Le spoliazioni napoleoniche in Italia e nel Veneto

Abstract

Napoleone Bonaparte, il più grande razziatore di opere d’arte della storia.
Chi esalta il Napoleone grande condottiero finge di ignorare alcuni aspetti per niente secondari delle sue campagne d’armi: i più che cinque milioni di morti, per non parlare degli invalidi, degli sfollati, degli avversari ghigliottinati e, naturalmente, delle distruzioni, e ignora la razzia di opere d’arte operata ‘scientificamente’ in tutti i territori sottomessi. Perché ‘scientificamente’? Perché c’era da scegliere il meglio delle opere d’arte delle nazioni vinte per la gloria della Francia e di Napoleone, c’era inoltre da trasformare il museo del Louvre nel più importante museo al mondo.

Le spoliazioni napoleoniche in Italia

Le spoliazioni napoleoniche in Italia furono le più rilevanti: il Gruppo del Laocoonte, l’Apollo del Belvedere,i cavalli di San Marco (opera da alcuni studiosi attribuita all’artista greco Lisippo), a loro volta bottino di guerra dei crociati durante la conquista di Costantinopoli, i tanti capolavori di Raffaello, Perugino, Veronese, Andrea del Sarto, Tiziano, Correggio, i Carracci, Guercino, Domenichino, Guido Reni, Taddeo Gaddi, Lorenzo Monaco, Benozzo Gozzoli… Oggi se si vuole vedere un Mantegna si deve andare a Parigi, stesso discorso per la stupenda tela delle Nozze di Cana del Veronese, addirittura tagliata in pezzi per il trasporto.
Si dirà che tutte le guerre portano a questo, ma la sua rapacità nei confronti dell’arte dei popoli vinti lo rende il più grande predatore della storia con un solo altro che gli potrebbe rubare lo scettro: Hitler. Basti dire che tutto quello che era d’oro o d’argento nell’arte: statue, arredi, ornamenti, reliquiari, venne fuso per pagare le truppe, compreso il tesoro di San Marco, una quantità innumerevole di sculture, di codici miniati, di incunaboli, di manoscritti presero la via della Francia, altri libri preziosi furono bruciati o smembrati.

Chiese, abbazie, monasteri adibiti a caserme, magazzini, stalle

Per non parlare di conventi requisiti e trasformati in lazzaretti o in caserme e delle chiese abbattute o trasformate in magazzini, stalle o scuderie, come la Chiesa di Sant’Agostino a Padova, nell’area della attuale caserma Piave, una delle più belle della città, che di lì iniziò il suo declino fino all’abbattimento ad opera dell’Austria, subentrata nel governo del territorio veneto alla Francia. A facilitare le spoliazioni vennero emanati i decreti di soppressione di alcuni vescovadi, degli ordini religiosi, si procedette alla ‘riunione’ di molti conventi, con la dispersione dei monaci o delle monache, cui peraltro veniva assicurata la sussistenza, sotto forma di una pensione (con i soldi ricavati dalla vendita dei beni dei conventi e delle chiese o delle razzie di cui si è detto). Alcune opere sono rientrate in Italia dopo lunghissime trattative, altre no; resta ingentissima la perdita per quanto dovrebbe tornare nei luoghi dai quali è stato trafugato e non torna e per quanto irrimediabilmente distrutto.
Questo è solamente un breve cenno del danno irrimediabile prodotto al patrimonio artistico nazionale dalle guerre napoleoniche, ma vuole essere al tempo stesso un richiamo alle devastazioni che ogni guerra provoca, in qualunque parte del mondo, ancor più oggi che i mezzi di distruzione sono diventati di tale potenza da poter radere al suolo in poche ore intere città con perdite irrimediabili e definitive per l’umanità: ieri l’Italia o la Germania o l’Austria, oggi la Siria, l’Iraq o il Libano.

Un elenco dettagliato delle opere d’arte ‘rubate’ da Napoleone si trova al seguente indirizzo internet alla voce Furti napoleonici: https://it.wikipedia.org/wiki/Furti_napoleonici.

Nunzio Cereda

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