendevano a scaricare disordinatamente le loro acque nei fondi dei Monaci.
Nelle Gastaldie dimorava un Gastaldo, che poteva essere un monaco commesso o anche un laico, scelto dal Cellerario tra persone fidate, e aveva il compito di guidare i coloni nel lavoro necessario alle coltivazioni e alla bonifica programmate.

La vanezza

Le Fattorie

Ogni Gastaldia era divisa in possessioni di circa 60 – 80 campi e ogni possessione era affidata a famiglie di coloni che risiedevano in una “casa de muro coverta de copi”, detta Fattoria, grande abitazione colonica, con la facciata rivolta a Sud. Era sempre intitolata ad un santo del quale sotto il portico c’era un’immagine affrescata.
Ogni Fattoria aveva una sua corte, una cantina, granaio e magazzini, un forno per il pane, il “selese”, con pavimentazione in cotto o in selce per seccare i prodotti agricoli, un “gallinaro” con il prato per polli e altri animali da cortile. Spesso era dotata di una stalla per i buoi, una scuderia, uno spazio per i cavalli e una ghiacciaia. Intorno alla corte si trovavano l’orto, il brolo con alberi da frutto e viti e il pozzo.
La campagna intorno ad ogni Fattoria era suddivisa in appezzamenti rettangolari a schiena d’asino, per facilitare il deflusso delle acque stagnanti.
Tenendo conto che in quell’epoca i contadini vivevano in case d’argilla, costruite con tetti di paglia o di canne, malsane e facilmente deperibili a seguito di condizioni climatiche avverse, è da sottolineare la rivoluzione di vita e di benessere introdotta dai monaci.
Vicino ad ogni Fattoria si trovavano le abitazioni dei chiusuranti o “arsenti”, operai che lavoravano alla possessione e che coltivavano in affitto da due a quattro campi. Gli “arsenti” potevano usufruire dei servizi presenti nella Fattoria da cui dipendevano, quali il forno per il pane, la stalla per il latte e la disponibilità dei buoi e degli attrezzi per i lavori del loro poco terreno, l’aia per seccare i grani, la cantina per conservare il vino.
Alla fine del 1500 nelle cinque Gastaldie si contavano circa settanta fattorie. Nel secolo successivo  erano in numero di 93 e oltre 320 le casupole per i chiusuranti, costruite a spese del monastero e riparate quando era necessario.

L’iniziativa dei benedettini e le bonifiche

La residenza dell’Abate

La bonifica benedettina del territorio di Correzzola, iniziata dal lontano secolo XII, quando i monaci diventarono proprietari di quelle terre, è continuata per tutto il periodo della loro presenza, fino al 1806, sempre guidata dalla certezza di realizzare una zona adatta allo sviluppo ed alla sicurezza di vita.

Su una parete della Corte Benedettina, si possono leggere i seguenti versi del poeta Virgilio:

“Sic vos non vobis nidificatis aves (Così voi ma non per voi fate il nido uccelli)
Sic vos non vobis mellificatis apes (Così voi ma non per voi producete il miele api)
“Sic vos non vobis vellera fertis oves (Così voi ma non per voi producete la lana pecore)
Sic vos non vobis fertis aratra boves (Così voi ma non per voi portate l’aratro buoi)

Questi versi, insieme alla regola ORA ET LABORA, hanno contraddistinto il lungo e glorioso tempo dei monaci di San Benedetto.
L’impegno per la bonifica di una zona che si presentava tutta sotto il livello del mare, con il complesso sistema di canalizzazione con cui si raccoglievano le acque della palude per far respirare la terra, ha consentito la salvaguardia del territorio della Corte di Correzzola.
L’opera che è proseguita per secoli, con l’intensa attività dei monaci, coraggiosa e costante anche con il mutare degli assetti politici, è stata determinante per lo sviluppo di tutta l’economia padovana, ha dato anche dignità al lavoro dei contadini, rendendoli collaboratori e non servi, facendo scoprire il valore dell’agricoltura, indispensabile fonte di vita e rinascita ambientale.
Le opere di bonifica continuarono ad essere realizzate dal XX secolo dai Consorzi di Bonifica, potenziate dalle nuove tecnologie.

Le confische napoleoniche e i Melzi d’Eril, nuovi proprietari

A seguito della sconfitta subita dalla Repubblica di Venezia da parte di Napoleone Bonaparte, tutti i beni ecclesiastici vennero confiscati e secolarizzati e la stessa sorte toccò alla Corte di Correzzola, che i monaci dovettero abbandonare.
Nel 1807 Napoleone consegnò la Corte a Francesco Melzi d’Eril duca di Lodi e decretò il passaggio della Corte Benedettina e del grande possedimento che la circondava sotto la proprietà della famiglia lombarda, che la gestì fino all’ottobre del 1919.
La famiglia Melzi d’Eril continuò comunque l’opera di bonifica iniziata dai benedettini progettando la costruzione di importanti idrovore, potenti turbine alimentate da motori.
La duchessa Josephine Barbò Melzi d’Eril, erede universale di tutti i beni del marito defunto, “alla fine della prima guerra mondiale cedette tutti suoi possedimenti alla Società Dominio di Correzzola dei conti Bonacossa di Vigevano, che nel decennio 1919 – 1929 frazionarono il latifondo vendendolo a privati”.
“La grande guerra col suo strascico di lutti, aveva lasciato le campagne duramente provate e impoverite sia di mezzi che di uomini”. “La situazione economica era disastrosa”.

La scuderia

Il frazionamento e la liquidazione del latifondo

“C’era comunque un forte desiderio di riscatto, di diventare proprietari di un pezzo di terra. Alcuni erano pronti ad acquistare il fondo, avevano del denaro, altri fecero ricorso alle banche, altri ancora si fecero sorprendere e si ritrovarono  con la campagna venduta a qualche speculatore”.
Per i molti che non avevano possibilità economiche, né di contrarre mutui o che, dopo assunto il debito con le banche, non erano riusciti ad onorare le rate in scadenza, significò dover abbandonare la casa e la terra che avevano lavorato per decenni, senza sapere dove andare. O, nel migliore dei casi, continuavano a lavorare il fondo, alle dipendenze del nuovo proprietario e con affitti che continuavano a lievitare.
Fu un periodo di grandi privazioni, i raccolti non rendevano mai abbastanza per pagare il debito, il prezzo dei prodotti della terra era in continua discesa. Le vendite dei fondi curate da incaricati dei conti Bonacossa, erano effettuate con spregiudicatezza, talvolta con violenza, badando solo al massimo profitto.
“Gli acquirenti delle chiusure erano talmente provati dalle spese sostenute che non riuscivano a trovare il denaro per le pratiche notarili”.
“Nel 1929, quando terminò la vendita frazionata del complesso, più di un terzo degli acquirenti non era riuscito a consolidare la posizione di proprietario. Particolarmente dolorosa fu la sorte dei fruitori dei mutui agevolati. […] Più della metà di essi nel 1934 risultava insolvente. La vicenda diventava una storia di fallimenti, abbandoni, sfratti e libretti di pensione ceduti ai creditori”.
Il lungo periodo che contrassegnò la gestione dei Benedettini, encomiabile per la lungimiranza,  capacità e profondo rispetto dei contadini,  mette in evidenza quanto più dolorosa fu la sorte che toccò agli stessi e alle loro famiglie, quando a tempi mutati e percorsi anche da dolorose vicende belliche, si trovarono ad affrontare un faticoso cammino per la nuova situazione economica e sociale.
Una parte della Corte oggi è di proprietà privata, una parte, dal 1999, è diventata Bed and Breakfast  “La Corte”, mentre un’ala della Corte è proprietà del Comune che l’ha adibita ad uffici amministrativi. Il Comune ha acquistato con finanziamenti regionali ed europei in particolare l’antica e maestosa scuderia che ha, in parte, adibito a biblioteca comunale.

Veduta panoramica della Corte (1908)

Le ricerche e gli scritti della maestra Lovison

Un approfondimento relativo alla liquidazione dei possedimenti della Corte, ceduta da Napoleone ai Melzi d’Eril, è nel terzo volume della serie “Quaderni delle memorie” di Maria Caterina Lovison presentato presso la Sala Monasterino della Corte il 24 ottobre 2020 come Reading in forma scenica con Ivan Di Noia. Così il volume viene presentato nel sito della Biblioteca Comunale di Correzzola che ha curato l’ evento: “Attraverso un’accurata ricerca su inediti materiali d’archivio, l’autrice analizza l’ultimo periodo della permanenza della famiglia Melzi nel Tenimento di Correzzola e il successivo smembramento della proprietà ad opera della “Società Dominio di Correzzola” dei conti Bonacossa di Vigevano. Fonti primarie del lavoro sono i carteggi intercorsi tra gli amministratori del latifondo e il procuratore della duchessa Melzi, ingegner Marcello Rougier, negli anni 1887 – 1914 e, successivamente, i registri e i resoconti del liquidatore Angelo Soldani, agente dei Bonacossa, tra il 1919 e il 1925. Pur nella sua frammentarietà la documentazione disponibile offre lo spunto per numerosi interrogativi, ma svela anche una serie di avvenimenti che si srotolano in un cinquantennio e fanno emergere più viva che mai la vita del paese e del territorio. La ricerca è delimitata e circoscritta, ma in qualche modo si apre a problematiche di ampio respiro, considerando inevitabilmente gli eventi politici, le crisi economiche e le catastrofi naturali. Ripercorrendo mezzo secolo di storia di cui non si conosceva nulla o quasi, vengono sfatate anche alcune leggende che avvolgevano la figura della duchessa Josephine Melzi ed emergono personaggi ormai avvolti nell’oblio, come il procuratore Marcello Rougier, per 32 anni sindaco di Correzzola. La minuzia dei particolari, la ricchezza dei dettagli, i nomi dei protagonisti di piccoli o grandi fatti, aggiungono un pizzico di emozione alla sequenza delle vicende che hanno toccato tante famiglie che ancora popolano il paese. La seconda parte del volume indaga, a cento anni di distanza, il periodo travagliatissimo che porta alla vendita frazionata del latifondo, tra le pieghe dei documenti, la fatica e la difficoltà della popolazione nel percorso verso un nuovo assetto sociale ed economico”. (https://www.facebook.com/BiblioCorrezzola/posts/i-melzi-deril-a-correzzola-crisi-e-liquidazione-di-un-latifondo-di-maria-caterin/649473795754350/)

I granai con il caratteristico portico

Bibliografia

Il cammino di una Rinascita (a cura di Girolama Borella), Proget Edizioni, Nuova Grafotecnica – Casalserugo, aprile 2017.
Maria Caterina Lovison, I Melzi d’Eril a Correzzola. Crisi e liquidazione di un latifondo, CLEUP, settembre 2020.

Giuliana Moro

 

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