L’Abbazia di Praglia, monastero benedettino

Abstract

Una delle più importanti abbazie venete, la cui storia è stata nei secoli strettamente legata alla abbazia di Santa Giustina di Padova, pur se per i primi 200 anni era aggregata al potente monastero di Polirone di Mantova dei conti di Canossa, è stata fondamentale per la gestione agricola della campagna padovana come testimoniato fin dal nome, dal latino pratalea.

Fig. 1 – Veduta aerea dell’Abbazia di Praglia

La storia

L’abbazia di Praglia, antico monastero benedettino a pochi chilometri da Padova, risale al 1080 fondata dalla nobile famiglia dei vicentini conti Maltraverso (o Maltraversi).di Montebello con vasta attività di finanziatori sia civili che religiosi fin dalla fondazione.

Va ricordato che questa benemerita famiglia ha finanziato anche: l’eremo di San Cassiano a Lumignano, il monastero di Santa Maria del Summano a Santorso, il monastero benedettino degli Olivetani sul Venda, la chiesa di san Salvatore di Montecchia di Crosara, nel veronese, e ha portato a termine varie opere di ingegneria civile e fondato anche un ospedale.

Il legame con il monastero di Polirone

Il primo abate di Praglia Iselberto dei Tadi, veniva dal potente monastero di San Benedetto di Polirone di Mantova, fondato dai conti di Canossa nel 1007 . Nel 1117 l’abbazia risulta attiva e retta da un abate, mentre papa Callisto II nel 1123 con una bolla pontificia confermava la nuova fondazione, che rimase aggregata per circa duecento anni al monastero di Polirone, legato alla riforma cluniacense. Per lungo tempo Praglia fu fondamentale per la gestione agricola della campagna padovana; il suo nome deriva dal termine medievale “pratalea(località tenuta a prati) e si riferisce alla grande opera di bonifica di terre paludose o boschive, rese quindi coltivabili, che è stata una delle principali e più meritorie attività dei Benedettini nel Medioevo e ha tolto dalla miseria, attraverso lo sviluppo della agricoltura, interi territori, secondo il motto di San Benedetto “Ora et labora”.

Fig. 2 – Abbazia di San Benedetto di Polirone (Mn)

L’abbazia crebbe in ricchezza e prestigio, anche per le generose donazioni di molti potenti, tra cui l’imperatore Federico II che la elevò a feudo nel 1232 e, soprattutto per il lavoro dei monaci, al punto che molte chiese vi facevano riferimento.

Nel 1300 l’abbazia diventa autonoma e si lega a Santa Giustina

Divenne autonoma nel 1304 e poté eleggere un abate dall’interno del proprio capitolo, ma, nel secondo decennio del 1300 il monastero fu devastato dalle truppe scaligere e i monaci dovettero rifugiarsi nel monastero di Sant’Urbano.

Verso la fine del 1300 divenne abbazia commendataria (1), cioè la gestione economica dell’abbazia fu affidata a un abate commendatario, con effetti a dir poco disastrosi sul piano spirituale, culturale e materiale, che superò solo nel 1448 aderendo alla grande riforma monastica benedettina avviata dalla abbazia di Santa Giustina di Padova, passando sotto la sua giurisdizione. Conobbe così un periodo di vera e propria rinascita: l’abbazia fu ricostruita a partire dal 1469 e nel 1490 iniziò la costruzione della chiesa dell’Assunta; progetto di Tullio Lombardo.

Fig. 3 – Basilica di Santa Giustina

Il patrimonio della abbazia

L’abbazia gestiva direttamente attraverso le corti più di 4000 campi e altri 1000 attraverso le parrocchie secondo la dettagliatissima ricerca di Giovanni Silvano pubblicata in Mediterranea. Studi e ricerche storiche: “Vi erano proprietà in centri lontani, come Bovolenta e Carturo; nelle zone sud orientali a Galzignano, Valsanzibio, Faedo e Valnogaredo, in quelle a nord ovest a Cortelà, Boccon, Zovon, Carbonara, Rovolon, Teolo e Villa e a nord est a Montemerlo, Creola, Montecchia, Abano, Torreglia e Luvigliano. Possedeva inoltre, entro i termini, nella campagna padovana, beni a Tencarola e a Brusegana. Anche nella stessa città di Padova, il monastero mantenne il possesso d’immobili che consentì il perpetuarsi di rapporti tra la fondazione rurale e la realtà cittadina”  (Giovanni Silvano, internet, pdf) e vi erano proprietà pure in Asiago per la possibilità di rifornirsi del legname utile alla vita della abbazia.

Altre località erano legate a Praglia: Tramonte San Giorgio, Villa del Bosco, Ca’ Salvadega, Bre’, Feriole, Monte Rosso, S. Benedetto delle Selve, Campore, Cortelà, Cianfriolo, Grantorto, Ronchi e Gazzo di Carbonara, Zovo di Tramonte, Campore, Selvazzano, Mason, S. Urbano di Padova, contrada Codalunga (dove c’era anche una residenza dell’abate), Feriole, Bresseo, Castellaro, Carbonara, Monte della Madonna, un mulino a Costa di Limena, Castel di Brenta, monti Sengiari, Farneda, Solone e Lonzina, Monterosso e Monteortone, varie case coloniche. Alcune chiese campestri facevano capo alla abbazia: S. Nicolò di Carturo, S. Nicolò di Sarcedo, S. Silvestro di Cortelà, S. Benedetto delle Selve, S. Pietro in Costa di Carbonara.

L’influenza sulle chiese e le pievi viciniori citate possono dare un’idea della sua potenza economica e sociale e anche alcuni monasteri come san Fermo, san Giorgio di Campretto, san Benedetto di Ficarolo, facevano capo a Praglia. Significative erano poi le produzioni: vino, olio, miele, coltivazione di erbe medicinali per decotti, creme e rimedi naturali.

Le soppressioni napoleoniche

Il monastero prosperò fino al 1810, l’anno delle soppressioni napoleoniche che colpirono molti monasteri, abbazie, chiese e certose dei territori conquistati, con vandalismi, ruberie di ogni sorta e spoliazioni (in particolare ci fu il trasferimento da Praglia a Milano del polittico di Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini). Fortunatamente l’Austria, subentrata a Napoleone, nel 1834 ripristinò il monastero, nuovamente però soppresso dal governo italo/piemontese con la legge del 1866 che aboliva le congregazioni religiose. L’abbazia venne spogliata dei fondi che fino ad allora aveva amministrato e di dipinti, libri, archivio, mobili e arredo sacro.

Fig. 4 – Antonio Vivarini, Giovanni d’Alemagna, Madonna in trono col Bambino

Nel luglio 1882 chiostro botanico, chiostro pensile, biblioteca e chiesa furono dichiarati monumento nazionale, ma la chiesa venne chiusa al culto e il complesso abbaziale fu in parte adibito ad attività civili, in parte ceduto a privati con rischio di degrado e abbandono. I benedettini, rifugiatisi in Istria, poterono rientrare in abbazia solo nel 1904 dopo averla acquistata all’asta. Iniziò il recupero con il restauro della parte adibita ad abitazione dell’abate.

La storia recente

Dopo Caporetto, il monastero divenne acquartieramento di truppe italiane, francesi e inglesi, durante la seconda guerra mondiale, i monaci salvarono numerosi civili e militari, ebrei e ariani, connazionali e stranieri, religiosi e secolari, e l’abbazia custodì importanti tesori artistici, compresi i cavalli bronzei della basilica di S. Marco. In questo periodo la comunità raggiunse uno sviluppo mai registrato prima e si rese autonoma riuscendo a rivitalizzare anche il Santuario del Monte della Madonna di Teolo. Nel 1954 papa Pio XII ha elevato la chiesa alla dignità di basilica minore

La chiesa, il monastero e l’ampia scalinata

L’abside fu realizzata verso il 1530 da Domenico Campagnola. L’edificazione della chiesa dedicata a Santa Maria Assunta ebbe inizio nel 1490 su disegno di Tullio Lombardo con successivi e radicali interventi di Andrea Moroni, architetto attivissimo a Padova (palazzo Moroni, Santa Giustina, Certosa di Vigodarzere e, forse, palazzo del Bo); la facciata è di tipo barocco, la pianta è a croce latina, a tre navate. La chiesa, all’esterno, si presenta scenograficamente con un’ampia scalinata che conduce a un piazzale sopraelevato fino al portale d’ingresso, pure opera del Moroni.

Fig. 5 – Santa Maria Assunta di Praglia e la scalinata monumentale

All’interno si trovano opere di pittori veneti dei secoli XVI-XVII, tra cui l’Ascensione di  Cristo di Domenico Campagnola, nel catino absidale mentre, come detto a proposito delle spoliazioni napoleoniche, il polittico raffigurante nelle due tavole centrali una Madonna con Bambino e una Deposizione tra dodici figure di santi di Antonio Vivarini e Giovanni  d’Alemagna si trova ora presso la pinacoteca di Brera a Milano.

I quattro chiostri

Come spesso nei monasteri benedettini, quattro sono i chiostri, ognuno con funzioni specifiche: doppio o della clausura, botanico, pensile e rustico. Molto interessante il chiostro botanico, ora adibito a giardino, in origine alla coltivazione delle piante officinali la cosmetica e per l’attività di produzione di infusi, decotti, tisane a scopo anche terapeutico per l’erboristeria/spezieria ad uso sia dei monaci che dei visitatori, tradizione che perdura tutt’oggi con la produzione di dolci, miele, marmellate e di creme e profumi, con l’utilizzo di prodotti naturali, secondo antiche ricette e, naturalmente, un’ampia produzione di vini di qualità; colonne di marmo rosso e di pietra bianca s alternano ad abbellire i lati del chiostro;

il chiostro doppio, detto anche della clausura, su cui affacciano le celle dei monaci;

il chiostro pensile detto anche del Paradiso, al primo piano con colonne e capitelli finemente lavorati e quattro piani inclinati per raccogliere l’acqua piovana; intorno si trovano le parti più significative del monastero: la chiesa, il refettorio monumentale, la biblioteca antica, il capitolare e la clausura;

Fig. 6 – Il Chiostro pensile

e, infine il chiostro rustico, deposito degli attrezzi agricoli, che dà alla foresteria e al centro per le attività culturali.

Il refettorio monumentale, è forse l’ambiente più suggestivo e insieme caratteristico, in quanto vi si svolge buona parte della vita dei monaci; al suo interno si trovano il magnifico arredo ligneo, una grande Crocifissione, dipinto di Bartolomeo Montagna, alcune tele dello Zelotti e un pulpito in marmo usato come leggio. (V. nel sito l’articolo di S. Carotta su Praglia).

Fig. 7 – Il refettorio

La biblioteca, ricchissima (100.000 volumi, con buona parte della biblioteca di Antonio Fogazzaro, frequentatore della abbazia, è monumento nazionale ed è punto di riferimento mondiale per il restauro di libri antichi, codici, incunaboli, pergamene. Una scena del romanzo di Antonio Fogazzaro Piccolo mondo moderno sono ambientate a Praglia. 17 tele del ‘500 di G.B. Zelotti sono inserite negli scomparti del soffitto in legno.

Fig. 8 – La biblioteca

Particolare cura è dedicata alla apicultura e ai 10 ettari di vigneto che danno ancora oggi, con un millennio di storia alle spalle, ottimi vini della tradizione come il garganega, il friularo, il moscato fiordarancio secondo il motto benedettino: Ora et labora.

Nota: Alcune notizie sono tratte da: Callisto Carpanese e Francesco Trolese (a cura di…), L’abbazia di Santa Maria di Praglia, Milano, Silvana editoriale, 1985

Alessandro Cabianca

Immagini:

Fig. 2: Di Zavijavah – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3688176
Fig. 3: https://www.benedettinisublacensicassinesi.org/project/abbazia-di-santa-giustina/
Fig. 4: https://www.gallerieaccademia.it/madonna-trono-col-bambino-nel-giardino-paradisiaco-con-i-dottori-della-chiesa-i-santi-agostino
Figg. 5 – 8: Di Antonio Fiorito

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