San Martino di Brogliano, la pieve più antica della Valle dell’Agno

Vicenza sorprende per Padova Sorprende

Abstract

Diversi sono i motivi per cui la pieve di san Martino di Brogliano è degna di essere menzionata: è l’edificio più antico della Valle dell’Agno; è stata la pieve della valle, la chiesa madre di tutte le parrocchie della vallata che da essa sono derivate; sullo spigolo sinistro della costruzione è inglobata una pietra di grande interesse storico, senz’altro più antica della  chiesa stessa, con la rappresentazione da una parte di un personaggio,  forse un guerriero longobardo, e dall’altra di due pavoni che stanno bevendo ad un cantaro; al suo interno racchiude reperti di grande interesse storico-artistico.

La facciata della pieve di San Martino con la parete sinistra e il corpo della cappella della Madonna (Libero/Digiland/ siti)

L’ambientazione storica: il periodo romano

La chiesa sorge in un luogo dove in età romana esisteva un pagus, un villaggio; infatti lungo il torrente che  interessa questo territorio, a qualche decina di metri,  è stata trovata una lapide databile tra il secondo ed il terzo secolo d.C., quindi non molto prima del processo di cristianizzazione della valle, dedicata al duoviro edile Lucio Heio Calaesio e alla moglie Gallia Quartina Seconda. Il fatto che L. H. Calaesio sia definito duoviro della tribù Collina fa supporre che fosse a capo di una comunità che non godeva ancora dei pieni diritti di cittadinanza romana: Vicenza , come tutte le comunità con pieno diritto di cittadinanza romana, era governata da quadrumviri e apparteneva alla tribù Menenia. Questo ci porta a supporre che siamo in un comprensorio dove erano presenti tribù precedenti la romanizzazione, forse i cosiddetti Euganei di cui ci parlano Plinio e Catone; inoltre, poiché altre due lapidi riguardano due personaggi detti “Dripsinates”, considerato che vi è una indubbia assonanza tra “Dripsinates” e Trissino, località abbastanza vicina al sito in questione, non siamo molto lontani dalla realtà se ipotizziamo che ci si trova in quest’area culturale.

La cristianizzazione

Sappiamo come è avvenuta la diffusione del Cristianesimo alle origini: prima ha interessato le città per poi di qui irradiarsi nelle periferie, nei borghi, nei villaggi, nelle campagne. In città sorse la cattedrale e lì accanto era la casa dei sacerdoti che vivevano in comunità con a capo il vescovo che nella cattedrale aveva la cattedra; essi officiavano nelle diverse cappelle urbane e suburbane per poi allargarsi verso realtà più lontane. In seguito dalle cattedrali si emanarono nei borghi più lontani le pievi, centri dei territori circostanti con comunità di sacerdoti e chierici che solitamente vivevano in comune attorno al sacerdote più anziano, l’archipresbyter, ma che lentamente si staccarono per andare a vivere dove sorgevano cappelle limitrofe da esse derivate: sorsero così a volte nuove pievi e da queste ultime le parrocchie. Ciò avvenne anche per la Valle dell’Agno che dapprima come pieve faceva riferimento alla chiesa di santa Maria di Montecchio Maggiore dalla quale derivò più tardi la pieve di San Martino, ora nel territorio comunale di Brogliano: in essa si celebravano le festività più importanti dell’anno, si somministravano i battesimi, si svolgevano i funerali e, dal punto di vista civile, nel suo sagrato, o anche al suo interno, con il maltempo si riuniva la comunità per le decisioni più importanti. Poi nei borghi circonvicini cominciarono a sorgere delle cappelle officiate dapprima dai religiosi della comunità centrale che pian piano però presero a staccarsi e ad organizzarsi in forma autonoma continuando a riconoscere alla chiesa madre, la pieve di San Martino, alcune prerogative anche economiche.

Il campanile e l’esterno sud-est della pieve (vicenzatoday.it)

La pieve: la struttura

L’attuale chiesa, posta su un dosso, una piccola altura poco discosta dal corso del torrente Agno, così come si presenta, nella struttura essenziale, è forse del 1100 – 1200, e probabilmente è un rimaneggiamento di una precedente il Mille. A conferma ricordiamo la relazione di una visita del vescovo Michele Priuli del 1580, dove, se l’interpretazione è esatta, si dice che essa presentava due absidi, caratteristica questa di chiese vicentine sorte attorno al 900-1000, se non già dell’ottocento. Non è la prima chiesa presente sul luogo poiché nel 1938, dopo il ritiro dell’acqua del torrente, che era esondato, furono portati alla luce i resti di una chiesa precedente, sorta probabilmente durante l’insediamento longobardo: come i Longobardi si siano insediati e come si siano inseriti nella comunità preesistente non è dato sapere. Fu forse proprio in seguito a esondazioni dell’Agno che fu deciso di edificarla un po’ più in alto. All’esterno si presenta in modo non molto elegante a causa anche di manomissioni avvenute nel tempo, tra cui, in facciata, l’estendersi dell’unico spiovente che va ad appoggiarsi ad una struttura campanaria piuttosto pesante: sullo sviluppo del corpo della fabbrica gli spioventi sono due. Degna  di nota è una pietra angolare scolpita che compare sullo spigolo sinistro della facciata raffigurante un personaggio dai capelli lunghi e diritti divisi sul capo da una discriminatura centrale, con veste che arriva fin sotto le ginocchia e con lancia in mano: si tratta probabilmente della rappresentazione di un guerriero longobardo, così come è descritto da Paolo Diacono nella sua storia dei Longobardi; sull’altro lato compaiono due pavoni uno di fronte all’altro con la testa sopra un piccolo cantaro. Il manufatto proviene quasi certamente dalla cappella distrutta dalle acque impetuose del torrente.

L’interno

L’interno è più armonioso, con un’unica navata con copertura a capriate ed è subito individuabile lo stile romanico. Un’ampia apertura con arco ribassato affiancata da due altari divide la navata dall’abside, dove contro la parete terminale è appoggiato l’altare maggiore sul quale si officiava fino alla recente riforma introdotta dopo il Concilio vaticano II. Un altro altare è posto in una cappella che si trova a tre quarti della parete sinistra: tutti questi altari sono di stile barocco. La controfacciata presenta una piccola finestrella e a destra, a due metri circa da essa e dalla parete laterale, una bella colonna romanica che sorregge l’angolo interno del campanile da cui partono due archi a tutto sesto a sorreggere le due pareti che iniziano all’interno della chiesa, mentre le partenze delle altre due sono incorporate sulle murature della facciata e della parete destra. Oltre le balaustre che delimitano l’abside è posto un bellissimo altare settecentesco che anteriormente presenta ai lati due angeli scolpiti e nella parte centrale, su una campitura chiara, una esposizione di fiori dipinti e al centro una forma ottagonale con il dipinto di san Martino che dona parte del mantello ad un povero. L’altare è sormontato da un bellissimo tabernacolo che sul retro riporta la data del 1672 e il nome dell’autore. Fino a qualche decennio fa c’erano anche dei candelabri altrettanto belli, pure coperti da doratura, che però sono stati trafugati e mai più rinvenuti. Attaccata alla colonna che sorregge un angolo del campanile c’è una pietra a 12 facce alta circa 50 cm.; sulle facce sono scolpite delle piccole porte: è evidente l’intento simbolico del manufatto che va attribuito ad epoca piuttosto antica. Il 12 è un numero molto presente nella bibbia: 12 sono le tribù ebraiche, 12 gli apostoli, 12 le porte del paradiso, ecc. Attualmente nella parte superiore mostra uno scavo perché utilizzato come acquasantiera. Sulla parete destra in alto compaiono un paio di aperture ad arco molto strette che forse sono le prime finestrelle della chiesa d’origine, mentre altre aperture molto più grandi sono successive. Sempre sulla parete destra, ad un’altezza di un metro circa, compaiono alcuni affreschi straordinari, riportati alla luce grazie a ricerche piuttosto recenti, in parte distrutti per l’apertura di una porta. È rimasto pressoché integro l’affresco raffigurante la Trinità, con Dio Padre assiso in trono mentre sostiene il Figlio in croce e tra i due è raffigurata una colomba, simbolo dello Spirito Santo.

All’interno della pieve si notino: l’arco ribassato che divide la navata dall’abside; l’altare barocco a ridosso della parete terminale dell’abside; l’altare settecentesco con il tabernacolo del 1672; i due altari barocchi ai lati dell’arco; parte dell’arco che apre alla cappella laterale della Madonna, aggiunta posteriore sulla parete di sinistra; sulla parete destra parte degli affreschi, in particolare l’affresco della Trinità; il soffitto a capriate. (parrocchiadibrogliano.it)

Oggi

In età moderna ha preso sempre più importanza il centro più a sud, oggi Brogliano, divenuto parrocchia, forse perché lo spazio a disposizione era molto maggiore, mentre il villaggio di San Martino, stretto tra il colle di Bregonza e il torrente Agno, venne a perdere la sua funzione e la sua importanza, e la pieve, non essendo parrocchia e non più centro della religiosità della valle, divenne chiesa cimiteriale, periferica, e il cimitero è rimasto fino ad oggi, anche dopo le disposizioni napoleoniche in materia.

Nota

L’altare che si trovava tra le balaustre dell’abside e che ora è posto in alto a ridosso della parete di destra è detto settecentesco come è riportato del resto nella pubblicazione della parrocchia di Brogliano del 2010 perché lo si riteneva di quel periodo. Verosimilmente invece è un bel manufatto del ‘500, quindi precedente l’attuale altare maggiore di epoca barocca dedicato a San Martino sul quale è posto il tabernacolo in legno dorato datato 1672 che in realtà molto probabilmente era stato concepito come completamento dell’altare ligneo cinquecentesco, poi rimosso per lasciare posto all’attuale altare marmoreo e riutilizzato come pulpito.

Federico Cabianca

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