Padova e Vicenza: una secolare rivalità

Abstract

Il rapporto spesso conflittuale tra le due città venete, Vicenza e Padova, alla ricerca di una supremazia territoriale, ha coinvolto per tutto il Medioevo nobiltà, chiesa e popolo con gravi conseguenze, distruzioni e morte almeno fino al dominio della Serenissima Repubblica. L’articolo sottolinea i momenti più significativi di questo confronto.

La fondazione: il mito e la storia

Padova, Ponte di San Lorenzo (di epoca romana)

Guerrieri di ritorno da Troia o pescatori-agricoltori costruttori di villaggi sulle rive di un fiume?

Molto controverso e a volte conflittuale è stato il rapporto tra Padova e Vicenza. Tutte e due, secondo la tradizione furono fondate dai Veneti: Padova dal mitico Antenore che guidò sin qui gli Eneti dopo la sconfitta di Troia di cui erano stati fedeli alleati e dove avevano perso il loro re Pilemene, fondando la nuova città sul corso del Medoacus, il nome con cui allora era designato l’antico corso del Brenta; Vicenza, come Roma, su mitici sette colli, e non per nulla il nome deriverebbe da Vincentes come furono proclamati i costruttori vicentini dal fondatore della città eterna durante una gara che egli stesso aveva indetto per la costruzione di palazzine a cui avevano aderito esponenti di città da tutta Italia. Più realisticamente il nome deriva da una radice indoeuropea presente nel sanscrito con veçah: casa, da cui il plurale viç –as: uomini e nel gotico con weih , molto probabilmente da una radice come Wik, Weik, Woik (casa in greco è oikos) alla base di vicus>villaggio riferito quindi ai villaggi che sorgevano sulle alture costituite dai detriti alluvionali dei due fiumi che allora attraversavano questo territorio, l’Astico, che poi ha lasciato il posto al Bacchiglione ed il Retrone: d’altronde quanti toponimi derivano da questa radice: Vico, Vigo, Vigolo, Vigardolo, lo stesso vicolo, ecc..

Il periodo romano

Vicenza, Mosaico pavimentale policromo con scena di caccia da piazza Biade (Archivio Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza)

Durante il periodo classico furono interessate dalla espansione della dominazione romana con tutte le strutture tipiche di quella cultura, dalla suddivisione dello spazio urbano con i cardi e i decumani intersecantesi ortogonalmente in parallelo rispettivamente con il cardo massimo ed il decumano massimo, il foro, il teatro, la basilica, l’acquedotto, campo marzio, ecc., e vissero una vita parallela. Padova fu la prima città del Veneto a stabilire un rapporto di lealtà e alleanza con Roma, pur da una posizione di subalternità. A tale proposito vorrei ricordare un episodio tramandato da Tito Livio (si sa che i Veneti da un certo momento in poi sono stati quasi sempre fedeli alleati di Roma) il quale riferisce di una rivolta scoppiata in città nel 175 o 174 a.C. quando questa era nell’orbita ormai dell’Urbe e, su richiesta degli stessi abitanti, o almeno di una parte di essi, repressa dal proconsole M. Emilio Lepido.

Padova da alleata di Roma a municipio romano

Dal 49 a.C. con l’acquisizione dello Jus romano da parte dei Veneti Padova assurse al rango di municipium potendo contare quindi su una autonomia amministrativa, con tutte le attribuzioni collegate. Nel periodo della guerra civile che vide il Senato romano opporsi alle ambizioni di Marco Antonio Padova si schierò contro quest’ultimo ricevendo l’elogio di Cicerone. Nei primi secoli del cristianesimo Padova fu una delle città più in vista dell’impero e già Strabone, contemporaneo di Augusto, la definiva: “la più cospicua e bella città della Gallia Cisalpina e seconda a Roma”. Anche Vicenza come Padova, con la Lex Julia del 49 a.C. divenne municipio romano, iscritto alla Tribù Menenia. Da Tacito sappiamo che Vicenza era considerata una città di limitata importanza militare, pur essendo stimata per il livello sociale dei cittadini, i quali avevano molto in considerazione l’istituzione della Repubblica e la figura di Cicerone. In ambito lavorativo erano molto sviluppati alcuni mestieri di stampo artigianale che portarono una certa ricchezza alla città. Il culto del cristianesimo sembra sia arrivato direttamente da Ravenna, attraverso la via Postumia  che attraversava Vicenza, da alcuni cittadini già cristianizzati nel percorso da e per Aquileia, e mentre a Padova si veneravano san Prosdocimo, il primo vescovo di quella città, e santa Giustina, a Vicenza la devozione era rivolta ai santi vicentini martirizzati ad Aquileia Felice e Fortunato.

Il primo Medioevo

Padova, cinta muraria, Torrione Alicorno

Le cose cominciarono a cambiare con il medioevo, soprattutto con l’arrivo dei Longobardi. Vicenza all’incrocio tra via Postumia (che da Aquileia portava ai centri importanti di Verona, Cremona, Pavia) e via Aemilia (che attraversava la attuale Emilia e la Romagna e un cui ramo verso nord portava a Milano), fu una delle prime città conquistata dai Longobardi, a quanto sembra senza nessuna resistenza tra il 568 ed il 569, tanto che fu costituita ben presto come ducato e divenne un caposaldo per la contrapposizione ai Bizantini di Ravenna a cui Padova era legata. Infatti Padova cadde nelle loro mani solo nel 603 e la spedizione per la sua conquista partì proprio da Vicenza. Come riconoscimento di ciò Vicenza poté espandere la sua influenza ben al di là di quelli che erano i confini territoriali stabiliti durante la presenza romana così che diversi territori che prima erano di pertinenza di Padova divennero di pertinenza di Vicenza. La stessa città di Padova rimase parzialmente distrutta e andò incontro ad una decadenza civile e religiosa che durò anche oltre il periodo longobardo, attraverso tutto il periodo carolingio, mentre Vicenza rafforzò considerevolmente la sua posizione nell’area compresa tra Verona e Treviso.

Vicenza acquisisce maggiore importanza

Vicenz, il Porton del Luzo, che si apriva a sud-est nella cinta medievale

A Vicenza erano presenti autorevoli famiglie longobarde tanto che un loro esponente di nome Vettari nel 690 divenne duca del Friuli e la città partecipava attivamente agli avvenimenti che interessavano il regno: un loro duca, Peredeo morì combattendo a Ravenna contro i Bizantini e i Veneziani. Durante il regno di re Desiderio a Vicenza fu istituita addirittura una zecca, tanto era accresciuta la sua importanza. Un discendente di Vettari, anch’egli già duca del Friuli, fondò l’abbazia di Nonantola. Della fine del regno longobardo naturalmente anche Vicenza ne risentì, e nonostante qualche tentativo di ribellione contro i Franchi, subentrati, stroncato da Carlo Magno in persona, alla fine dovette accettare la nuova situazione. Non perse però quella predominanza, non soltanto territoriale, che si era conquistata nel periodo precedente: lo testimonia il Capitolare di Corteolona dell’825 di Lotario che stabiliva che si recassero a studiare a Vicenza gli studenti di Padova, Treviso, Feltre, Ceneda, Asolo a seguito della istituzione di scuole imperiali.

Tardo Medioevo

Nel corso del XII secolo la rilevanza di Vicenza si manifestò con la istituzione della scuola della cattedrale voluta dal vescovo Cacciafronte e soprattutto con la formazione dell’università nel 1204 presso il monastero di San Vito a seguito dell’arrivo di studenti e docenti dall’università di Bologna probabilmente per motivi di divergenze culturali con chi reggeva quello Studio. Questa è stata la prima università del Veneto anche se la sua vita durò soltanto cinque anni, quando molto probabilmente alcuni dei suoi membri confluirono nello Studio di Padova la cui nascita ufficialmente è datata al 1222. Nel periodo dello scontro tra impero e papato, i Vicentini, capeggiati dal vescovo, si ritenevano filoimperiali, mentre i Padovani propendevano per il papa e questa situazione coinvolse anche i piccoli e grandi signori della Marca che dovettero schierarsi, con disinvolti cambiamenti di campo a seconda di chi al momento prevaleva. Ben presto tra le due città sorsero contese.

Le guerre tra Verona e Padova indeboliscono Vicenza

Palazzo Chiericati (Vicenza)

Verso la metà del 1100 Verona e Vicenza si scontrarono con Padova e Treviso per il controllo dei territori limitrofi, in particolare i Vicentini per avere libere le vie di comunicazione sia fluviali che terrestri a sud e per ottenere che Bassano e Marostica rientrassero nella propria sfera di influenza, un territorio sempre riluttante a riconoscere la supremazia politica di Vicenza ma non così forte da potere sostenere una propria autonomia (non per nulla ancora adesso molti comuni della zona fanno parte della provincia di Vicenza ma della diocesi di Padova). Tra le cause del conflitto c’è stata la deviazione del fiume Bacchiglione operata dai Vicentini a danno dei Padovani. Lo scontro si concluse con la pace di Fontaniva fortemente voluta dal pontefice e suffragata dal patriarca di Aquileia e dai vescovi della Marca. Al XII secolo è riferito anche il sorgere delle istituzioni comunali, nel 1138 a Padova e nel 1147 a Vicenza, con a capo i consoli in un primo momento e i podestà poi. In questa fase il rapporto tra Vicenza e Padova cambiò in modo sostanziale a favore della seconda a causa di diversi fattori. Innanzitutto le famiglie vicentine più in vista per mantenere il loro livello di vita dovettero ricorrere a prestiti per la concessione dei quali i padovani si dimostrarono molto prodighi, ma la loro non fu una concessione a ben vedere gratuita perché a poco a poco i più influenti personaggi padovani ebbero su Vicenza una effettiva egemonia politica attraverso il controllo dei componenti delle famiglie più in vista, fortemente indebitati e spesso investiti di importanti cariche all’interno dell’assemblea comunale, a cui potevano imporre con una certa facilità il loro volere nelle decisioni che il Comune era chiamato a prendere.

Egemonia economica di Padova

Tra i prestatori si possono annoverare gli Scrovegni, famiglia padovana ricca e potente che possedeva terre e castelli in quel di Malo e di Marostica tanto che un loro esponente divenne podestà di Vicenza. Nella città berica misero in gioco molto della loro potenza finanziaria che contribuì ad aumentare non poco le loro fortune. Intanto la vita dei Vicentini era sempre in balia degli stranieri, secondo un cronista del tempo per la litigiosità dei maggiori esponenti della città che non riuscivano a mettersi d’accordo su nulla, al punto da nuocere ai concittadini, per invidia, per rancore, così esautorando sempre più le legittime istituzioni che ormai decretavano quasi esclusivamente su pressione di quei padovani che non avevano certo a cuore gli interessi di Vicenza e soffiavano sul fuoco della discordia secondo il noto motto: divide et impera.

Il periodo delle grandi fabbriche: abbazie, monasteri, chiese, palazzi

Padova, Chiesa di Santa Sofia

Tuttavia dopo il Mille ci fu il periodo delle grandi costruzioni di impronta religiosa, con la nuova fabbrica della cattedrale, le grandiose chiese di Santa Corona, di San Lorenzo, di San Felice con annessi monasteri, mentre le belle abitazioni signorili di stile gotico sorsero nel XV secolo. Ancor più splendida fu Padova, con la cattedrale, la chiesa di San Francesco, di Santa Giustina, degli Eremitani, di Sant’Antonio, ma anche con il grandioso Palazzo della ragione, con la straordinaria presenza di pittori eccezionali come Giusto De’ Menabuoi, Altichiero, Guariento e soprattutto  Giotto, che nella cappella degli Scrovegni lasciò un capolavoro assoluto d’arte. Il Trecento pittorico padovano è uno dei vertici dell’arte europea non soltanto di quel secolo. Culturalmente molto rilevante fu l’apporto di menti raffinate quali Pietro d’Abano, Marsilio da Padova e lo stesso Petrarca che qui soggiornò negli ultimi anni di vita per poi spegnersi ad Arquà, oggi Arquà Petrarca.

 

Vicende politiche confuse legate a Ezzelino II da Romano

Padova, Palazzo di Ezzelino

In una prima fase Padova ebbe il sopravvento su Vicenza e la tenne in scacco, senza che vi fossero ribellioni di rilievo da parte dei vicentini per tentare di scrollarsi di dosso un tale giogo. Con l’avvento degli Ezzelini le cose cambiarono perché Vicenza divenne il punto di riferimento principale per Ezzelino II, poi detto il monaco e la città berica praticamente divenne la sua roccaforte. Non da subito, però, perché in un primo tempo, cacciato dalla città insieme al vescovo e ad altri nobili il Da Romano si era appoggiato a Padova ottenendo che questa occupasse alcune terre nel bassanese. In seguito a ciò i vicentini avevano trovato un momento di unione spingendosi contro Bassano e Marostica prima e contro Padova poi che sottoposero a devastazioni e incendi. A quel punto Ezzelino abbandonò l’alleanza con Padova e si avvicinò a Vicenza e a Vicenza lasciò il partito del vescovo legandosi a quello del conte. In seguito a delle rivolte nei confronti del podestà, che era anche legato imperiale, Vicenza fu condannata a pagare una forte sanzione ed Ezzelino si propose di pagarla personalmente a patto di ottenere il governo della città, cosa che gli fu concessa, con tutti i poteri. Seguì un duro scontro con alcuni potenti della Marca dal quale il Da Romano uscì trionfatore dopo un tremendo combattimento alle porte di Vicenza e divenne il vero domino della situazione avendo in Vicenza il suo caposaldo.

Padova si scontra con Ezzelino III da Romano e cerca di dominare Vicenza

Padova, Palazzo comunale e Torre degli Anziani

Le cose però non durarono: si mosse il papa, si mossero altri potenti e città, come Venezia e Padova, imposero un patto per riequilibrare la situazione nella Marca, in realtà per tentare di arginare lo strapotere di Ezzelino. Vi riuscirono, mettendolo in minoranza nel consiglio comunale vicentino, ma le discordie continuarono, a volte latenti, a volte in modo aperto, e ad un certo momento i Da Romano furono costretti a lasciare la città, salvati questa volta dall’intervento dei Padovani che pagarono un grosso riscatto permettendone il ritorno. Seguirono altre confuse vicende e a quel punto Ezzelino II, stanco forse di tante controversie, decise di ritirarsi in convento a Santa Croce di Campese, e per questo fu detto il Monaco, non prima però di avere diviso la sua cospicua eredità tra i suoi figli Ezzelino III, cui toccò il Trevigiano e Alberico, cui toccò il Bassanese. Con l’uscita di scena del vecchio Da Romano i suoi nemici alzarono la testa e molti castelli e torri che questi possedeva nel Vicentino dovettero essere ceduti al comune di Padova. Seguì la contromossa dei Da Romano, con l’aiuto di alcuni potenti Alberico si fece eleggere podestà a Vicenza, Ezzelino III si impadronì di Treviso cacciando i Da Camino e nel contempo riuscì a controllare Verona. Seguirono altre confuse vicende, alcune contro i Da Romano, alcune favorevoli, ma nel contrasto contro i da Romano quasi sempre c’era lo zampino di Padova che voleva a tutti i costi porre un suo protettorato su Vicenza, e per la situazione Vicenza ne soffriva terribilmente dal punto di vista economico e sociale. Ad approfittarne erano gli usurai che con i loro traffici mettevano in difficoltà molti cittadini anche abbienti, ma anche la povera gente che spesso non aveva entrate sufficienti per soddisfare le esigenze più basilari.

La vicenda di frà Giovanni da Schio

Accenno soltanto ad un personaggio singolare, il domenicano fra’ Giovanni che riuscì a coinvolgere in un’assemblea a Verona i potenti della Marca nel tentativo di metterli d’accordo seguendo un suo disegno di equilibrio complessivo anche tramite unioni matrimoniali trai gli esponenti  delle diverse casate. La cosa che in un primo momento sembrava avere successo in poco tempo andò incontro al fallimento per la contrarietà  di quanti vedevano di malocchio essere posti alla pari degli altri e non potere contare su una propria egemonia ed alla fine Padova, fiancheggiata dal papa, da Venezia e dalla Lega Lombarda sembrò avere la meglio e imporre una sua pace nella Marca, e quindi un suo controllo sul territorio, in particolare su Vicenza; fu però un risultato effimero perché l’alleanza formatasi attorno ai Da Romano risultò vittoriosa, ma anche questa, stante la situazione, carica di incerti sviluppi.

Vicenza, Cattedrale di Santa Maria Annunciata

Ezzelino III da Romano e Federico II imperatore

A questo punto successe un fatto importante, l’incontro tra Ezzelino III e Federico II che consegnò praticamente Vicenza nelle mani del Da Romano dopo che soldati tedeschi nel 1236 l’avevano messa a ferro e fuoco per essersi rifiutata di accogliere i legati inviati dall’imperatore per chiederne la sottomissione e per avere dato segni di ribellione. E quando alcuni nobili cercarono di modificare il rapporto di Ezzelino con la città intervenne lo stesso imperatore confermandogli il suo appoggio e, portatosi a Padova, pretese la garanzia che i potenti della Marca operassero in amicizia. Così Ezzelino praticamente divenne signore di Vicenza con il beneplacito di molti, specialmente delle famiglie più importanti ben contente che fossero passati i tempi in cui la città doveva sottostare quasi incondizionatamente a Padova, riconoscendosi in lui e considerandolo come l’uomo capace di garantire la pace all’interno e con le altre città: per Ezzelino era il trionfo, con l’appoggio ricevuto da Federico II era anche il vero domino della Marca.

La caduta di Ezzelino indebolisce Vicenza

Ma con la deposizione dopo il concilio di Lione prima e con la morte del grande imperatore poi le cose cominciarono a cambiare e Vicenza stessa prese le distanze da Ezzelino visto sempre più come uno che pensava ai suoi interessi politici e non a quelli della città, la quale durante il suo protettorato non era migliorata affatto; inoltre certi suoi atteggiamenti erano tirannici e certe sue azioni mostravano che puntava ad un dominio incontrastato su un territorio sempre più vasto perché, con l’alleanza di Oberto Pallavicino, estendeva ormai la sua egemonia sulla pianura Padana. Allora si mossero i suoi tradizionali nemici, a cominciare dal papa, da Venezia, dai Comuni; nella Marca molti si levarono contro di lui che reagì in modo cruento contro i rivoltosi, con l’imposizione di gravose tasse ed il saccheggio dei beni dei ribelli. Nonostante ciò i cittadini di Vicenza si schierarono dalla sua parte sbarrando il corso del Bacchiglione come avevano fatto in altre occasioni per mettere in difficoltà Padova e combattendo strenuamente contro i soldati dell’esercito avverso che tentavano di rimuovere le barriere; l’attacco dei Padovani e dei Vicentini che erano stati esiliati durante il ventennio ezzeliniano fu respinto, ma a questo punto Ezzelino preferì ritirare le sue truppe per concentrare la sua azione difensiva in Verona lasciando via libera agli aggressori e la città cadde nuovamente sotto il dominio padovano a cui alcuni Vicentini stessi consegnarono le chiavi della città.

 

Periodo di asservimento di Vicenza a Padova

Usciti di scena gli Ezzelini molti podestà furono padovani e le condizione che Padova impose ai Vicentini furono oltremodo gravose; da una parte Bassano, con l’appoggio non disinteressato di Padova, non volle tornare sotto la giurisdizione di Vicenza che poté ripristinare i propri diritti a condizione di gravi concessioni a Padova come restituzione di beni in area vicentina e liberi transiti, senza alcun pedaggio sul canale di Brenta. Le difficoltà per Vicenza continuarono anche dopo il carismatico episcopato di Bartolomeo da Breganze che non soltanto era riuscito con la sua leadership in città a creare momentaneamente un clima di pace e di concordia, ma era stato anche l’anima di un tentativo di pace generale tra le maggiori città della Marca (Vicenza, Verona, Padova, Treviso) attraverso un patto di amicizia, fraternità, alleanza e di fedeltà alla Chiesa e mediante il rigetto di signorie personali. Due fattori però giocavano contro, da una parte Padova che si vedeva sfuggire il controllo del Comune che era stato sconfitto e che sperava in sua balia, dall’altra i signori del territorio che vedevano compromesso il loro potere. La città euganea riuscì a imporre come podestà un suo uomo forte che si fece subito intendere contro i nobili che riteneva ostili, questi però si riunirono nella fortezza di Valdagno e ne scaturì una guerra che coinvolse la stessa città di Vicenza, con arresti di persone di spicco, la fuga di altre e molte uccisioni. I ribelli alla fine furono sconfitti, ma anche Vicenza ne uscì molto male, perché per la sua intrinseca debolezza  una parte dei cittadini più autorevoli tendevano ad appoggiarsi alla guelfa Padova, una parte alla ghibellina Verona e alla fine la prima prevalse riuscendo a fare approvare uno Statuto tutto a favore degli interessi di quella Città eliminando di fatto il potere del vescovo. Ci furono delle conseguenze.

Vicenza, panorama

 

Il periodo post ezzeliniano rafforza Padova

Una fu l’indebolimento del potere dei signori del territorio e quindi in qualche modo il ridursi dell’asservimento dei servi della gleba; un’altra una serie di provvedimenti di riassestamento della viabilità e delle vie d’acqua, di prevenzione degli incendi, di riordino urbanistico; una terza, politicamente più pregnante, la quasi totale sottomissione a Padova per il cui volere ed interesse gli Statuti furono istituiti, non senza però qualche tentativo di ribellione, e qualche tentativo di intromissione di Verona, ma Vicenza era troppo debole per potere instaurare una propria autonomia e pertanto il legame con Padova si strinse sempre più riuscendo questa a incamerare i beni che Vicenza deteneva a Bassano, di cui si impose come protettrice, e dintorni; più tardi Padova proclamerà addirittura l’annessione di Bassano con il castello, le sue pertinenze e con tutti i centri che erano stati dei Da Romano in quell’area, mentre a Vicenza sarà imposta una somma di risarcimento e sarà proibito di avere rapporti diretti con Verona, Treviso, Trento. Nuovi statuti ancora più stringenti furono emanati ed il podestà, pur imposto da Padova, all’atto dell’assunzione della carica doveva prestare questo giuramento: “pro honore Comunis Paduae, ad voluntatem potestatis Comunis Paduae”. Anche la Chiesa fu colpita gravemente togliendo al vescovo i castelli, le terre, i possedimenti e l’esercizio del potere temporale che fino ad allora aveva esercitato, il tutto con l’accompagnamento di forti minacce. Fu in questo periodo che potenti famiglie padovane si impadronirono di grandi territori del Vicentino, a cominciare dagli Scrovegni, da loro congiunti e dai Da Carrara. Inoltre i Padovani si intestarono il monopolio delle operazioni finanziarie soprattutto attraverso l’usura. Anche  in questo periodo ci fu qualche tentativo di rivolta, troppo timido per sortire dei reali effetti e spesso contrastato da altre fazioni. Dietro l’angolo comunque si stava scorgendo l’attivismo di Verona che non vedeva l’ora di metterci lo zampino.

Padova, panorama

Padova ridimensionata ad opera di Enrico VII

L’occasione per Verona si presentò con il nuovo imperatore, Enrico VII il quale prima intimò a  Padova di pagare un prezzo per il suo dominio su Vicenza e poi decise di inviare un grosso contingente guidato da diversi e importanti condottieri, con l’appoggio di Cane Della Scala, a “liberare” Vicenza. Il contingente entrò in città occupandola e costringendo la guarnigione composta da Padovani e Vicentini alla fuga. Vicenza credeva di potere respirare, ma subito dall’imperatore fu imposto un tributo e furono nominati podestà di sua fiducia, con l’emanazione di nuovi Statuti che riabilitavano i nobili ricchi i quali tornavano ad egemonizzare la città a cui anche il territorio rurale era subordinato. Tra i primi podestà ci fu Cangrande Della Scala che non perse tempo a impadronirsi delle leve del potere gestendolo secondo il suo interesse e ad assoggettando Vicenza, che fino ad allora era stata assoggettata a Padova, in un primo momento con il plauso di molti Vicentini.

Il dominio della Serenissima e l’età moderna

Padova, grattacielo Europa
Vicenza, grattacielo Everest

Qui entriamo in un’altra storia che avrà uno sviluppo ancora diverso con l’arrivo dei Visconti e soprattutto di Venezia tra il 1404 ed il 1405 con la cui dominazione  sul Veneto ha meno senso parlare della rivalità tra Padova e Vicenza, non senza rilevare comunque che con la sua università che ha visto tra i suoi docenti uomini illustri, tra tutti Galileo Galilei, Padova ha rappresentato una realtà importante in ambito culturale e scientifico europeo, mentre Vicenza, pur con la rilevantissima presenza del Palladio, è rimasta una città piuttosto provinciale, sebbene nell’Ottocento il Vicentino abbia dato i natali a letterati di valore assoluto quali il Fogazzaro (più volte candidato al Nobel) e lo Zanella e nel Novecento a Piovene, Parise, Bedeschi, Neri Pozza, Rigoni Stern, Meneghello, Bandini ed altri.

Federico Cabianca

 

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