Le spoglie dell’evangelista San Luca nella Basilica di Santa Giustina e la parabola del buon samaritano

Abstract

A Padova, nella basilica di Santa Giustina, in un’arca marmorea sono conservate le ossa di San Luca, il terzo evangelista, autore, tra l’altro, delle più belle parabole del Nuovo Testamento. L’estensore del presente articolo, dopo aver tracciato il profilo del Santo, si sofferma a commentare la parabola del buon samaritano, che insegna il valore sublime della Carità.

Le cupole della Basilica di Santa Giustina

Breve profilo di San Luca

Nato ad Antiochia di Siria nel 9 dopo Cristo da una famiglia pagana, San Luca è l’unico non ebreo dei quattro evangelisti. Pare svolgesse la professione di medico e, al contempo, si dilettasse a dipingere quadri, o a realizzare icone. In ogni caso, fu senz’altro uno scrittore delicato e coscienzioso, di vasta mentalità, oltre che profondo conoscitore della lingua greca (Dante, nel “De Monarchia”, lo definirà “scriba della mansuetudine di Cristo”). Amico e collaboratore dell’apostolo Paolo, pur essendo di origini siriane – come accertato dalle ultime indagini scientifiche – apparteneva al ceto intellettuale del mondo ellenista.

San Luca Evangelista, opera di Vladimir Borovikovskij (Wikipedia)

Scrisse il suo Vangelo tra il 64 e il 70 d.C. con l’afflato ed il tocco di un poeta. Ma conosceva così bene i dettagli relativi all’Annunciazione, alla visita di Maria ad Elisabetta, alla nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, alla presentazione del Bambino al tempio, alla fuga della Sacra Famiglia in Egitto, alla strage degli Innocenti e, in genere, agli avvenimenti attinenti all’infanzia di Gesù, forse perché aveva intrecciato rapporti significativi con la Madonna, oramai pressoché ottuagenaria, ospite a Gerusalemme (e poi ad Efeso) nella casa del futuro evangelista Giovanni. Conseguentemente, doveva aver conosciuto anche Giovanni, il più giovane degli apostoli.

D’altra parte, all’inizio sella sua narrazione, egli si rivolge ad un certo Teofilo (un personaggio influente del suo tempo, o un suo discepolo?), spiegandogli d’essersi preparato alla redazione del Vangelo dopo aver effettuato un’accurata indagine. Ed ecco, infatti, le sue testuali parole: “Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scrivere per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (Lc, prologo 1-4).

Grazie alle scrupolose ed oculate indagini di Luca, che volle aggiungere in coda alla narrazione evangelica un libello dallo stile elegante, intitolato “Gli Atti degli Apostoli”, oggi siamo in grado di conoscere come nacque, maturò e si diramò la prima comunità cristiana dopo la resurrezione di Cristo. In altre parole, negli “Atti” l’autore presenta, nelle grandi linee e nei momenti essenziali, lo sviluppo della Chiesa per un arco di tempo che va dall’anno 30 all’anno 63.

Le spoglie di San Luca nella basilica di Santa Giustina

Secondo San Girolamo, autore della cosiddetta “Vulgata”, il quale ebbe a tradurre in latino, dal greco, l’Antico Testamento e i Vangeli, nella seconda metà del IV secolo le ossa del nostro evangelista furono dapprima traslate nella famosa basilica di Costantinopoli; poi, grazie all’intraprendenza di un prete di nome Urio, custode, appunto, di quella chiesa e risoluto a voler salvare le preziose reliquie dalla furia degli iconoclasti, in seguito ad innumerevoli peripezie furono portate a Padova, nella basilica di Santa Giustina, dove tuttora si trovano in un’arca marmorea. San Luca, patrono degli artisti, dei medici e dei notai, del quale si celebra la festa il 18 ottobre, è l’autore delle più belle parabole evangeliche: la pecorella smarrita, la moneta perduta, il figlio prodigo, l’amministratore infedele, il giudice iniquo, il ricco stolto, il fariseo e il pubblicano, il buon Samaritano…

Su quest’ultima parabola, di straordinaria efficacia, vogliamo spendere due parole, poiché il suo contenuto insegna il valore sublime della Carità cristiana, intesa come perfezione dello spirito umano. Luca mette in evidenza il profondo significato della misericordia e della compassione, virtù che rispecchiano e glorificano la natura o l’essenza di Dio. È una pagina splendida anche dal punto di vista letterario e, nella traduzione italiana del testo latino del menzionato San Girolamo, presenta questo “incipit” suggestivo ed essenziale: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti […].

Basilica di Santa Giustina, il Sarcofago di San Luca

La parabola del buon samaritano

 Ma andiamo per gradi. Cos’è precisamente una parabola letteraria? Consiste nella narrazione breve e stringata di un novella, in genere tratta dalla vita pratica, allo scopo di spiegare a chi legge, od ascolta, un concetto di per sé difficile e complesso con uno più semplice e suggestivo, atto a rimanere impresso nella memoria. Solitamente, la parabola sottintende un insegnamento di carattere religioso, morale, educativo, o filosofico, e, in particolare nei Vangeli, presenta una mescolanza di vari generi letterari, il cui principale è senz’altro l’allegoria.

Alcuni esegeti ritengono che questo genere debba essere definito ed interpretato come quello di un “racconto esemplare”. In altre parole, l’eroe centrale della parabola viene proposto come modello “forte” da imitare. E poiché il nucleo della narrazione contiene sempre una sfida che dà impulso all’azione, nei Vangeli detta provocazione non può che spingere sempre ad operare il bene, ma nel grado più alto.

Per meglio comprendere il passo evangelico in oggetto, partiamo dal contesto iniziale del racconto di S. Luca (10,25–37), dove si vede Gesù che, durante la sua predicazione, viene attaccato da un dottore della legge, il quale, subdolamente e per metterlo alla prova, gli chiede: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”.

Pacatamente, Gesù gli risponde: “Cosa sta scritto, secondo te, nella Legge? Cosa vi leggi?”. L’interlocutore allora soggiunge: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E il Maestro: “Hai risposto bene: fa’ questo e vivrai” [cioè erediterai la salvezza per la vita eterna]”. Ma il giureconsulto non demorde e, forse sperando di prendere in castagna il Rabbi, o forse volendo semplicemente giustificarsi, chiede ancora: “E chi è il mio prossimo?”.

A questo punto Gesù, agganciando l’attenzione dell’uditorio, inizia il suo racconto con questo “incipit” solenne: “Homo quidam descendebat ab Hierusalem in Hiericho et incidit in ladrones […]”. E sono parole scarne, essenziali e potenti, che trasmettono agli astanti la natura assoluta ed illimitata del dovere dell’Amore. Eccone il testo italiano nella traduzione della CEI:

 Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che si trovava in viaggio [era diffusa l’opinione che i Samaritani discendessero esclusivamente dagli stranieri pagani: perciò, tra ebrei ortodossi e samaritani eretici non correva buon sangue], passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino: gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Come a significare che, difronte ad una persona sofferente o bisognosa, non ci è lecito ignorare e “passare oltre”, ma dobbiamo assolutamente “fermarci”. Ogni indifferenza ci renderebbe gravemente colpevoli.

G. Conti La parabola del Buon Samaritano
Messina Chiesa della Medaglia Miracolosa
Casa di Ospitalità Collereale. (Wikimedia Commons)

Aiutare il prossimo sempre? Sì, ma…

Tuttavia, dopo aver meditato su questa parabola, ci sono sorti alcuni dubbi, per cui ci siamo rivolti ad un docente di teologia, il domenicano padre Angelo Bellon, che cura in internet una seguitissima rubrica, rispondendo a numerose domande in materia, appunto, di teologia morale e spirituale, nonché di liturgia e pastorale e di Sacra Scrittura, e gli abbiamo posto il seguente quesito: “Il buon Cristiano ha sempre l’obbligo di difendere ed aiutare il prossimo in grave pericolo, anche a costo di mettere a repentaglio la propria vita, oppure è tenuto ad intervenire solo dopo aver rapidamente valutato se esista un margine di sicurezza per sé? Ci chiediamo, infatti, se sia più importante la vita del prossimo o la nostra vita.

 Chi, ad esempio, testimone di una violenza che sta per compiersi ai danni di una persona, non ne prendesse immediatamente la difesa per timore d’essere a propria volta aggredito, ma s’allontanasse magari allo scopo di telefonare agli organi di polizia, o per recarsi direttamente a fare la denuncia, sarebbe in coscienza responsabile di una grave omissione? Tenendo presente che perdere tempo, in tali circostanze, potrebbe risultare fatale per la vittima. E chi, viaggiando in auto per una strada buia e deserta, s’accorgesse che sul margine della carreggiata è distesa una persona “presumibilmente ferita”, avrebbe l’obbligo morale di fermarsi e di scendere, pur non escludendo il rischio di trovarsi in un’imboscata (supponiamo il trucco di malintenzionati)? O non sarebbe meglio che tirasse avanti, con l’intenzione d’avvertire al più presto, magari con il telefonino a disposizione, chi di dovere? Insomma, gli insegnamenti della parabola del buon samaritano si devono sempre osservare alla lettera? Se la risposta fosse positiva, ci chiederemmo, non senza qualche perplessità, che senso avrebbe la virtù della Prudenza”.

Ed ecco il responso laconico, ma pressoché immediato, di padre Bellon: “Carissimo, in teologia si dice che, in queste situazioni in cui ne va la vita o la morte, lo Spirito Santo aiuta il credente con il dono del consiglio, che è il terzo dei suoi sette doni (gli altri sono: sapienza, intelletto, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio). In ogni caso bisogna valutare, nella fattispecie secondo prudenza, cosa sia prioritario fare, per poi agire di conseguenza”.

La Parabola scolpita in cinque pannelli all’Ospedale San Raffaele – Milano

Enzo Ramazzina

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