Gaspare Pacchierotti, musico eccellente tra Sette e Ottocento a Padova, città d’elezione

Abstract

Gaspare Pacchierotti veniva dalle Marche, nato bel 1740 a Fabriano da una famiglia modesta di origine senese. Incline alla musica sin dalla primissima età, fu allievo del maestro bolognese Mario Bittoni. Fu quindi allievo corista nella cattedrale di Forlì e, a 23 anni, addetto alla Cappella Musicale di San Marco, a Venezia con il maestro Fernando Bertoni, che diverrà suo amico per tutta la vita. Oggi conosciuto da pochi specialisti, fu espressione di purezza classica e della nascente “seniblerie” romantica. Decise di abitare a Padova e la sua villa, vicina a Prato della Valle, divenne un salotto letterario e musicale in cui si incontrarono Foscolo, Alfieri, Canova, Carlo e Gaspare Gozzi, Cesarotti, Madame de Staël, Stratico e Stendhal.

Stendhal

Stendhal, Marie-Henri Beyle, nell’unica pagina del suo diario di viaggio dedicata a Padova, del giugno 1817, si è soffermato solo su questo personaggio, tra i tanti conosciuti. Racconta che la sera, ospite nel suo palco, si dilettava a discutere dei “bei giorni della musica”, di quella musica affidata alla canorità sublime dei castrati e che stava volgendo al tramonto in favore di voci più naturali, adatte alla nuova lirica romantica.

Lo Stato Pontificio, tra il 1600-1700, era la culla dei sopranisti, alimentando una moda lanciata dalla Cappella papale e diffusa attraverso le cantorie delle varie chiese e cattedrali italiane. Anche là dove non esisteva il divieto pontifico alle donne di calcare le scene, come a Venezia e in altri stati europei, la figura del sopranista incarnava l’ideale dell’angelo musico, prodotto dell’immaginario culturale-artistico dalla Rinascenza al Settecento. Fisicamente il Pacchierotti era lontano dall’ideale  efebico allora in voga. Era alto, piuttosto sgraziato, dal viso smunto e non bello, da cui però si irradiava una luce di genialità che egli seppe trasfondere nel canto, trasformando la voce, alquanto instabile e nasale, in espressivi accenti di poesia e di dolore. Un primo esordio l’ebbe a Venezia nel 1766 con l’Achille in Sciro, musicadi Florian Gassman, libretto di Metastasio. Nel 1769 sostenne la parte di primo soprano nel veneziano teatro di San Benedetto. Ebbe molto successo e da lì iniziò un’intensa carriera. Grazie ai buoni uffici del Bertoni e del nobile procuratore Tron, suo protettore, venne scritturato per la stagione musicale 1769-1771 prima a Palermo e poi a Napoli. Qui ottenne meritati riconoscimenti per la sua interpretazione della Didone abbandonata di Metastasio e dell’Ifigenia di Jomelli.

L’ampia estensione della sua voce, con un registro basso vigorissimo e un acuto che, all’occorrenza, arrivava al do, unitamente alla sua straordinaria capacità interpretativa, gli consentirono effetti sorprendenti.

Portentosi usignoli

Del resto i “portentosi usignoli”, come Farinelli, Crescentini, Pacchierotti stesso, divenivano in un certo senso i collaboratori del maestro, il quale affidava alla loro perizia la cura dei “mezzi melodici” del canto e la libertà di variare interpretazione a loro piacimento nelle diverse recite. Dal 1773 al 1778 lo si vede in diverse città italiane tra le quali Padova, al Teatro Nuovo, in occasione della festa del Santo, dove rappresentò il Quinto Fabio del Bertoni. I giudizi furono entusiastici “musico eccellente e non più sentito da queste parti”.

Il successo di Pacchierotti fu dovuto non solo al carattere quasi romantico delle sue interpretazioni, ma anche alla padronanza della tecnica, alla chiarezza della dizione. Il genere in cui Pacchierotti eccelse fu quello patetico. La sua fama raggiunse presto una dimensione europea: Maria Antonietta l’avrebbe voluto alla sua corte, Filippo d’Orléans si commosse sentendolo cantare durante il suo soggiorno londinese, Napoleone, più tardi, cercò invano di conquistarne il favore. A Londra, paradiso dei cantanti lirici del Settecento, Gaspare Pacchierotti rimase dal 1778 al 1784. Ritornò nel 1786, passando per Parigi, stabilendosi poi in Italia. Prima di stabilirsi definitivamente a Padova, pare abbia avuto dimora a Venezia e abbia fatto ancora qualche apparizione sul palcoscenico, come nella Messa da Requiem, composta dal Bertoni per il cav. Angelo Emo l’Africano alla Fenice nel 1796 e nella Chiesa dei Servi a Padova, assieme all’altro celebre cantante Gaetano Guadagni. Infine nel 1797 c’è un episodio famoso che mostra il suo carattere indipendente e fiero: in occasione dell’incontro con Napoleone, ospitato a Padova dal conte Polcastro, in onore del quale venne allestita un’accademia al Teatro Nuovo, il Pacchierotti cantò “quasi per dispetto e accolse con manifesta contrarietà l’onore che il giovane trionfatore gli rese, chiamandolo pubblicamente a sedere al suo fianco” (Sassi, Op. cit) . Più tardi la sua ostilità nei confronti del regime francese che aveva abbattuto la gloriosa Serenissima, espressa in una lettera alla cantante Angela Catalani, allora in Inghilterra, gli costò, a causa dell’intercettazione della polizia, un mese di confino e di segregazione in una casa privata a Venezia.

Nei primi anni dell’Ottocento si stabilì a Padova dove, ai confini con l’Orto botanico, acquistò Ca’ Farsetti, che arredò con mobili e oggetti portati dall’Inghilterra e la circondò con un giardino all’inglese. La sua casa divenne un circolo, come quello che egli aveva frequentato a Londra dai Burney, ed era una tappa d’obbligo per gli intellettuali dell’epoca, attratti dal suo dotto e amabile conversare, nonché dalla sua voce: Foscolo, Alfieri, Canova, Carlo e Gaspare Gozzi, Cesarotti, Stratico. Con la sua musica affascinò i suoi ospiti ed amici fino a tarda età preferendo soprattutto i salmi di B. Marcello e Metastasio.

Nel già citato diario di Stendhal leggiamo: “Quest’anima, che scintilla in tutti i gesti di Pacchierotti e che, a settant’anni, lo rende ancora sublime quando si degna di cantare un recitativo, si fa un po’ beffe della teoria. Ho imparato di più, in fatto di musica, in sei conversazioni con questo grande artista, che in tutti i libri del mondo: è l’anima che parla all’anima” .

Pacchierotti conosceva bene inglese, francese, latino e greco e questo ne favorì i contatti con il mondo artistico e musicale dell’epoca.

Morì nel 1821 e desiderò essere seppellito nella campagna della Mandria, poco lungi da Padova, tra il verde di due cipressi e di una vegetazione inselvatichita, dove sorgeva un aggraziato oratorio settecentesco, annesso a una villa padronale, già proprietà di Antonio Pochini.

Tre pini

Lasciò unico erede il nipote e figlio adottivo Giuseppe Cecchini Pacchierotti. Costui, educato in Inghilterra per volontà del cantante, ardente patriota e amante dell’antichità, collezionò opere d’arte d’ogni genere e profuse la sua passione per la storia, oltre che in vari scritti, nel suo giardino, con testimonianze singolari dei principali avvenimenti patavini. Di questo giardino, che fu anche un omaggio del nipote al suo benefattore e vera curiositas dell’epoca, possiamo oggi ammirare alcune immagini fiabesche, in incisioni ottocentesche; nella realtà rimangono solo alcuni platani e i… Tre pini.

Marta Celio

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