Giacomo Zabarella e le reliquie antoniane

Abstract

La riscoperta di un documento dell’ultimo scorcio del Seicento riaccende la ricerca su alcune reliquie di Sant’Antonio di Padova inviate a Venezia e conservate nella Basilica della Salute. Il documento dà conto anche di alcuni frammenti conservati a Bologna dentro una teca ricavata dal legno del famoso noce in una chiesetta demolita nel 1798 di cui si è persa traccia, e di altri frammensi conservati nella chiesa di Zugliano nell’alto vicentino.

Il documento

I frati minori conventuali di Camposampiero (PD) conservano, nella loro biblioteca, un documento di straordinario interesse: un atto notarile del conte Giacomo Zabarella, raccolto in una pubblicazione autentica del 1670, intitolata Aula Zabarella, sive elogia illustrium Patavinorum conditorisque Urbis (“Casa Zabarella, o gli elogi dei patavini illustri e del fondatore della città”), da cui emergono due notizie importanti: 1) Sant’Antonio è anche protettore di Venezia; 2) il famoso noce, su cui il Santo pregava e predicava, è esistito davvero. In questo documento, di cui, in occasione delle celebrazioni antoniane (1995), abbiamo provveduto a curare la trasposizione integrale in un bell’italiano corrente, si racconta di un fatto singolare.

Una teca con un avambraccio di Antonio inviata a Venezia

Quando, nel 1652, la Repubblica di Venezia elesse Sant’ Antonio come suo patrono, chiese ai padovani un’insigne reliquia del Taumaturgo. Il vescovo di Padova, monsignor Giorgio Cornaro, in una cerimonia solenne e alla presenza dei rettori della città Andrea Pisani e Sebastiano Giustiniano, del padre guardiano Vincenzo Folina (o Foligno), del menzionato conte Giacomo Zabarella e del notaio Antonio Zaniolo, estrasse da una preziosa teca l’osso, o radio, dell’avambraccio sinistro di Antonio; lo segò e ne inviò un pezzo ai veneziani, che decisero di costruire, nell’erigenda Basilica della Salute, un altare in onore del Santo, al fine di scongiurare l’assedio, da parte dei Turchi, della città di Candia (isola di Creta). Nell’eseguire l’operazione, il prelato produsse dei frammenti, che pensò di ripartire tra le persone illustri presenti. Alcune schegge furono assegnate anche allo Zabarella che, in quel periodo, ricopriva la carica di presidente della Veneranda Arca del Santo in Padova.

Alcuni frammenti conservati a Bologna

Per conservare questi sacri frammenti, il nobile padovano decise di realizzare una reliquia, a forma di croce, con il legno del noce (o della sua ceppaia?) che ancora fioriva vicino al convento di Camposampiero. La portò a Bologna e la fece collocare in una chiesetta denominata “Croce”, in cui riposavano le spoglie dei martiri Ermete, Aggeo e Caio dei Sabatini, avi e protettori del suo casato (essendo la sua schiatta, appunto, originaria di Bologna). Pare che la chiesetta sorgesse accanto ad un convento di monache, poiché, in calce al documento, sotto la frase “Redatto a Bologna, nella cappella dei Santi Vitale ed Agricola”, si leggono le firme di una quarantina di suore. Questi, per sommi capi, i fatti verbalizzati dal notaio dell’epoca.
Allo scopo, però, di far chiarezza su alcuni punti oscuri del documento, che ci impedivano di procedere nella traduzione, nella primavera del ’95 avviammo delle ricerche presso la Curia di Bologna, per sapere se esisteva, in quella città, una cappella dove fosse conservata una croce lignea del XVII secolo, racchiusa in un quadro, con incastonati alcuni frammenti di ossa e, in calce, lo stemma e l’anello degli Zabarella. L’allora sovrintendente all’archivio arcivescovile, Mario Fanti, ci rispose che la chiesetta in questione era stata demolita nel 1798, aggiungendo, però, che esisteva ancora la parrocchiale dei Santi Vitale ed Agricola, nell’omonima via S. Vitale, davanti alla quale sorgeva la cappella, mentre il reliquiario con la croce dello Zabarella, dopo lunghe vicende, era andato perduto. Quando scoppiò la bufera napoleonica, infatti, l’amministrazione centrale propose di demolire le chiese che, poste in mezzo alle strade, impedivano il traffico: nonostante l’opposizione dell’arcivescovo di Bologna, fu dunque eseguito l’atterramento della cappella. Allora il cardinale Andrea Gioannetti richiese ed ottenne il quadro con la reliquia, di cui – disse – voleva scrivere la storia. Morto il cardinale, il parroco di S. Vitale ne rientrò in possesso. Ma in San Vitale la reliquia non c’è.

 Altri frammenti, o forse gli stessi, si trovano in San Zenone a Zugliano (VI)

L’atto notarile dello Zabarella, comunque, accenna soltanto all’arrivo e alla collocazione del quadro in Bologna e raccoglie le disposizioni per la sua conservazione e custodia. Non spiega, tuttavia, che alcuni frammenti ossei, prodotti in quella famosa cerimonia dell’ 8 giugno 1652 dal vescovo Cornaro, furono poi consegnati al canonico Francesco Dondi dell’Orologio, che ne fece dono all’amico padovano Lazzaro Lazzaroni, arciprete di Zugliano, in provincia di Vicenza. Le reliquie furono inserite in un bozzolo d’oro, a sua volta racchiuso in una scatola d’argento, sigillata dalla Curia di Padova il 2 ottobre 1656, come attestò il notaio Gaspare Tusco (o Turco) di Thiene, il quale descrisse il cerimoniale nei minimi particolari. Oggi, dunque, la preziosa scatola si trova nella parrocchiale di San Zenone, a Zugliano, in un altare che ricalca pedissequamente – sebbene in minori proporzioni –  l’Arca del Santo di Padova.

Enzo Ramazzina

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