Curiosità nella toponomastica di Abano Terme

Abstract

 Sono 24 le strade del Comune di Abano Terme che portano il nome di illustri letterati italiani (poeti, commediografi, romanzieri). E nei pressi della cittadina termale, Ugo Foscolo prese appunti per la stesura dello “Jacopo Ortis”.

L’attuale toponomastica di Abano

Le vie della città di Abano Terme sono complessivamente 233. Di esse, 16 recano il nome di un Santo, 24 quello di un letterato, 26 quello di un musicista, 19 il toponimo di un colle, 12 il nome di un pittore o di uno scultore, 9 la denominazione di un’antica via romana o il nome di un personaggio del mondo della latinità, 8 la data di un avvenimento storico, mentre 7 strade fanno riferimento ad alberi con nomi di particolare suggestione eufonica, come “Via dei Castagni”, “dei Ciliegi”, “degli Olmi”, “dei Roveri”, “dei Tigli”, oppure “Via Rio Caldo”, o “Via Calle Pace”. I rimanenti percorsi stradali sono dedicati a scienziati, esploratori, filosofi, storici, campioni dello sport, patrioti, uomini politici, eminenti personaggi locali del passato, o a luoghi piuttosto generici (Via dei Colli Euganei, Via del Lazzaretto, Via Ponte della Fabbrica, Viale della Stazione, Viale delle Terme…).

        Esplorando attentamente la cartina toponomastica del Comune, siamo rimasti incuriositi nel rilevare che esiste anche “Via 10 Dicembre”. Chiesto a diverse persone del luogo se sapevano cosa fosse accaduto in un certo 10 dicembre di un certo anno della nostra storia, nessuno è stato in grado di soddisfarci.

Abano Terme, Viale delle terme

 Soggiorno di celebri letterati

Come accennato, dunque, oltre una ventina di vie appartenenti alla città termale sono intitolate a celebri autori della letteratura italiana. Per la curiosità dei nostri lettori, ecco, in ordine alfabetico, l’elenco degli scrittori e dei poeti più significativi rappresentati sulle apposite tabelle stradali: Abba, Barbieri, Bembo, Boccaccio, Boito, Borsi, Fogazzaro, Foscolo, Gozzi, Parini, Pellico, Petrarca, Prati, Reni, Ruzzante, Serra, Tommaseo, Vergani, Zanella…

Pochi di loro, però, ebbero a che fare con Abano, se si esclude Pietro Bembo, la cui villa, denominata appunto “la Bembiana”, sorge a pochi chilometri dal centro, nella frazione di Monterosso (per quanto la notizia secondo cui il celebre umanista vi abbia effettivamente soggiornato non poggi su solidi riscontri storici); oppure Antonio Fogazzaro che, dopo aver sostato brevemente nella città termale, si ritirò a meditare nel monastero benedettino di Praglia, dove attese alla stesura di alcuni capitoli del romanzo “Piccolo mondo moderno”; o il poeta Giacomo Zanella, rettore e docente all’Università di Padova, e poi preside del liceo classico “Tito Livio” di quella città, nonché autore, tra l’altro, de “L’Astichello”, un poemetto composto esclusivamente da sonetti.

Nessuna delle amministrazioni locali, tuttavia, ha mai avuto l’idea d’aggiornare la toponomastica stradale del territorio comunale dedicando qualche piazza o qualche strada a letterati che, sicuramente, trovarono ad Abano ospitalità ed ispirazione, come Goldoni, Casanova, Tasso ed altri.

Carlo Goldoni, ad esempio, recandosi in visita alla città termale, conosciuta fin dall’epoca romana per le sue acque benefiche, ebbe l’idea di scrivere il libretto d’opera “I bagni di Abano” per la musica di Baldassarre Galuppi; Giacomo Casanova, invece, nel 1779, soggiornò a Villa Mocenigo Mainardi, avendo modo d’ammirarne la solidità costruttiva, come lo stesso ricordò nelle sue “Memorie”; Torquato Tasso ebbe la ventura, proprio ad Abano, d’innamorarsi per la prima volta di una certa Lucrezia Bendidio, di cui decantò la dolcissima voce nel suo primo canzoniere amoroso.

 Il Foscolo e lo “Jacopo Ortis”

Va dato atto, però, che gli Abanesi (od Aponensi) non si sono dimenticati di intitolare una delle vie più lunghe della città ad Ugo Foscolo, che, nell’estate 1796, in località Feriole, scrisse alcuni passi del celebre romanzo “Jacopo Ortis”.

A questo grande poeta, rifugiatosi sui Colli Euganei in seguito al vergognoso trattato di Campoformio, con il quale Napoleone aveva ceduto Venezia all’Austria (alcuni sostengono, più che altro, per sfuggire ad un’incombente epidemia di vaiolo; altri per sottrarsi alla persecuzione degli austriaci; altri ancora, per una delusione d’amore), la nota città termale avrebbe dovuto dedicare non una semplice via, ma un monumento. E vediamo il perché.

A circa quattro chilometri dal centro termale, sulla strada, appunto, delle Feriole, si scorge sulla destra Villa Gottardo, già Cittadella-Vigodarzere. Più che per l’architettura – tipico esempio di villa agricola tardo-settecentesca, impreziosita da un tempietto rotondo neoclassico – il complesso è famoso perché, come dicevamo, ospitò, dall’agosto al settembre 1796, l’autore dei Sepolcri proprio nel periodo in cui stava scrivendo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”. Sul muro di cinta, che fiancheggia il cortile con un alto porticato, si può riconoscere, ancor oggi, uno dei luoghi descritti dal poeta.

Nessuno può mettere in dubbio l’importanza di quest’opera letteraria: una pietra miliare, che aprì la serie della nostra narrativa epistolare di tipo laico-patriottico. Al punto che, opportunamente pubblicizzato, il luogo della stesura del libro potrebbe diventare, con l’accordo degli attuali proprietari della villa, un’accattivante mèta di turismo culturale. Ma come sia nato questo interessante lavoro della nostra letteratura, molti lo ignorano.

Padova, Loc. Feriole, Villa Gottardo

La misera fine di Girolamo

A Padova, in via Cesarotti, al numero 1 di Piazza del Santo (in fianco alla basilica di S. Antonio), aveva sede il “Collegio Pratense”, che il cardinale Pileo da Prata, vescovo della città, aveva fondato per gli studenti poveri dell’Università. Era frequentato, soprattutto, da quelli provenienti dal Friuli, tanto da essere ribattezzato “Collegio dei Friulani”. Fu qui che, nell’aprile 1796, si suicidò lo studente Jacopo Ortis da Vito d’Asio, alla cui vicenda si sarebbe ispirato, appunto, il poeta de “I Sepolcri”.

Nessuno riuscì mai a sapere perché Jacopo Ortis – che in realtà si chiamava Girolamo – promettente studente dell’ultimo anno di medicina – si sia ucciso, dopo quattro giorni di febbre, il martedì dopo Pasqua di quell’anno, dandosi due coltellate al petto ed una alla gola. Pare gli mancassero solo alcune settimane per sostenere l’esame finale di laurea.

Ma sulla misera sorte di Girolamo corsero subito voci inquietanti. La più accreditata sosteneva che lo studente in questione fosse stato “drogato” da un medico inesperto, che gli avrebbe propinato un farmaco stimolante ma tossico, la “Epichequama” (peraltro non reperibile nelle farmacopee dell’epoca), forse per aiutarlo a superare la paura dell’esame, o allo scopo di guarirlo da una profonda depressione causatagli da una delusione amorosa. Fatto sta che, dopo aver assunto la droga, il giovane cadde in un delirio simile a pazzia.

 Uno scandalo in famiglia

Lo studente suicida aveva tre fratelli sacerdoti che, ritenendo un disonore il dolorosissimo evento, ossia che un loro stretto congiunto si fosse consapevolmente dato la morte venendo meno al comandamento divino di non uccidere (valevole, ovviamente, anche per coloro che intendono sopprimersi), ottennero la celebrazione dei  funerali secondo i riti della religione cattolica ed “absente corpore defuncti” (“assente la salma del morto”). Sui registri di stato civile e della parrocchia, inoltre, si evitò molto attentamente di accennare al fatto suicidario.

Durante il soggiorno alle Feriole, dunque, Ugo Foscolo venne a conoscenza, forse da fonti locali, di quella drammatica notizia di cronaca e concepì l’idea di scrivere un romanzo autobiografico epistolare, quali si usavano nel Settecento, come la “Nouvelle Heloïse” del Rousseau e “I dolori del giovane Werther” di Goethe. Costruendone la trama, basata soprattutto su motivi amorosi e politici, immaginò che le lettere dello sfortunato studente Jacopo  venissero raccolte dall’amico Lorenzo Alderani (forse il letterato Gian Battista Niccolini, che l’autore conobbe a Firenze).

Saturo di sconfortata malinconia, il romanzo, come ognuno sa, si conclude con l’apologia del suicidio, che gravi effetti deleteri ebbe ad esercitare sui giovani del tempo, tanto che il Foscolo, preso da una crisi di coscienza, successivamente si pentì d’averlo scritto.

A conclusione del presente articolo, segnaliamo, per completezza, che la città di Abano Terme è dotata anche di 12 piazze ampie ed accoglienti e di uno slargo (o largo) dedicato a Gugliemo Marconi,  e che l’ultimo piazzale, intitolato al “Beato fra Simone da Camerino”, è stato inaugurato il 28 maggio 2022 in località Monteortone, dove sorge il santuario quattrocentesco della Beata Vergine della Salute.

Enzo Ramazzina

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