Luigi Bragadin, testimone dell’eccidio nazifascista di Santa Giustina in Colle nel 1945

Abstract

Questo articolo intende tracciare un breve profilo di Luigi Bragadin, prezioso testimone degli eventi che hanno provocato l’eccidio nazifascista di Santa Giustina in Colle nel 1945 cui è miracolosamente sopravissuto e di cui ha dato testimonianza per il resto della vita. Cinque anni, quelli tragici del secondo conflitto mondiale, vissuti dalla comunità di Santa Giustina in Colle (PD) che la guerra colpì spietatamente, con un colpo di coda che lasciò i segni sui muri e nei ricordi della gente. Il sangue versato – come si ricorderà -, è quello di una ventina di uomini inermi trucidati per rappresaglia dai tedeschi in fuga, tra cui il parroco don Giuseppe Lago ed il cappellano don Giacomelli. L’autore del presente articolo, dovendo pubblicare, nel 2002, un libro su quel sanguinoso episodio, ebbe l’occasione di sfogliare il diario di uno dei pochi sopravvissuti, Luigi Bragadin, che riportava con agghiacciante precisione i fatti di cui fu testimone. Ma chi era veramente questo personaggio?

La figura del sopravvissuto Bragadin

Dalle finestre della sua abitazione, posta al centro del paese, Luigi Bragadin, in quel piovoso venerdì del 27 aprile 1945, poté seguire le diverse fasi dell’occupazione, prima di cadere anche lui nelle mani dei tedeschi. Aveva trent’anni, quando i nazisti lo misero al muro per fucilarlo, ma evidentemente non era ancora giunta la sua ora, perché, scampato per miracolo a quella tragica circostanza, ebbe poi dal buon Dio il privilegio di vivere fino alla veneranda età di 102 anni.
Noi ricoprivamo i ruoli di bibliotecario e di responsabile del servizio Pubblica Istruzione del Comune di Santa Giustina in Colle, nell’Alta Padovana, quando abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo e di intervistarlo: era il gennaio 2002 ed egli aveva compiuto da poco 100 anni, essendo nato nel 1902.
Un metro e sessanta d’altezza, spalle lievemente incurvate, corporatura minuta, baffi folti e spioventi alla “messicana”: questo il ritratto del testimone in questione, molto conosciuto in paese, dove ultimamente viveva con le figlie. Pieno di acciacchi, sordo e quasi cieco, conservava tuttavia una mente lucidissima e ricordava quel tragico episodio con precisione e dovizia di particolari: un racconto ripetutomi più volte, senza mai cadere in “défaillances” e in contraddizioni.

I quaderni dei ricordi

Fin da quando frequentava il ginnasio, nel collegio dei frati minori di Camposampiero, aveva tenuto un diario personale, annotandovi scrupolosamente ricordi d’infanzia, aneddoti, riflessioni, proverbi, nenie e, persino, barzellette: quattordici quaderni scritti in bella calligrafia, con le pagine diligentemente numerate. Aveva cercato per diversi anni un editore disposto a pubblicare i suoi manoscritti, senza tuttavia trovarlo. “Chiedono troppi soldi, – osservava con amarezza – perché non se la sentono di rischiare per un autore sconosciuto. Bisognerebbe che qualcuno si prendesse veramente a cuore i miei scritti, considerando che, al di là del valore letterario di cui, forse, sono scarsamente dotati, costituiscono una raccolta di tutti gli usi, i costumi e le tradizioni del paese nel quale ho trascorso quasi tutta la mia vita”.
Nel periodo in cui ci siamo conosciuti, il suddetto personaggio ha avuto la compiacenza di farci leggere un capitolo dei suoi “Diari”: quello, appunto, che s’intitola “La tragedia di Santa Giustina in Colle del 27 aprile 1945, descritta dallo scampato Luigi Bragadin”. Fin dall’introduzione, l’autore fa sapere che un altro quaderno simile è stato inviato, a suo tempo, alla curia vescovile di Padova. Ma ecco, in sintesi,  l’epilogo di quel tragico 27 aprile.

Destinato alla fucilazione

Verso le 11 del mattino, il Bragadin si era appena seduto a tavola per inghiottire qualche cucchiaiata di minestra, quando udì dei passi pesanti avvicinarsi alla porta. Era un enorme militare tedesco che, con il fucile spianato, lo prese per il bavero della giacca, lo sollevò dalla sedia e lo trascinò fuori, sul terrapieno della chiesa, a circa cento metri dalla sua casa, spingendolo alla parete esterna dell’abside. Là si trovavano già ammassati quaranta o cinquanta uomini, rastrellati dalle vicine abitazioni, con le spalle appoggiate al muro.
Dopo circa trequarti d’ora di snervante attesa, il comandante tedesco decise di procedere alla decimazione. Accompagnato da alcuni soldati e da un graduato che spiccicava qualche parola d’italiano, salì la gradinata dal lato del campanile e si diresse lentamente verso gli ostaggi. Queste le parole testuali di Luigi Bragadin: “I loro occhi ci scrutarono profondamente; poi i militari s’arrestarono davanti a me, che ero tra i primi della fila. Il mio cuore in quell’istante sussultò dalla paura; nulladimeno, il volto rimase impassibile, vorrei dire quasi sereno. Finalmente cominciarono […]. Il graduato sceglieva la vittima suggerita dal capitano, dicendo: “Tu fuori… tu fuori… tu fuori…”. Ero il secondo della fila: presero il primo ed il terzo: io rimasi solo, in mezzo, e salvo. Poi la scelta continuò fino alla ventesima vittima, compresi, però, il parroco ed il cappellano, che stavano già alla mura, dove sarebbe avvenuta la carneficina […]. Quello che si trovava alla mia sinistra, prima di andarsene insieme con i condannati, mi diede un’occhiata, come di chi implora aiuto, dicendomi queste tre parole: “Gigio, mi ammazzeranno?”. Rimasi interdetto, muto, non trovando parola adatta per una risposta, mentre una fitta mi trapassava il cuore”.
Ultimata la conta, i soldati tedeschi incolonnarono gli ostaggi “fortunati” e, in fila indiana, li accompagnarono all’entrata della canonica, in quella specie di sottopassaggio che portava al cortile del patronato e dell’asilo. Dopo alcuni minuti, ritornarono sui loro passi e provvidero alla sistemazione dei condannati, che addossarono con la faccia al muro e le braccia alzate, così da coprire la parte superiore del capo, e i gomiti degli uni a diretto contatto con quelli degli altri.
Il cielo era una coltre compatta di piombo: sembrava che le nuvole fossero consce e partecipi dell’angoscia che incombeva nell’animo degli uomini e s’aspettava che sfogassero sulla terra, da un momento all’altro, un pianto violento e lustrale. Verso mezzogiorno, le vittime prescelte verranno colpite alla testa da una rivoltellata del boia che, tra un’esecuzione e l’altra, si fumerà una sigaretta.

Gli storici raccontano

A questo punto, riteniamo superfluo entrare in ulteriori dettagli, dato che gli avvenimenti, densi e drammatici nel loro dipanarsi, efferati e sconvolgenti nel loro epilogo, sono ben noti, avendo costituito oggetto di studio e di ricerca da parte di alcuni accreditati autori di storia locale, i cui resoconti, però, appaiono in taluni punti lacunosi e contraddittori. Anche noi, del resto, pur disponendo di un’ampia bibliografia in materia e di una quantità cospicua di documenti, non siamo riusciti a fare completa chiarezza soprattutto sulle cause di quella mattanza, anche perché il periodo in questione risulta troppo recente, per essere narrato con totale obiettività e serenità di giudizio. Va aggiunto, inoltre, che neppure le carte di un archivio storico si possono considerare depositarie della verità.
Abbiamo dunque descritto quegli avvenimenti in due pubblicazioni, intitolate rispettivamente “Santa Giustina in Colle. Gli anni della seconda guerra mondiale: 1940-1945” e “Il processo ad Ada Giannini, per l’eccidio nazista di S. Giustina in Colle”, stampate dalle Edizioni Bertato, di Villa del Conte, nel 2002 e 2003, mentre altri autori, del calibro di Pierantonio Gios, di Egidio Ceccato e, in particolare, del regista Mauro Vittorio Quattrina, prima e dopo di noi hanno svolto approfondite ricerche sull’argomento, setacciando scritti e documenti reperiti in vari archivi e biblioteche della provincia ed interrogando un bel numero di testimoni oculari del posto.

Un diario e un documentario testimoniano l’eccidio

Il suddetto regista, peraltro, ha avuto il merito di realizzare, per conto dell’Amministrazione Comunale, un importante documentario intitolato “La memoria di Giano”, in cui sono esibiti molti documenti inediti e vengono avanzate alcune ipotesi interessanti e condivisibili sulle cause che fecero scatenare l’ira e la ritorsione dei tedeschi, i quali, applicando le spietate disposizioni di Kesselring, vollero vendicare l’uccisione di due loro commilitoni, avvenuta per mano dei partigiani locali.
Il nostro Bragadin, dopo aver rievocato i momenti di quella terribile esperienza, conclude un paragrafo del suo diario con questa chiosa: “Lasciato quel luogo di morte, rientrai in casa, dove trovai mia moglie con il figlioletto in braccio, di appena tre mesi, circondato dagli altri quattro che, tutti presi dalla gioia per il mio ritorno, mi abbracciarono e baciarono: loro ignoravano ancora quello che era veramente successo. Mentre io non mi rendevo più conto della realtà: ero troppo stordito da tutto ciò che avevo visto. E piangevo”.
Va ribadito che il testimone in oggetto, il quale spesso veniva a trovarci in biblioteca, non ha mai cambiato versione dei fatti; anzi, snocciolava nomi, date ed avvenimenti con una certa disinvoltura, dimostrando di possedere, nonostante l’età, una memoria di ferro. Si è spento ultracentenario nel suo letto, a Santa Giustina in Colle, così come gli aveva predetto, negli anni della giovinezza, una zingara di passaggio (una giostraia, che ogni anno approdava in paese per la sagra patronale), leggendogli il palmo della mano. Ancor oggi, conserviamo gelosamente le fotocopie del suo diario: un documento che, per la sua importanza, è entrato nei libri di storia di un paese dell’Alta Padovana, al quale il Ministero dell’Interno, il 27 aprile 2005, ha assegnato la medaglia d’argento al merito civile.

Enzo Ramazzina

Santa Giustina in Colle, Il muro dei martiri
Santa Giustina in Colle, Targa commemorativa sul Muro dei martiri
Santa Giustina in Colle, Muro dei martiri, particolare

 

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